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C’è un interessante studio, pubblicato nel 2018 da PNAS (una delle riviste scientifiche più note a livello internazionale) dal quale risulta che i malati plurivaccinati per influenza diffondono virus influenzale con aerosol 6,3 volte di più dei malati non vaccinati.
È un dato che, se confermato, dovrebbe far riflettere le autorità sanitarie.
Ho pensato di approfondire l’argomento con il Prof. Paolo Bellavite, medico specializzato in Ematologia Clinica e di Laboratorio, master in Biotecnologie presso l’Università di Cranfield (UK) e diploma di perfezionamento in Statistica sanitaria ed epidemiologia. Dal 1984 al 2017 ha insegnato Patologia Generale presso l’Università di Verona e attualmente continua la collaborazione con la stessa Università in progetti di ricerca.
È autore di vari libri e di oltre 250 pubblicazioni in extenso, di cui 150 recensite dalla banca-dati del NIH Pubmed-Medline. Al 29 Agosto 2020 le sue pubblicazioni sono state citate 7114 volte nella letteratura scientifica (Indice H di Hirsch = 47 nella lista dei ‘Top Italian Scientists’).
Perché è importante questo studio, Professore, cosa evidenza in sostanza?
“È interessante perché si sa poco sulla quantità e l’infettività dell’influenza e ciò contribuisce all’incertezza sull’importanza della trasmissione per via aerea.
Gli autori hanno esaminato 355 volontari sintomatici con malattie respiratorie acute, di cui 142 casi con infezione influenzale confermata con tampone. A tutti, con uno speciale filtro, è stato fatto un prelievo dell’aria espirata per un tempo fisso di 30 minuti e gli autori hanno cercato la presenza di virus influenzali e RNA del virus nell’aerosol.
A parte il fatto curioso (ma interessante) che meno della metà dei soggetti positivi al tampone emettevano effettivamente il virus infettivo col respiro, la quantità di RNA virale era positivamente associata all’indice di massa corporea (cioè le persone più grasse diffondevano maggiore RNA virale) ed era anche positivamente associata alla vaccinazione antinfluenzale, soprattutto se il soggetto si vaccinava costantemente ogni anno.
In altre parole, i plurivaccinati per influenza (malati) erano anche maggiormente infettivi. Questo dato prescinde quindi dall’efficacia del vaccino per la prevenzione della malattia e si riferisce al fatto che il vaccino, nei malati in cui non funziona, renderebbe il soggetto più infettivo, cioè paradossalmente aumenterebbe la carica virale nelle vie respiratorie. Gli autori affermano che questa scoperta, se confermata, dovrebbe far riflettere le autorità sanitarie”.
Oltre a questo studio del 2018 ce ne sono altri che presentano risultati simili?
“Che sappia io no, ho solo visto che ci sono dei modelli su animali da esperimento. Anzi, a onor del vero, ribadisco che gli autori stessi scrivono che il dato sarebbe preoccupante ‘se confermato’.
Ci sono comunque dei lavori che dimostrano la diffusione dei virus influenzali dei vaccini coi virus vivi attenuati in una percentuale importante di soggetti, più del 10%, quando tali vaccini sono somministrati con spray nasale. Questi vaccini e tale modalità di somministrazione finora sono usati poco in Italia, ma ho letto che da quest’anno alcune Regioni, ad esempio la Lombardia, la intendono proporre per i bambini fino a 6 anni”.
Quali sono, dunque, i risultati della vaccinazione antinfluenzale in base alle conoscenze più valide oggi disponibili ?
“È una domanda che richiederebbe una risposta vastissima perché i risultati dipendono molto dall’età, dalle condizioni del soggetto vaccinato, dal tipo di vaccino, dall’annata, dal tipo di virus e da cosa si misura (efficacia o effetti avversi).
Con un gruppo di Colleghi (Alberto Donzelli, Daniele Agostini, Adriano Cattaneo, Piergiorgio Duca, Eugenio Serravalle e il sottoscritto) abbiamo recentemente pubblicato un libretto che è disponibile online per chi fosse interessato ad approfondire.
In generale, la vaccinazione ha un’efficacia attorno al 44% nel prevenire l’influenza e molto più bassa o, secondo alcuni studi, nulla per prevenire le complicazioni più serie (ospedalizzazione e morte). Nei bambini l’efficacia è leggermente maggiore, ma anche in questa fascia di età l’effetto statistico rilevato è sull’incidenza di malattia (curabile) e non di mortalità.
