https://fulviogrimaldi.blogspot.com
"Quando i bambini negli spot TV, i media e le più alte cariche dello Stato diventano imbonitori per conto altrui, il popolo intero abita in un menzognificio" (Prof. Salomone Viendalmare, Università di Spilimbergo, 1987)
Fallita l'Operazione Regeni, saltano le cautele diplomatiche
Perchè magistratura e governo egiziani hanno tardato tanto a dirla tutta, e chiara, sull’operazione anglo-italiana di Giulio Regeni, nella quale si sono sporcati faccia, mani e morale tutti i militanti politico-mediatico-sociali del bellicismo atlantista? Gli stessi del dogma globalista detto pandemia? Ciò che hanno evidenziato, afferma la Procura del Cairo, è che l’operazione Regeni era made in Intelligence; che si è trattato di un complotto; che nella fine di Regeni hanno agito due soggetti: la banda di malviventi che lo ha derubato (anche dei documenti) e che muore nel conflitto a fuoco con la polizia, e un’entità sconosciuta che lo ha eliminato. Ritrovamento e successiva grancassa di accuse al governo Al Sisi hanno avuto lo scopo di minare e impedire i rapporti tra Egitto e Italia e gli importanti affari che vi erano connessi. Di conseguenza le indagini e conclusioni della Procura sarebbero del tutto prive di fondamento e avrebbero mancato il bersaglio giusto. Il discorso è di un'evidenza solare suggerisce ai regenisti nostrani, un tempo virulenti invettivisti, di mantenere il profilo bassissimo nel dare la notizia.
Immagino che si debba essere trattato di una precauzione diplomatica. Rivelando una verità confortata, mica da tre, da decine di indizi probanti, si sarebbero indicate precise responsabilità di due Stati “amici”, Regno Unito e Italia, con conseguenti rischi di ritorsioni fino alla rottura. Ora, la tracotanza dei governi in questione, l’accanimento sul nulla della calunnia mediatica da parte della magistratura e stampa italiane, non hanno reso possibile mantenere questa cautela. E poi, giustamente, al Cairo si sono rotti le palle.
La tessera Regeni nel mosaico delle "primavere arabe"
Una rivoluzione di popolo, dopo un anno di vessazioni e repressione di lavoratori, laici e fedeli copti, affidò nel 2013 il paese alla forza, storicamente patriottica, dei militari di Abdel Fatah Al Sisi. Conseguentemente, i neocolonialisti dell’Occidente persero il loro principale caposaldo in Nord Africa e Medioriente. La Fratellanza Musulmana, creata dai britannici e, da allora, fiduciaria della lotta al panarabismo laico e socialista, portata al potere dal golpe elettorale di Mohammed Morsi (17% dei voti, astensione di tutte le forze laiche), venne spazzata via. Per la collettività araba, una vendetta trasversale per la distruzione della Libia e il linciaggio di Gheddafi.
Stragi da urlo e stragi da silenzio
La sconfitta del loro proconsole in Egitto, Stato più grande e più importante del mondo arabo, pianta da tutti media, con per insetto cocchiere la newsletter del Deep State, “il manifesto”, fece innescare al colonialismo, alla Nato, al fratello musulmano-Nato, Erdogan, del fratello musulmano Morsi, il braccio militare della Fratellanza. Un terrorismo dalle varie denominazioni, Isis, Al Qaida, Boko Aram, SI, ecc., già collaudato con successo in casa e fuori, dall’Europa al Maghreb, a Siria, Iraq, Cecenia e poi Afghanistan, Sahel e Nagorno Karabakh. Da allora a oggi, anni di massacri di esponenti istituzionali egiziani, di civili, militari e poliziotti. Una strage continua, occultata dai media, tuttora in corso, sebbene Al Sisi sia riuscito a confinarla nel Sinai. Una strage che è diventata una guerra allo Stato e al popolo tutto, rispetto alla quale gli attentati in Europa, giustamente circondati dall’esecrazione universale, sono episodi periferici.
Non poteva non essere attivata, da parte del neocolonialismo, già manipolatore delle varie primavere, arabe e non, l’arma dello spionaggio e della destabilizzazione. Un quadro nel quale va inserita tutta la vicenda Giulio Regeni, iniziata nei covi del MI6 a Cambridge e proseguita dalle esperte centrali locali: l’Università Americana del Cairo e le varie ONG locali, affiancate da espressioni mimetizzate della CIA, come Amnesty International, NED, e HRW.
