https://contropiano.org
In occasione dell’anniversario della nascita di José Martí, Luciano Vasapollo interviene per sottolineare come il suo pensiero sia in sintonia con quello non solo di Marx ma anche di Bolivar, Gramsci, Guevara.
Innanzitutto lo studioso parte dal considerare la Weltanschauung nella quale Marx era immerso: “Non si può assolutamente esulare – inizia – dalla peculiarità del periodo storico concreto nel quale si sono sviluppate le sue opere, le sue idee e la sua azione rivoluzionaria. Siamo nella seconda metà del diciannovesimo secolo caratterizzato da importanti trasformazioni economiche e sociali in tutto il mondo”.
Se
però la storia ricorda sempre la Rivoluzione industriale, “altre
colonie, come quelle spagnole, vivevano in schiavitù. Lo sviluppo era
legato completamente a Cuba con la produzione dello zucchero. La messa a
produzione del profitto di questo prodotto, se da un lato ha sviluppato
il sistema schiavista, ha anche creato le contraddizioni che hanno
accelerato il processo di autodeterminazione e di indipendenza in questi
anni”.
Ed
è qui che José Martí fa la sua comparsa: “egli vive e partecipa ai
movimenti delle lotte patriottiche. Inizia a scrivere dei suoi anni
vissuti da deportato politico a Madrid, e grazie allo studio, fonda la
struttura del suo pensiero socio-economico”.
Le
sue categorie di studio trattano “temi come quello del lavoro, della
proprietà, della ricchezza e non trascurando neppure la vita spirituale e
materiale dei popoli. Così riesce a criticare tutta la struttura della
società nordamericana, finendo per valutare e affermare
l’anti-colonialismo spagnolo fino a realizzare l’ascesa
dell’imperialismo nordamericano”.
Il
suo pensiero era dunque storico, sociale e politico ma non solo: anche
economico, sempre in un’ottica democratica partecipativa ,contrario sia
all’imperialismo americano , sia al colonialismo spagnolo.
Martí anelava a creare “una società libera, giusta, di uguaglianza
sociale. Una società cubana nella quale vi sia l’autodeterminazione e
l’indipendenza politica a partire dalla sovranità sulle risorse
nazionali, il che significa anche avere una propria economia nazionale”.
Luciano
Vasapollo però sottolinea come “le rivoluzioni di indipendenza in
quella che lui chiamerà la Nuestra America – che noi, per meglio
definirla, spesso chiamiamo la Nostra America indo africana – non
attivano una vera trasformazione dell’era coloniale fino in fondo. La
sua aspirazione era di portare Cuba all’indipendenza, alla realizzazione
di una repubblica diversa da quella che lui aveva conosciuto”.
La
Cuba che sogna è una società ove a regnare è “l’uguaglianza, la
giustizia sociale per le grandi masse popolari. Si pone a favore dei
poveri, a favore degli umili in cui la distribuzione dei beni naturali
non sia più fortemente diseguale, come accadeva non solo a Cuba, ma
anche negli stessi Stati Uniti”.
A proposito delle risorse naturali infatti, “Martí sosteneva che la terra era un bene pubblico e quindi doveva appartenere al popolo, alla nazione. L’espropriazione della terra era uno dei problemi fondamentali che doveva risolvere la nuova Repubblica che quindi si può definire dei lavoratori, dei piccoli produttori. Sono loro che devono rompere la concentrazione della proprietà terriera e devono garantire la redistribuzione della ricchezza della proprietà. Se non è Socialismo questo, ditemi voi che cosa è!”
José
Martí dunque sviluppa un programma a favore dell’indipendenza
economica: “sia grazie alla piccola produzione agricola, sia alla
creazione di industrie nazionali capaci di competere con le straniere”.
Lo Stato ha un compito ben preciso: “deve essere innanzitutto garante
dell’educazione. Al centro del pensiero di Martí vi è l’educazione,
l’istruzione”.
Famosissima è una frase da lui stesso pronunciata: “essere colti per essere liberi”.
L’istruzione
del popolo dunque, continua Vasapollo, “deve essere al centro del
processo di libertà, del progresso tecnico e scientifico”.
Ciò
non doveva però avvenire “solo a Cuba, ma in tutti i paesi dell’America
Latina. La Repubblica per Martí si realizza solo con l’inclusione degli
altri paesi sudamericani”.
Principio
cardine era sempre il trasmettere : “l’amore rivoluzionario, l’amore
per la sincerità verso verso il proprio popolo, verso gli amici, verso i
fratelli e verso l’umanità”.