Per quanto riguarda gli effetti avversi, le rassegne di studi clinici e i siti ufficiali dicono che il vaccino è generalmente ben tollerato, ma a questa diffusa convinzione si deve aggiungere che gli studi di sorveglianza vaccinale ‘post-marketing’ (cioè quelli che vengono dalla vita reale) difettano moltissimo nella metodologia, che si basa sulle segnalazioni ‘spontanee’, notoriamente una minoranza di quelle reali, e su dubbi metodi di valutazione della ‘causalità’, come ho dimostrato in un mio recente articolo.
Certo, un’influenza dà in media effetti avversi molto maggiori di una vaccinazione, ma il bilancio da fare non è tra 1 sindrome influenzale e 1 vaccinazione, ma tra 1 sindrome influenzale e 42 vaccinazioni: infatti per prevenire 1 sindrome influenzale occorre vaccinare in media 42 anziani”.
Mi faccia capire meglio, Professore: cosa significa, in pratica, che la vaccinazione antinfluenzale ha un’efficacia intorno al 44%?
“Per inquadrare il senso di detto 44% di efficacia bisogna precisare che l’influenza prevenibile col vaccino è solo una parte (circa il 30%, cioè meno di 1/3) delle malattie ‘simil-influenzali’, per cui la protezione pratica nel senso di diminuzione dell’incidenza della malattia respiratoria che chiamiamo ‘influenza’ si aggira attorno al 13%.
Per illustrare con un esempio cosa significhi, posto che l’aspettativa media di vita per un maschio italiano nel 2019 era di 81 anni, se due maschi di 60 anni (età a cui l’antinfluenzale è divenuta gratuita e raccomandata) si vaccinano ogni anno fino agli 81, l’esito medio di queste 42 iniezioni di vaccino sarà che a uno solo dei due sarà risparmiata 1 sindrome influenzale nell’arco dei 42 anni/uomo attesi.
Nel caso degli adulti, bisogna vaccinarne in media varie decine per prevenire 1 sola influenza. E per prevenire 1 influenza nelle donne gravide bisogna vaccinarne in media 55.
In definitiva, in base alle conoscenze più valide oggi disponibili, il bilanciamento tra rischi e benefici attesi da una vaccinazione antinfluenzale indiscriminata (o peggio addirittura obbligatoria) degli anziani e di intere categorie di adulti rischia di pendere dalla parte dei rischi e degli effetti dannosi”.
Eppure si sente parlare sempre più spesso di obbligatorietà del vaccino antinfluenzale per alcune categorie di persone: anziani, bambini, personale sanitario, donne in gravidanza. Dunque ci sono casi in cui vaccinarsi potrebbe avere senso? Credo che sia molto importante per le persone, soprattutto in questo momento, poter usufruire di maggiori informazioni chiare a riguardo.
“Certo che può aver senso, se la scelta è molto oculata. E non sarò certo io a sostenere che la vaccinazione ‘non ha senso’. Ciò verso cui mi oppongo in modo deciso e scientificamente documentato è l’obbligo di vaccinazione, anche se diretto a specifiche categorie, come ho dimostrato nel mio libro “Vaccini Sì, obblighi No”.
La ‘raccomandazione’ al vaccino antinfluenzale resta un’opzione valida perché rivaluta il rapporto tra cittadino e tecnici (medici/pediatri/ginecologi/ostetrici) che si realizza, però, SOLO SE questi ultimi: A) sono bene informati sui rischi e i benefici dei vari tipi di vaccini e, a riguardo, consiglio ai Colleghi e alle Colleghe di accedere alle fonti scientifiche e non a quanto arriva dalle Società professionali che, in taluni casi, sono finanziate dai produttori; B) sono liberi di consigliare/sconsigliare un vaccino senza essere penalizzati economicamente e professionalmente. E non mi riferisco solo alle radiazioni da parte dell’Ordine di capaci e onesti medici ‘dissidenti’, operazioni attuate da autentici ‘plotoni di esecuzione’ della libertà di opinione che hanno rovinato l’immagine dell’intera categoria.
La mia opinione, maturata dopo attenta valutazione della letteratura, è che la vaccinazione antinfluenzale potrebbe essere utile in soggetti anziani oppure immunodepressi, se portatori di patologie sistemiche che renderebbero più complicato il decorso di un’eventuale influenza. Però la scelta, nel caso individuale, va lasciata al medico, informato e libero nelle condizioni sopra dette.
Per la gravidanza, non conosco letteratura che mi abbia convinto che sia più utile che rischioso vaccinare la mamma in attesa”.
