“Io penso che non sia assolutamente possibile identificare un settore produttivo della conoscenza separato dal resto di tutte le altre attività produttive e di erogazione dei servizi”.
Parte da questa affermazione Luciano Vasapollo nella sua analisi in materia dei brevetti, la cui caratteristica di intangibilità “permette di arrivare a tutte le sfere della vita dell’oggi dell’essere umano, in particolare le sfere della comunicazione e della conoscenza”.
I brevetti affondano le loro radici in “tutti i fattori, perfino quelli organizzativi ed istituzionali”, continua l’economista, che mette in risalto come il Capitalismo in questo frangente risulta sempre il vincitore.
Ciò avviene in quanto, “attraverso la brevettabilità, il Capitalismo
internazionale determina la competizione internazionale fra settori,
fra aziende, tra multinazionali e fra Paesi” creando in tal guisa una
vera e propria “economia della conoscenza”.
Appare lampante questo processo “nei nuovi settori quali quelli della logistica, della nuova catena del valore, della distribuzione, delle piattaforme nelle quali si usa la telematica della conoscenza”.
Infatti il lavoro mentale è un nuovo strumento del controllo del capitale.
Vasapollo ci tiene a sottolineare che la dicitura “lavoro mentale” non è usata in alcun modo per discriminare in quanto “il cervello applicato al lavoro l’aveva anche mio padre, contadino e conciatore di pelli”. Non esiste “attività dell’uomo senza l’applicazione della conoscenza e dell’attività del cervello”.
Per “lavoro mentale” egli intende che “in questa nuova società la conoscenza diventa fattore produttivo e diventa quindi elemento anche decisivo per l’occupazione”.
“Quelle
che una volta erano attività intellettuali super pagate, o meglio
pagate, vengono ora messe nella catena del valore e della crescita
economica a lungo termine”.
Il lavoratore può anche possedere tre lauree, ma “diventa, di fatto, un nuovo operaio, una nuova classe operaia”.
Questa tipologia di lavoratore “necessita ovviamente di conoscenza, di una forma di apprendimento e di formazione, che sia continua”. Una conoscenza però che “si trasforma in elemento centrale per il miglioramento della produttività del lavoro e della competitività” e non al servizio del sociale come dovrebbe.
“In una società basata sul modo di produzione capitalistico – ribadisce lo studioso – in cui prevale il cosiddetto capitale intangibile e immateriale quindi il capitale della comunicazione, dell’informazione, della conoscenza, la produttività totale dei fattori non viene più estratta soltanto dai fattori tradizionali, bensì dal cervello messo a produzione”.
Un fattore importante della nostra società, osserva l’economista, “consiste nel fatto che accelera la velocità della diffusione della conoscenza, attraverso la comunicazione, attraverso l’informazione, attraverso l’uso produttivo bestiale a fini solo di profitto dei brevetti. Diviene mera cultura d’impresa”.
La reazione a catena è inevitabile: “Questo contamina classi, contamina geografia produttiva, geografia del territorio, giungendo a un dominio globale che non si era mai avuto prima, in quanto non più limitato alla sola sfera della produzione”.
“Per questo quando io parlo di crisi sistemica del capitale dico che è anche una crisi di civiltà, perché i valori etici e morali sono imperniati e contaminati dalla teoria del valore.”
Questa è una trasformazione profonda che “avviene con il passaggio dalla Seconda Rivoluzione industriale alla Terza Rivoluzione industriale per la quale la conoscenza si applica non solo al processo produttivo, ma la stessa diventa valore”.
A titolo di esempio Vasapollo porta il cellulare: “l’uso spropositato che facciamo del telefonino, se da una parte aumenta la velocità nell’applicazione dei progressi scientifici, dall’altra ci dà anche un senso forte di dipendenza dalla conoscenza altrui, una conoscenza che non è popolare, ma del capitale. Diventa così uno strumento di controllo incredibile sulla nostra vita”.
L’impatto delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione, della telematica è enorme: “rivoluzionano tutto il concetto di informazione, di diritti, di diritti d’autore, di diritti di cittadinanza, all’interno di un Paese e di una comunità”.
Un altro esempio è la fibra ottica, la quale “ha
elevato enormemente la velocità di trasmissione dei dati, rendendo
possibile le cosiddette ‘autostrade dell’informazione’ attraverso Paesi
continenti e oceani”.