Perché “senza amore e sincerità non si muove nessun processo rivoluzionario”.
Vasapollo ha scritto molti articoli in cui ha messo in rapporto il pensiero di Martí con quello di Gramsci.
“Non per creare dei cortocircuiti teorici o cronologici – mette in
evidenza l’economista -, ma perché secondo me ci sono delle confluenze
oggettive sul discorso della cultura popolare e sulla rivoluzione come
atto profondo d’amore verso il popolo, verso chi ti dà fiducia verso i
compagni”.
Un
esempio è “il rifiuto della dittatura culturale ovvero l’ideologia del
capitale. Che nel pensiero gramsciano e martiano possiamo vedere porre
in essere la contrapposizione con un Internazionalismo, ove si riconosce
universalmente la classe degli esclusi, dei figli degli sfruttati come
popolo della nuova umanità. Oggi a questi due grandi nomi, Martí e
Gramsci, aggiungerei sicuramente Bolívar e i due comandanti eterni Fidel
Castro e Chavez”.
Recuperare
oggi il loro pensiero è importante, in quanto “battaglia per la
liberazione anti imperialista. Ora si è ancora sottoposti al dominio
dell’Imperialismo, come la resistenza eroica del popolo del Venezuela e
del popolo cubano dimostra, cercando di combattere contro l’infame
blocco e l’aggressione che ricevono tutti i giorni”.
Martí aveva teorizzato la Nueva America, così come contro l’Imperialismo e il Colonialismo, così come Gramsci si era posto il problema del riscatto di classe del Meridione che, afferma Vasapollo, non è mera prospettiva “geografica, ma è una dimensione più generale che Gramsci riferisce al nostro Sud”.
“Coniugando
le idee di Martí e di Gramsci possiamo pensare al Meridione come il Sud
degli oppressi che lotta contro il Nord imperialista, sia esso degli
Stati Uniti, sia esso italiano o europeo. La questione del Sud è una
questione sovranazionale che si coniuga al concetto di sovranità
nazionale e di sovranità di classe dai Quaderni di Gramsci ed è passato
tutto attraverso la creazione del PCI, il Partito Comunista, di cui
qualche giorno fa si sono ricordati i cento anni dalla nascita.
“I
comunisti, i rivoluzionari Martiani e gramsciani hanno guidato e
guidano tutt’oggi le azioni degli uomini e delle donne che credono
fortemente nell’idea, non solo anti imperialista di autodeterminazione,
ma di Patria libera da qualsiasi dominio”.
L’ideale di Martí “di miglioramento dell’individuo, di cultura, di amore, di rispetto forma i diritti fondamentali dell’uomo e rimane nella pratica rivoluzionaria non solo di Cuba”. Questo si vede anche tuttora, se si pensa “ai medici cubani in tutto il mondo, ai maestri cubani in tutto il mondo, alla brigata medica per la quale stiamo chiedendo il premio Nobel per la Pace”.
“Le
differenze – aggiunge Vasapollo – tra il pensiero di Martí e quello di
Marx sono soprattutto nello spazio geografico e nella tradizione
culturale nelle quali i due sono vissuti. Marx è l’espressione del
movimento di classe europeo e dove il capitalismo era arrivato al suo
massimo sviluppo e alle contraddizioni di classe. Martí invece
rappresenta la tradizione emancipata dalla schiavitù dell’oppressione
coloniale”.
Lo
studioso Vasapollo incita i giovani “anche in Occidente, di abbandonare
una impostazione da l’Occidentalcentrismo della visione marxista dei
nord e approdare anche alla lettura e applicazione del dire e fare di
Martí”. “un grande rivoluzionario, un grande intellettuale militante.”
L’opera scritta e l’opera pratica di Martí – si rammarica – non è conosciuta purtroppo in Italia e in Europa in generale. Perlomeno non lo è abbastanza in relazione all’importanza storica, teorica e pratica di questo grande rivoluzionario”.
Lo
studioso marxista che collabora autorevolmente a FarodiRoma è convinto
infatti che “le discipline, così come i processi rivoluzionari, non
possono essere vissute in compartimenti stagni, non possono essere
vissute in chiave pedagogica pura, ma in chiave di pedagogia
rivoluzionaria. Io non voglio entrare in polemica con altri partiti, con
altre strutture, ma la Rete dei Comunisti ha sempre rappresentato un
punto di vista diverso non solo nell’analisi economica e politica della
crisi capitalista , ma anche nel coordinare il pensiero teorico Marx a
Lenin, fino a Fidel a Chavez passando per Gramsci e Guevara ”.
