domenica 24 gennaio 2021

Libro. LORENZO GUADAGNUCCI - Gli apprendisti stregoni del Dominio neoliberista.

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Il compianto Mark Fisher definiva “realismo capitalista” la convinzione diffusa che non vi siano alternative al sistema economico dominante, secondo il quale ogni aspetto della vita privata e collettiva può e deve essere mercificato e/o gestito come un’azienda. E’ il mondo in cui viviamo: un sistema di potere che ha conquistato le menti e imposto una visione del mondo, un linguaggio, una serie di credenze fino a rendere impensabile un altro modo di vivere e organizzare la società.

micromega LORENZO GUADAGNUCCI

 

E’ il perverso miracolo realizzato da un gruppo di economisti radicali, teorici del mercato come unico regolatore della società. Da intellettuali eccentrici e marginali, a dominatori ideologici del nostro tempo: la vicenda di personaggi come Friedrich von Hayek, Milton Friedman e seguaci – i campioni del neoliberismo – è per un verso affascinante, per molti altri agghiacciante. Com’è stato possibile il loro successo planetario? La loro affermazione pressoché totalitaria? Un pezzo di risposta è nel ruolo giocato dai milioni di dollari dei think thank statunitensi (finanziati dai grandi capitalisti del paese) che a partire – almeno – dagli anni Settanta hanno avviato una potente opera di persuasione e propaganda, finanziando università, centri di ricerca, singoli studiosi e apparati di comunicazione. Senza dimenticare il ruolo del Premio Nobel per l’economia, inventato nel 1968 dalla Banca centrale svedese a presidiare il terreno della ricerca accademica.

La narrazione precedente, qualcosa di simile al modello social-liberale affermatosi in Europa, è stata alla fine scalzata dall’ideologia radicale del mercato; nuove parole d’ordine hanno preso il sopravvento: crescere, privatizzare, liberalizzare, abbattere i confini, affamare lo stato, insomma trasformare la vita collettiva secondo i canoni della vita aziendale. E’ il paradigma insegnato agli studenti di economia, applicato dai manager, ripetuto in ogni dove, accettato dalle forze politiche di destra e (ex) sinistra, alla fine subìto dalla popolazione.

E’ una storia di successo cominciata, politicamente parlando, nel Cile di Pinochet, che affidò ai Chicago Boys, economisti devoti all’estremismo di mercato, il miracolo economico della dittatura, a forza di privatizzazioni dei servizi essenziali, abbattimento delle libertà sindacali, riduzione dei salari, esportazioni. Il suggello, sempre politicamente parlando, arrivò con l’adesione al neoliberismo da parte delle socialdemocrazie europee, sull’onda della cosiddetta terza via sposata da Tony Blair e seguaci (fu Margaret Thatcher a indicare beffardamente il “New Labour” blairiano come il suo maggiore successo politico).

E’ una storia da studiare a fondo, come fa Marco D’Eramo nel suo bellissimo “Dominio” (Feltrinelli): solo capendo le ragioni di tale successo, è possibile pensare a una via di uscita.

Fra gli innumerevoli aspetti da considerare, ce n’è forse uno che li riassume tutti: la capacità dei teorici neoliberisti di imparare dai loro avversari. Hanno letto almeno Marx e Gramsci e “rubato” le idee forti della sinistra e degli avversari del capitalismo, per usarle ai loro fini, ribaltandone l’indirizzo. La lotta di classe è anche per loro la dinamica interna della società capitalistica, ma sono riusciti a farlo dimenticare: è così che i capitalisti hanno sopraffatto i lavoratori, mistificando la realtà, ben sapendo d’essere vincitori di un conflitto sotterraneo.