Devo dire che mi sono sentito abbastanza solo in questi anni, quando mi sono occupato di Regeni in opposizione allo tsunami delle falsità e delle calunnie a voce unica mediatica e politica., La mia narrazione degli eventi, basata su dati di fatto e logica difficili da contraddire, non ha, infatti, mai ricevuto smentite. S’è preferito star zitti, piuttosto che darmi addosso e sollevare da sotto il tappeto la polvere.
L’allievo dell’Università di Cambridge, dalla quale riceve un mandato da attuare al Cairo, mai rivelato agli inquirenti, sparisce il 25 gennaio 2016 e viene ritrovato morto, con segni di tortura, su una strada poco fuori dalla Capitale, il 3 febbraio. E’ il giorno in cui una delegazione italiana di alto rango incontra i suoi equipollenti egiziani e il presidente Al Sisi per concludere e firmare una serie di trattati commerciali di elevato valore che comprendono ZOHR, il più vasto giacimento di idrocarburi del Mediterraneo, affidato all’ENI. L’incontro salta alla notizia del ritrovamento del corpo di Regeni, che dell’annullamento è evidentemente la causa, con conseguente danno per entrambi i contraenti. Grossi sono invece i vantaggi che si aprono a concorrenti meno disposti a inchinarsi alle trovate dei servizi occidentali.
La logica ci dice che un regime che tortura, uccide e poi fa ritrovare in strada la vittima, è un regime di puffi dediti alla baldoria lisergica. Cosa che quello egiziano, anzi, i suoi servizi segreti, non sono mai stati. La logica aggiunge che, con l’Italia fuori dai piedi, perchè alla mercè di governanti e media che curano gli interessi propri e dei loro poteri di riferiimento e non, sia mai, quelli della nazione, il vasto mercato e i vastissimi giacimenti egiziani finiscono alla portata di altri.
Storia di una giovane promessa
I fatti ci dicono che la formazione di Regeni è iniziata negli US,A presso istituti legati all’Intelligence. E’ proseguita con la colloborazione, poco prima di recarsi in Egitto, a Oxford Analytica, società multinazione di spionaggio diretta da un trio di specchiata esperienza: John Negroponte (squadroni della morte in Nicaragua e Iraq), Colin McColl, ex-capo del MI6 britannico e David Young, caposquadra dell’operazione Watergate di Nixon. La sua base operativa al Cairo era la American University, da sempre santuario, come quella di Beirut, di personale vicino ai servizi occidentali.
Un investimento in progetti “colorati”
Vale a dire che è uno. in Egitto. che, sotto mentire spoglie, agisce contro le istituzioni. In qualsiasi stato questo è considerato spionaggio e sabotaggio e viene punito con la massima pena. Abdallah, dati i suoi rapporti col ragazzo, capisce che la proposta è di un lavoro di destabilizzazione del paese e ne dà comunicazione ai suoi referenti nella Sicurezza. Fa il suo dovere di cittadino. Del “Progetto” nessuno degli inquirenti romani si chiede mai il cosa, come, perchè.
Un flop pagato con la morte
A questo punto, e qui siamo in area ipotesi, logiche peraltro, i mandanti di Regeni si rendono conto che il gioco è stato scoperto, l’operazione è fallita, l’inviato è bruciato. Rientra nelle tradizioni di tutti i servizi disfarsi di un operativo ormai controproducente. Tutto questo non è stato mai minimamente preso in considerazione dai nostri magistrati, dai media sputafuoco, capeggiati da un Giuseppe Giulietti, presidente FNSI, visibile nelle centinaia di presidi di Amnesty pro-Giulio (mai in quelli per Julian Assange!!!), da Luigi Manconi, immancabile dove vi sia da sostenere il politicamente abietto, da un personaggetto come Roberto Fico, che arriva al nonsenso di “rompere i rapporti tra i parlamenti dei due paesi”.
Una Procura al di sopra di ogni sospetto
Dopo ripetuti incontri e scambi tra la magistratura del Cairo e la Procura romana (quella di Pignatone e di altri trascorsi indimenticabili), gli inquirenti romani hanno un fugace pour parler con la tutor di Regeni all’Università di Cambridge, caratterizzato da silenzio-assenso e poi morta lì. Per quattro anni i togati romani hanno pestato nel mortai, qualsiasi cosa il Cairo gli fornisse. Ma ora, la Procura impeccabile dell’ex-Pignatone ora uomo-giustizia del Papa, te pareva, e del successivo Palamara, ha tagliato la testa al toro. Quello immaginario, tipo Creta.