Bisogna però chiedersi: “Questi cambiamenti quale informazione veicolano? Quale comunicazione trasportano? Quali interessi di brevettabilità individuano?”
Si pensi al caso dei Coronavirus, con la battaglia sui brevetti e la corsa per i vaccini.
“Dicono che Cuba è più lenta – critica l’economista – ma Cuba non persegue il profitto bensì l’interesse collettivo e il benessere delle persone”.
Nella società capitalistica invece governano “i titoli speculativi in Borsa”.
E quindi bisogna sempre porsi la questione: “Quanti
hanno già scommesso da mesi su quale sarà il vaccino più efficiente e
quindi, che incremento di valore fittizio si daranno ai titoli di una
determinata multinazionale? Si creerà alla fine una bolla speculativa
che poi, ovviamente, scoppierà”.
Il Capitalismo misura da sempre il contenuto della sua ricchezza “a partire dal tempo di lavoro, e quindi tenta in ogni modo di conservarlo, per raggiungere l’accumulazione, l’auto-accrescimento”.
Lo studioso si sente chiamato in causa perché, come tutti i critici dell’economia, ha “la responsabilità di sviscerare le condizioni di come si diffondono la logica della brevettabilità e del diritto d’autore”.
Eppure, assicura, “noi non siamo contro i diritti d’autore, quando riconosce il giusto merito alla scientificità di una scoperta e all’autore. Noi – sottolinea – siamo contro l’uso commerciale del diritto d’autore e dei brevetti.”
Questo perché “se la conoscenza è frutto di un investimento sociale nella cultura, in apprendimento, in formazione, in ricerca, allora significa che la conoscenza e, quindi anche i brevetti, sono patrimonio intangibile dell’umanità”.
Il brevetto è dunque “un patrimonio collettivo e ha carattere sociale”.
Questo è il motivo per il quale “la conoscenza non può essere mercificata, non può essere una nuova forma di sfruttamento”.
Mentre così avviene: “un intellettuale, quindi un lavoro fortemente intellettuale, è nuova classe operaia. Questo perché è sottoposta a un nuovo modo di estorsione di plusvalore, al pari della catena di montaggio degli anni Cinquanta o degli anni Settanta. Quando si negozia, infatti si trattano sul mercato anche i brevetti, e dunque la conoscenza si vende come merce, diventa merce”.
Parlando in termini produttivi, “la conoscenza appare come un prodotto finale che si chiama brevetto”.
“Sorge a questo punto però una contraddizione – continua Vasapollo – tra
la trasformazione della conoscenza in valore e il valore della
conoscenza come merce. C’è un ritardo nella teoria del valore lavoro
marxista perché si deve trovare un modo per spiegare con più convinzione
il significato della conoscenza nella creazione del valore nelle
condizioni attuali”.
Infatti si deve illustrare in modo chiaro come, “dietro lo scambio di nuove tecnologie e di nuovi prodotti, di nuove conoscenze, ci sono uomini, ci sono relazioni economiche, ci sono relazioni sociali. E queste generano un insieme di diseguaglianze per via del dominio monopolistico, oligopolio, etico, dei grandi centri di potere tra cui anche – e soprattutto – le multinazionali”.
Conclude lo studioso: “In questo scenario internazionale quindi l’economia della conoscenza genera un nuovo
paradigma, un paradigma tecnico-economico e finanche di civiltà. Non è
più possibile pensare alla conoscenza distaccata dal settore produttivo:
le nuove conoscenze sono un fattore determinante per il vantaggio
competitivo tra nazioni.”
Noi che aspiriamo a una pianificazione socialista sosteniamo la possibilità dei “vantaggi complementari” (in alternativa ai “vantaggi competitivi”) che trova le basi nella “cooperazione, nella solidarietà di complementarietà”.
L’appello mosso è risoluto e spera risolutivo: “I
diritti della conoscenza sono patrimonio dell’umanità e per questo
bisogna nazionalizzare immediatamente, specialmente in questa fase di
pandemia, la conoscenza e far sì che i brevetti siano patrimonio
collettivo gratuito. La nazionalizzazione significa – esplicita – che
tutti i processi immateriali della conoscenza siano disponibili per la
risoluzione dei bisogni delle persone e siano patrimonio di interesse
sociale. Così come fanno a Cuba, in Venezuela, in Cina”.
Solo così “si potrà combattere meglio questa battaglia contro il Coronavirus”.
* da IlFarodiRoma
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