La lotta di classe c’è stata anche quando si è smesso di parlarne: è stata condotta dall’alto e l’hanno vinta i capitalisti. Le abnormi diseguaglianze presenti nascono da qui. I dominatori sono riusciti a far credere che non esistono più le categorie dello sfruttamento e dello schiavismo: la forza lavoro, nella loro narrazione, si presenta liberamente sul mercato e lì compie scelte razionali, massimizzando il proprio utile: le persone accettano certi salari in cambio del lavoro, corrono dei rischi nelle migrazioni in vista di compensi proporzionati e così via. Ogni lavoratore, dicono, è dotato di un capitale umano da spendere sul mercato: non ci sono né padroni, né costrizioni o subordinazioni. Ciascuno è imprenditore di sé stesso…

Il capitalismo, insomma, è lo stato naturale delle cose: affermando questa credenza, le classi dominanti hanno conquistato un’egemonia ideologica incontrastata e via via raffinato gli strumenti di potere, che oggi sono l’indebitamento dei singoli e degli stati; lo smantellamento dei servizi sociali e dell’istruzione pubblica; l’obbligo sociale del consumo. Senza mai dimenticare che tutto o quasi tutto si gioca sul piano delle idee. Le idee, per i dominatori, sono armi.

Il capolavoro, naturalmente, è proprio il “realismo capitalista” colto da Fisher: un’alternativa è diventata addirittura impensabile, mancano anche le parole per definirla e presentarla nel discorso pubblico, indisponibile ad accogliere idee e concetti estranei o contrapposti all’ideologia dominante. E dire che i dominatori hanno un progetto di società che somiglia ormai a un incubo.

La prospettiva, nel contesto ecologico attuale, è un mondo sottoposto a crescenti disastri climatici, a ricorrenti pandemie, a brutali diseguaglianze, con vite quotidiane più simili all’attuale emergenza (mascherine, distanze di sicurezza, segregazione sanitaria, e poi sistemi di capillare controllo sociale e politico, competizione continua per risorse vitali come l’acqua potabile e l’aria respirabile e così via) che a un libero godimento del mondo.

Il futuro è cancellato oppure avvolto da forme di pensiero magico, come l’attesa messianica di tecnologie salvifiche. L’unico adattamento ipotizzato di fronte alla sfida ecologica è l’ossimorica nozione di “sviluppo sostenibile”, inventata per tenere insieme il dogma della crescita di produzioni e consumi con l’evidenza del collasso del pianeta, fingendo di non sapere che solo una riduzione dei consumi globali, quindi un drastico ridimensionamento dell’estrazione di risorse naturali, può mantenere una vita decente per tutti sul pianeta nei prossimi decenni.

Il re, o per meglio dire gli apprendisti stregoni del neoliberismo sono nudi e la pandemia ha gettato un ulteriore potente fascio di luce su tale nudità, ma a quanto pare non basta: il trionfo ideologico dei dominatori è così pervasivo che ogni volta che si affaccia un’idea nuova, un movimento sociale alternativo, una lotta politicamente promettente, si assiste a una generale sollevazione di chi occupa i centri nevralgici del potere politico, informativo, educativo.

Negli ultimi anni, oltretutto, il sistema ha scoperto di poter agevolmente convivere con modelli autoritari di stato: finora aveva preferito le democrazie liberali, purché impegnate a garantire le “migliori condizioni” per il mercato e le imprese, con privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli all’istruzione e ai servizi sociali e sanitari e la demonizzazione dell’economia pubblica. La Cina e le esperienze di altri paesi ora dimostrano che il modello neoliberale funziona bene anche in assenza di democrazia: la prospettiva di trasformazioni illiberali degli stati occidentali non pare preoccupare – tutt’altro – le classi dominanti, che si sono dimostrate fra l’altro assai favorevoli, in questi anni, a ricorrere alla forza di polizia per sedare sul nascere rivolte sociali e forme pericolose di opposizione.

Tutto è dunque perduto? No, non è così. Primo, come dice D’Eramo, ricordiamoci che i teorici neoliberali sono stati a lungo emarginati e relegati in una nicchia, un po’ come accade oggi agli oppositori del sistema (tutto è quindi possibile); secondo, non siamo all’anno zero né sul piano delle idee né sul piano dell’organizzazione di forme di resistenza, proposta e azione: esistono movimenti sociali in lotta in tutto il mondo. Il “Dominio” non è per sempre, la lotta di classe e la lotta delle idee sono ancora in corso.

Lorenzo Guadagnucci
da lorenzoguadagnucci.wordpress.com

(28 dicembre 2020)

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