Il nostro compito è “attualizzare questo pensiero come una continuazione del pensiero marxista, martinano e gramsciano. Questi non sono assolutamente ferri vecchi. Basta usare l’intelligenza, la capacità di attualizzazione, il coraggio e il riconoscimento popolare per riproporre come materia viva l’analisi concreta di questi nella formazione dei nostri giovani, così da formare soggettività in grado di mettere in discussione l’ordine esistente, l’ordine imperialista e capitalista”.
Per
Vasapollo il riconoscimento popolare significa “fare i conti con i
sentimenti di appartenenza nazionale e di autodeterminazione attraverso
una cultura di rottura ma che porta al suo interno un profondo senso per
l’amore rivoluzionario”.
Afferma
a gran voce: “Io penso che bisogna riportare questo pensiero a quello
che oggi sta avvenendo per esempio a Cuba, in Venezuela, nei Paesi
dell’ALBA che con le loro differenze sono comunque vive transizioni al
Socialismo che camminano in una diversa modalità applicativa e con
culture diverse da quella di noi comunisti occidentali, ma alle quali
siamo uniti nella speranza di poter trasformare non solo il nostro Paese
ma di costruire una nuova umanità ricca di amore rivoluzionario . Noi
comunisti che viviamo in Europa non esisteremmo senza Martí, non solo, e
non tanto, per ragioni teoriche, ma anche per la capacità di tener vivo
un faro rivoluzionario anti Imperialista che unisce tutti i Sud e a
tutte le latitudini dei Sud.
Io
sono estremamente convinto, come facevo notare anche in vari scritti,
che si può oggi dare un contributo, ai giovani, ai meno giovani, agli
studiosi affinché pongano dei confronti non solo all’interno dell’ambito
accademico ma investano in forme di sperimentazione, di attivazione del
divenire storico”
La Rivoluzione infatti “deve avere un ruolo intellettuale collettivo e militante che lavori per l’emancipazione”.
Si
deve dar vita a una riattivazione e rielaborazione delle posizioni
culturali e di azione di Martí “perché le colonne portanti del suo
pensiero e dei suoi scritti sono essenzialmente tre: l’etica, il
sentimento, la presa di posizione a favore delle classi popolari.
L’etica deriva dalla sua cultura familiare e dal concetto di amore anche
di stampo cristiano a favore delle classi popolari. Martí intendeva
realizzare un canale di resistenza per l’autodeterminazione aperto per
Cuba a tutta l’America Latina.
Egli
studiò molto “le scienze economiche e questo è importante. Perché
attraverso la conoscenza della realtà economica e politica di un paese
si possono proporre soluzioni adeguate per concentrare e centralizzare
ma non alla maniera capitalista-monopolistica. Quando Martí arriva negli
Stati Uniti è affascinato dal movimento operaio e dalle sue idee di
eguaglianza tra gli uomini. Uguaglianza data dal lavoro che arricchisce
l’uomo e dona vantaggi fisici, materiali ma soprattutto morali”.
Il problema era “l’appropriazione della ricchezza non ottenuta col proprio lavoro ma con quello altrui, cosa che genera contraddizione fra proprietà e ricchezza”.
Per
questo Martí era solito dire: “Guardate che il monopolio è un gigante
alla porta dei poveri. Tutto quello che si può intraprendere
economicamente è nelle mani delle grandi aziende e delle corporazioni
formate da associazioni di capitale. Non ci si può opporre senza partito
con una capacità rivoluzionaria.
Idea fondamentale anche per tutti quei giovani occidentali che vogliono
mettere in discussione lo stato presente delle cose. Per questo devono
rivolgere lo sguardo al pensiero di Bolívar, di Gramsci, di Fidel Castro
e di Chavez al fine di studiare concretamente dei percorsi di
emancipazione collettiva”.
Conclude Vasapollo: “Oggi, in questa fase di crisi sistemica economica aggravata dalla crisi sociale della pandemia, il respiro di chi vuole una diversa umanità deve essere più ampio. Dobbiamo ricominciare a ragionare sulle fasi storiche della politica di trasformazione, sui cicli rivoluzionari. Bisogna mettere in relazione la strategia del cambiamento con dei passaggi tattici. Il senso della rivoluzione, della spiritualità nell amore per chi ti ama , amor con amor si paga, per il fare politica rivoluzionaria ,della capacità di fare cultura di classe , dell’agire quotidiano in senso rivoluzionario che si legge in Martí e che è punto di riferimento per un attuale studio e pratica del cambiamento”.
* da Il Faro di Roma
Nessun commento:
Posta un commento