È pericoloso brandire l’europeismo per la riedizione della “conventio ad excludendum”, non è anti-europeista chi è fuori dal coro dell’europeismo mainstream.
Costruiamo il Conte Ter. In alternativa, l’unica, le elezioni sarebbero il male minore. Giuseppe Conte non è Che Guevara. Ma è condizione per strutturare e qualificare l’alleanza tra M5S-Pd-LeU: obiettivo politico di fase storica. Il punto politico ai fini della rinascita, riveduta e corretta, del Governo Conte non è la riammissione dell’ “inaffidabile” Italia Viva per allargare la maggioranza M5S-Pd-LeU, assoluta alla Camera e relativa al Senato. Il punto politico, al quale lavora con saggezza e passione il Presidente Fico, è il programma di legislatura. Proviamo a riflettere sul suo principio fondativo, indicato da larga parte della maggioranza da costruire, come tratto distintivo, fonte di legittimazione politica ultima, esclusiva ed escludente, del governo da ricomporre: l’europeismo. È una scelta necessitata oppure strumentale? Se fosse strumentale, è una scelta lungimirante? Certo, è una scelta comprensibile per +Europa, Azione e Italia Viva, intente a realizzare un “Governo Ursula”, presieduto da Draghi o da una figura istituzionale trendy, così da normalizzare o dividere il M5S e riportare il Pd a servizio degli interessi più forti.
Meno comprensibile per il Pd, il quale dovrebbe stare attento a contribuire all’annullamento delle posizioni eterodosse espresse dai grillini, valore aggiunto in termini di riferimenti sociali e consenso elettorale. È stato evidente nei giorni scorsi il fine tattico del Nazareno: staccare Forza Italia o, meglio, alcuni senatori e deputati sofferenti per il dominio di Salvini e Meloni nel centro-destra e spostarli verso la coalizione con l’alleanza M5S-Pd-LeU, così da rendere, ai fini della maggioranza assoluta per il Conte Ter, inessenziale Italia Viva. Ma è stato utile?Lasciamo stare i tatticismi. Andiamo alla sostanza. Che vuol dire europeismo? Giuramento di fedeltà ai Trattati europei? Non mi pare. Tanti europeisti senza se e senza ma vorrebbero cambiarli in modo profondo. Vuol dire, allora, la posizione che, a Strasburgo ha portato a votare a favore della Commissione Von der Leyen? Ricordo che né Syriza dell’ex premier greco Tsipras, né Podemos dell’attuale vice-premier spagnolo Iglesias, per citare soltanto i partiti più famosi, l’hanno votata. Come non l’hanno votata i Verdi europei. Li mettiamo nel campo di Savini e Meloni? Ovviamente, no.
Allora? Si può essere europeisti e critici dell’europeismo reale senza suggestioni di exit? Si può essere europeisti “adulti”, nel senso dato qualche anno fa all’aggettivo utilizzato dal Presidente Prodi per dichiararsi affrancato dalle gerarchie di un’altra religione? Si può essere europeisti e rilevare che l’europeismo reale ha seguito il progetto di Friedrich Von Hayek, invece che il sogno di Altiero Spinelli? Si può essere europeisti e, soprattutto quando si è nati per stare dalla parte degli sfruttati, rimanere critici dell’impianto liberista dei Trattari europei e impegnati a denunciare e correggere gli effetti di svalutazione del lavoro determinati dal mercato unico europeo? Si può essere europeisti e rimarcare le radicali contraddizioni tra la nostra Costituzione, fondata sul lavoro e l’uguaglianza, e i Trattati europei, articolati intorno al primato della concorrenza e della stabilità dei prezzi? Si può essere europeisti e rilevare l’inesistenza del “popolo europeo” e riconoscere le radici culturali e morali dell’impraticabilità politica degli Stati Uniti d’Europa? Si può essere europeisti senza essere federalisti?
Veniamo alle conseguenze politiche sull’utilizzo dell’europeismo. Siamo sicuri sia nel nostro interesse nazionale mettere di fatto fuori dal gioco democratico partiti che rappresentano quasi la metà dell’elettorato, governano 14 Regioni e esprimono da diversi lustri le classi dirigenti delle aree italiane più grandi e più importanti sul piano economico e demografico, più integrate nelle catene del valore europeo? Con tale impostazione, come possiamo raccogliere seriamente gli inviti non retorici del Presidente Mattarella al dialogo tra tutti i partiti in campo per affrontare lo stato di emergenza pandemica?
La leader di Fratelli d’Italia insiste a definirsi europeista per un’Unione confederale. L’europeismo confederale sarebbe una declinazione accettabile dell’europeismo? Chi ha la titolarità unica per rispondere? Noi? No. L’unico criterio per rispondere è la coerenza con la nostra Costituzione. Difficile sostenere “oggettivamente” l’incompatibilità dell’europeismo confederale con la nostra Carta. Allora, se l’europeismo confederale fosse coerente con la nostra Costituzione, continuerebbe ad essere escluso dal “club” oppure la nostra Costituzione si considererebbe sotto-ordinata all’europeismo federalista?
