venerdì 5 febbraio 2021

Finalmente la verità

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Il più grande tabù sulla droga è caduto: la cannabis è una medicina. Lo scorso 2 dicembre l’Onu ha riconosciuto le proprietà terapeutiche della cannabis, la stessa organizzazione internazionale che quasi 60 anni fa inserì questa pianta tra le sostanze stupefacenti più pericolose su questo pianeta. Una svolta storica che pone delle questioni di fondo: è questo un nuovo inizio? La “war on drugs” cominciata con una conferenza stampa del presidente americano Richard Nixon nel 1971 è davvero finita? Il voto della Camera dei rappresentanti USA a favore della decriminalizzazione a livello federale rende possibile una nuova narrazione mondiale sulla cannabis? La risposta è semplice: sì, se sapremo trasformare questa decennale battaglia di pochi nella vittoria di tutti. Per la libertà di consumo e per il diritto a curarsi. Per una nuova e fiorente economia. E per il contrasto tanto alle mafie quanto all’ipocrisia di Stato.

Durante la 63esima sessione, convocata a Vienna, la Commissione sugli stupefacenti ha discusso sei raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che hanno posto il dibattito sulla cannabis come medicina sotto i riflettori globali, allentando definitivamente la posizione proibizionista delle Nazioni Unite sulla cannabis. La raccomandazione più significativa, e l’unica delle sei approvate, ha riconosciuto il valore terapeutico e dunque, l’importanza scientifica, della cannabis.

Tecnicamente questo avviene rimuovendo la cannabis e i suoi derivati dalla Tabella IV delle sostanze stupefacenti, quella che elenca le droghe pesanti, secondo la codificazione stabilita dalla Convenzione Unica del 1961 sugli stupefacenti. Tuttavia, la cannabis resta nella Tabella I, quella delle sostanze il cui abuso è da considerare pericoloso.
La portata rivoluzionaria di una tale decisione sta proprio nel fatto che proviene dagli stessi Stati che per decenni hanno condannato il settore della canapa. Una decisione rinviata più volte ma alla fine vinta, faticosamente, con soltanto un voto di scarto. Gli Stati Uniti e gli Stati europei sono stati tra coloro che hanno votato a favore, con l’unica eccezione dell’Ungheria di Orban che ha preferito allinearsi con gli stati proibizionisti di Cina, Russia e Brasile. Se da una parte le scelte ideologiche continuano ad avere la meglio come in moltissimi paesi africani, la ricerca e l’evidenza scientifica sembrano essere arrivate al cuore dei paesi asiatici come India, Pakistan e Nepal che con il loro parere positivo si sono rivelati decisivi per eliminare la cannabis dalla Tabella IV delle sostanze stupefacenti. Inoltre, mentre in tutte le sessioni precedenti l’Organizzazione mondiale della sanità aveva segnalato nuovi composti psicoattivi per la loro iscrizione nelle tabelle delle Convenzioni, questa è stata la prima volta che è stata raccomandata l’esclusione di una sostanza dalle tabelle.

Cosa cambia adesso? Potenzialmente tutto. D’ora in avanti chi produce, commercia, prescrive e riceve cannabis terapeutica non dovrà più sottostare allo stretto controllo imposto a livello internazionale alle sostanze con potenziale psicoattivo. Sarà più facile coltivare (naturalmente indoor e seguendo le buone pratiche e gli standard internazionalmente stabiliti) e si aprirà a una liberalizzazione il commercio e l’acquisto dei prodotti.
A parere degli osservatori più esperti, il voto delle Nazioni Unite accelererà ulteriormente il crescente mercato globale della cannabis medica e semplificherà la ricerca. Ma avrà anche dei risvolti generali nell’«aiutare a cambiare le percezioni sulla cannabis e su quanto rigorosamente deve essere controllata», come ha dichiarato a Cannabis Wire Ann Fordham, Direttore esecutivo dell’International Drug Policy Consortium. E tuttavia, sempre seguendo Fordham, che la cannabis rimanga nella Tabella I è «problematico», poiché «la decisione originale di metterla sotto un regime così rigoroso non era basata su prove scientifiche ma su atteggiamenti razzisti: qualcosa che dobbiamo contestare oggi».

E moltissimo infatti conosciamo della dispendiosa e ideologica guerra alla droga in atto da decenni. Molto poco, invece, viene raccontato sui fallimenti delle politiche proibizionistiche che hanno innalzato un muro di stereotipi e contraddizioni. Punire, censurare, colpevolizzare, condannare: per troppo tempo sono sembrati il modo migliore per dimenticare il problema. E mentre le carceri si riempivano e i cani segugio arrivavano nelle scuole (anche in Italia), le mafie internazionali riempivano i loro portafogli di soldi e della solitudine di milioni di consumatori costretti a rivolgersi a loro.