L’uovo di Colombo degli eredi di Pignatone: Li processiamo noi, tanto sono in contumacia, e li mandiamo dritti all’inferno, almeno a quello della riprovazione universale. Vengono scelti e accusati, del tutto a casaccio, quattro dirigenti della Sicurezza cairota. Per i quali di prove, documenti e testimonianze ce ne sono quante per il leggendario Gesù, davanti a Ponzio Pilato. Ma media e politici volano all’apogeo della soddisfazione “per giustizia fatta o, almeno, in vista”. Salta fuori, dopo quattro anni, anche “il testimone”, tipo Kafka, che giura di aver visto (glielo hanno fatto vedere apposta perchè li incastrasse!) il povero Giulio, maltrattato, con segni di percosse, ammanettato in una stanza della Sicurezza del Cairo.
E, ciliegina sulla torta, risolutiva per la damnatio di uno di cui non sai un cazzo, che ha fatto il sindacalista-spia Abdallah, dopo l’incontro dei 10.000 dollari per un “progetto”? Colpo di scena del “sicario degli assassini”: ha telefonato nientemeno che all’ispettore della Sicurezza che lo aveva incaricato di seguire un Regeni ingiustamente caricato, nonostante i trascorsi nobili, di bruttissimi sospetti, E cosa gli aveva rivelato circa il complotto contro l’italiano? Nientemeno che lui, Abdallah, non riusciva a spegnere il videoregistratore e gli si dicesse come fare. Che altro occorreva alla Procura di Roma per dichiarare chiuse le indagini, ineludibili le accuse, da iniziare il processo. Impeccabili giuristi. Come con Virginia Raggi.
Al Sisi mostro, costi quel che costi!
Ci vuole qualcosa, per quanto indegno di qualsiasi procura seria, per almeno mettere alla gogna per un altro po’ Al Sisi e tutto il paese, “con tutte le sue pratiche di tortura e incarcerazione di massa?" Non le attestano Amnesty e HRW e “il manifesto”, testimoni inconfutabili, benchè lontani, delle efferatezze e degli gli abominii dei paesi che l’Occidente deve abbattere? Non ci sono forse 60.000 prigionieri politici in Egitto. E se sono quasi tutti malfattori e, soprattutto, terroristi ISIS dei Fratelli Musulmani, che hanno massacrato migliaia di poliziotti e civili, i diritti umani valgono anche per loro, no? Dopotutto, ci hanno reso dei favori contro il “tiranno” amico dei russi. Liberiamo anche quelli!
Qui non si tratta di fare le lodi del presidente egiziano. Io le condizioni vere del popolo egiziano non le conosco ed è giusto che sia più preciso una volta che ci sarò stato. Ma delle demonizzazione di leader e governi praticate in Occidente, mi fido meno dei diritti umani come propalati dal pensiero unico. Intanto so che i fondamentali dell'economia egiziana sono migliorati enormemente rispetto al passato. Che si è ridotta la disuguaglianza sociale. Che sono state costruite infrastrutture utili alla società. Che Al Sisi sta con i giusti: Assad e Haftar. Che di rivolte di massa non ce ne sono. Dirai che è perchè le si reprimono. Le reprimeva anche Morsi, che faceva bruciare le chiese copte, massacrava gli scioperanti e imponeva la Sharìa, ma le rivolte c'erano eccome.
Non solo Regeni. Sequestrato anche il suo computer. Dalla mamma.
Alla Procura del Cairo che, per i nostri razzisti e colonialisti di ritorno, non è che il foro
di un regime di subumani, ma che ha illuminato di fatti, logica e ironia quella di Roma, va sollecitata una domanda. Una domanda alla signora Regeni, madre di Giulio, attivista numero uno nell’esecrazione dell’Egitto, al cui dolore per la scomparsa del figlio rendiamo sincera partecipazione: “Perchè, cara signora Regeni, ha sottratto dall’abitazione del figlio al Cairo ai legittimi inquirenti, il suo computer e cosa ne ha fatto? Non potrebbe essere un formidabile elemento di prova? In un senso o nell’altro? La vogliamo la verità?" O no?
Nessun commento:
Posta un commento