Passiamo a Matteo Salvini. La “sua” Lega segue i suoi intellettuali di punta, molto visibili sui social e sui media, oppure le sue constituencies imprenditoriali padane? A dicembre 2018, nella fase di massima potenza del blocco “populista” al governo, non abbiamo visto la resa della Lega Salvini alla Commissione europea sullo “scandaloso” deficit di bilancio al 2,4%? La missione di Giancarlo Giorgetti per l’avvicinamento della Lega al PPE è un capriccio personale del moderato responsabile esteri del Carroccio oppure riflette i rilevantissimi interessi materiali rappresentati dalla Lega e inseriti nelle sub-forniture alle grandi imprese metalmeccaniche bavaresi?
Gli interrogativi non sottintendono tratti buonisti, né sottovalutano le caratteristiche delle nostre destre. Puntano ad evitare autogol strategici, oltre che gli effetti boomerang delle genialate tattiche. Sono sotto gli occhi di tutti le potenzialità per un cambio di stagione culturale e politica nell’Unione europea. La Bce si comporta come Banca centrale federale. E’ il dato rimosso, ma di gran lunga il più rilevante sul piano finanziario e sopratutto politico. La Banca d’Italia, in attuazione dell’APP e del PEPP decisi a Francoforte, soltanto nel 2020 ha comprato 216 miliardi dei nostri Titoli di Stato. Nel 2021, in assenza di ulteriore peggioramenti dello scenario, è previsto l’acquisto di un ammontare analogo. In un solo anno, acquista più dell’intera dotazione quinquennale per l’Italia del pur importante “Next Generation EU”. In sintesi, nell’Ue sono aperte prospettive potenzialmente progressive. Ma l’avverbio è fondamentale perché la partita è in corso e non vi sono rotte irreversibili. Anzi. I segnali da Bruxelles sono preoccupanti, a cominciare dal richiamo a invariate regole di finanza pubblica nel regolamento per i pagamenti di NGEU. Le potenzialità vanno coltivate con consapevolezza e intelligenza. L’impegno per coglierle deve, innanzitutto, puntare a costruire un minimo comune denominatore tra le forze politiche dell’intero arco costituzionale. Altrimenti, perché i “Frugali” o la Bundesbank dovrebbero cedere e affidarsi soltanto alla posizione pro-tempore di un governo dalle prospettive elettorali “incerte”? Una nazione seria, dotata di classi dirigenti adeguate, si misura dalla condivisione almeno basilare della collocazione internazionale. Quindi, attenzione. È un limite della nostra identità nazionale la delegittimazione reciproca sulla politica estera. Dovrebbe angustiare sia i “buoni” che i “cattivi”. Ma qui, mi rivolgo a noi, alla mia parte, al campo europeista. È pericoloso brandire l’europeismo per la riedizione della “conventio ad excludendum”.
È pericoloso perché implica scomunicare metà del campo elettorale, cancellare le differenziazioni in esso evidenti, allontanare ancor di più classi medie spiaggiate da riconquistare, temere le elezioni come l’apocalisse, quindi consegnarsi alla misericordia del senatore Renzi e predisporre ammucchiate elettorali senz’anima e senza risposte alle domande di protezione sociale e identitaria raccolte, in assenza di alternative, dalla destra “anti-europeista, xenofoba e autarchica”.
È pericoloso perché legittima i partner dell’Unione a scaricare l’Italia al primo passaggio di governo e la Bce ad inviarci un’altra lettera, come ai beni tempi di Trichet e Draghi, con la sinistra a fare il tifo per l’ingerenza esterna contro il regime berlusconiano per poi, inevitabilmente, perdersi nell’ “Agenda Monti”.
È pericoloso, infine, perché induce gli interpreti ad uno zelo dottrinario e subalterno, negativo per l’interesse nazionale declinato dalla parte delle fasce di popolo legate al lavoro subordinato, dipendente, autonomo o professionale, e alla domanda interna. Utilizzare l’europeismo come articolo di fede porta alla triste realtà ricordata del prof- Luciano Canfora che nel suo pamphlet per il centenario del PCI (“La metamorfosi”, Laterza): la sinistra “è ridotta ad attestarsi - quale nuova ‘linea del Piave’ sul binomio europeismo-liberismo” ... “un tale ‘europeismo -la cui faccia vergognosa è il Trattato di Dublino - vorrebbe essere la nuova forma dell’internazionalismo, quasi un intellettualistico ritorno alle ‘origini’ ... Ma nella realtà effettuale è piuttosto l’internazionalismo dei benestanti.”
Non è utile spingere nel campo anti-europeista qualsivoglia posizione fuori dal coro dell’europeismo mainstream. Costruire la propria identità nella delegittimazione dell’avversario è la strada percorsa durante la cosiddetta “Seconda Repubblica” per sconfiggere Silvio Berlusconi. Nella “Prima”, l’anticomunismo svolgeva la funzione oggi invocata per l’europeismo. Sappiamo come sono finiti i film, sia per i grandi sacerdoti, sia per gli scomunicati sia, aspetto prioritario, per l’Italia. Sul piano tattico può portare facilmente all’autogol e al completo commissariamento dell’Italia con conseguente azzeramento di ogni residuo spazio di autonomia politica: dopo aver posto l’europeismo mainstream come discrimine tra il bene e il male, è più difficile resistere all’offensiva per un bel “Governo Ursula”.
Per arrivare al Conte Ter, affidiamoci alla nostra Costituzione e agli interessi economici e sociali da rappresentare. È la rotta più efficace trovare la nostra missione, per escludere dalla maggioranza di governo le destre nazionaliste e per combatterle sul terreno elettorale, senza l’autolesionismo della delegittimazione reciproca.
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