Questa visione miope viene da molto lontano e viene esattamente dalla ratifica a New York della Convenzione Unica sugli stupefacenti, il 30 marzo del 1961. Lì venivano posti i primi mattoni del proibizionismo, con un accordo internazionale che inseriva la cannabis nella Tabella IV, la più restrittiva, al pari di altre sostanze come eroina e cocaina. Le nazioni firmatarie si impegnavano quindi a criminalizzare la coltivazione, la produzione, l’estrazione, la preparazione, il possesso, l’importazione ed esportazione: tutto solamente per una pianta. Ma tale scelta aveva inconsapevolmente diffuso uno stigma sociale che andava ben oltre qualsiasi cifra numerica, finendo per svantaggiare soprattutto le comunità più fragili senza nessuna possibilità di dibattito. Oggi, anche se con una estenuante lentezza, i muri eretti dalla guerra alla droga stanno iniziando a sgretolarsi. Colpo dopo colpo, si sta mettendo fine una volta per tutte ai disastrosi anni del proibizionismo con referendum, sentenze e votazioni internazionali. E da ultimo, con questo voto dell’Onu. E, seppure parziale, la vera vittoria è stata quella di riportare la scienza al centro del dibattito. Infatti, la cannabis continuerà ad essere fortemente controllata e disincentivata per l’uso ricreativo, ma verranno meno tutte quelle complicazioni dovute alle regole internazionali per la produzione, estrazione e studio per fini scientifici, facilitando così lo scambio di conoscenza tra Paesi. Tutto questo servirà per comprendere ciò che per noi è ovvio da decenni: che legalizzare significa controllare, informare, dialogare, migliorare e crescere.

Anche se molti ritengono che questo sia solo un piccolissimo passo, bisogna riconoscere che questa è in realtà la prima volta in 60 anni che le Nazioni Unite si riuniscono per una revisione così avanzata sulle sostanze stupefacenti. Sembrerebbe davvero un nuovo inizio, un cambio di paradigma, una svolta. No, non è caduto il muro di Berlino, ma nell’aria si inizia a respirare finalmente un po’ di libertà in più. E per una volta possiamo finalmente parlare di scelte prese grazie alla valutazione di evidenze scientifiche. E in Italia? L’attenzione alle evidenze scientifiche dimostrate dal governo italiano all’Onu adesso deve essere praticata a casa. La parola d’ordine è: semplificazione. Semplificazione della produzione, importazione e prescrizione e, visto l’allentarsi della pressione regolatoria internazionale, investimenti in ricerche e trial clinici per ampliare la possibilità terapeutica di una pianta che da millenni cura.

Da 13 anni, nel nostro Paese è consentito il ricorso alla cannabis terapeutica se in possesso di regolare prescrizione medica, ma molto spesso il fabbisogno è superiore alla produzione e all’importazione del farmaco. Un fenomeno che, legato alla poca informazione in merito, rende farraginoso e complesso l’approvvigionamento della terapia da parte dei pazienti che molto spesso sono costretti a misure come l’autoproduzione. Tra i tanti, il caso di Walter De Benedetto – paziente affetto da una malattia neurodegenerativa invalidante che assume cannabis medica per contrastare questa patologia – che non riuscendo a ottenere la terapia per la sua artrite reumatoide – pur essendo in possesso di una prescrizione – ha deciso di fare da sé e produrla in giardino. Finendo indagato per un reato per il quale rischia fino a sei anni di carcere.
Secondo il report Estimated World Requirements of Narcotic Drugs 2020 dell’International Narcotics Control Board, l’Italia ha un fabbisogno di 1.950 kg all’anno di cannabis medica. A fronte di tale domanda, sulla base di quanto pubblicato sul sito del Ministero della Salute, lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (SCFM), nel 2019, ha distribuito alla Farmacie cannabis per soli 157 kg. Lo stato italiano, per rispondere alla domanda interna, ha dovuto acquistare 252 kg di prodotti importati dall’Olanda. L’Italia è stata tra i primi in Europa a dotarsi di leggi ad hoc sul tema, ma restano enormi problemi di produzione o approvvigionamento. E, nonostante si registrino avanguardie nella ricerca – un anno fa all’Università di Modena e Reggio Emilia sono stati scoperti nuovi principi attivi della cannabis – le risorse per la ricerca scientifica restano minime.

Speriamo che il voto delle Nazioni ci faccia pensare a tutto ciò soltanto come a dei brutti ricordi del passato. Anche perché il futuro bussa prepotentemente alle nostre porte. Pensiamo solo, cosa è accaduto soli due giorni dopo negli Stati Uniti: il 4 dicembre, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato il disegno di legge per la depenalizzazione della cannabis a livello federale. Le parole chiave che hanno accompagnato la votazione sono state sicurezza e giustizia: al centro della discussione l’uguaglianza sociale – un tema che ha segnato gli USA lungamente in questo 2020 – infatti, nonostante il consumo di cannabis sia ugualmente distribuito, le persone che più frequentemente subiscono le conseguenze della giustizia sono, nel 75% dei casi, nere o ispaniche. La proposta, oltre a eliminare la cannabis dalle sostanze sotto controllo, eliminerebbe le precedenti condanne legate alla stessa, tasserebbe i prodotti a base di cannabis per aiutare le comunità che hanno sofferto maggiormente la guerra alla droga e fornirebbe prestiti alle piccole imprese che cercano di entrare nell’industria del prodotto. Nonostante il largo margine di voti favorevoli alla Camera dei Rappresentanti – 228 Sì – 164 No, un divario notevole – prima di diventare legge, il disegno deve essere approvato al Senato dove attualmente i repubblicani detengono la maggioranza.

La storia, come sempre va avanti. E le notizie che ci arrivano da tutto il mondo ci pongono davanti a un bivio: scegliere se inseguirla, oppure decidere di stare al passo.

a cura di Antonella Soldo
Esperta di politiche sulle droghe, coordina la campagna Meglio Legale, per la legalizzazione della cannabis

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