Qualcuno però sostiene che la vaccinazione antinfluenzale favorirebbe la diagnosi differenziale dalla Covid-19. Esistono prove scientifiche che dimostrano che ciò sia vero?
“Quanto all’argomento contingente che tale vaccinazione favorirebbe la diagnosi differenziale dalla COVID-19, avanzato da chi ha voluto imporre l’obbligo, i dati mostrano che esso è privo di fondamento.
La riduzione di sindromi influenzali che si potrebbe sperare di ottenere da una vaccinazione generalizzata è circa il 13%. Va poi detto che, nella pratica, la riduzione attesa in Italia con l’estensione o l’obbligo vaccinale sarebbe verosimilmente inferiore a questo 13%, perché metà della popolazione anziana si vaccina già comunque ogni anno. Pertanto, nel momento in cui un soggetto con febbre e/o sintomi respiratori si presentasse all’osservazione medica, sapere se è vaccinato o meno non servirebbe affatto per la diagnosi differenziale. Una riduzione così insignificante della probabilità che si tratti di influenza sarebbe del tutto priva di interesse nell’eventuale diagnosi differenziale tra sindromi infettive del tratto respiratorio e COVID-19.
Forse che il medico, sapendo che il soggetto è vaccinato per influenza, potrebbe essere spinto a fare diagnosi di COVID-19 o isolare il soggetto in attesa di tampone? Certo è che, se il medico si basasse su una differenza di probabilità del 13% per fare diagnosi, sbaglierebbe in 8 o 9 casi su 10!
Inoltre il fenomeno dell’interferenza virale rende plausibile, nei vaccinati contro l’influenza, un aumento di altre virosi respiratorie non influenzali che potrebbe ridurre ulteriormente o persino vanificare quel già minuscolo 13%. È chiaro che in tale prospettiva, ai fini della diagnosi differenziale rispetto alla COVID-19, una riduzione irrilevante di probabilità che si tratti di sindromi influenzali richiederebbe comunque un tampone.
Peraltro, la diagnosi differenziale tra influenza e COVID-19 si può basare su test rapidi di screening per il virus sui tamponi orofaringei, già in uso per l’influenza e capaci di dare risposte in pochi minuti, mentre notizie recenti (Corsera, 15 luglio) sono di una validazione dei tamponi/test rapidi anche per COVID-19. Questi test rapidi consentono di isolare subito i soggetti che potrebbero essere contagiosi, riservando a loro la conferma diagnostica tramite i più impegnativi test con la biologia molecolare.
Alla luce di questi argomenti, ogni insistenza sulla vaccinazione antinfluenzale ‘con la scusa’ della COVID-19 diviene del tutto fuorviante o assurda, a tal punto da pensare all’esistenza di ben altre inconfessabili motivazioni dietro all’imposizione dell’obbligo o alla martellante propaganda vaccinale.
A queste considerazioni aggiungo un’altra abbastanza banale, ma importante: il rischio di ammalarsi di influenza (come di tutte le malattie infettive respiratorie) diminuirà nettamente grazie alle misure preventive prese per il COVID-19. E il rischio di entrambe le malattie diminuirebbe ancora di più (sia dell’influenza sia del COVID-19) se alla popolazione venissero dati altri consigli utili sullo stile di vita (attività fisica, cessazione del fumo, sole e aria aperta) e la sana alimentazione, certamente efficaci nel diminuire le malattie infettive. Anzi approfitto per segnalare che recentemente ho scritto un articolo scientifico sui poteri “antivirus” degli agrumi.
Va sfatata la comune idea, spinta artificiosamente dagli organi di informazione, che il vaccino sia la ‘salvezza’ dalle malattie infettive. Può essere utile in alcuni casi, ma nell’ambito di una valutazione approfondita della persona e del contesto epidemiologico, sociale e temporale in cui essa si inserisce”.
Come mai il virus si è accanito proprio nelle zone dove in autunno c’era stato un incremento di vaccinazioni? È una coincidenza o è possibile che possa esserci una correlazione tra vaccinazione (antinfluenzale o di altro tipo, soprattutto tra gli anziani) e tassi di mortalità da Covid-19?
“Questo non lo so. Non escludo alcuna ipotesi, ma non credo che la vaccinazione sia un fattore molto importante nell’accanimento del virus in quelle zone, perché la differenza tra i vaccinati del 2019 e quelli del 2020 è di pochi punti percentuali, non tale da costituire da sola la spiegazione dell’epidemiologia così grave e clamorosamente diversa da altre zone.
Propendo per fattori locali legati al clima e all’inquinamento. E al realizzarsi di un “mega-focolaio” sfuggito ad ogni controllo, un po’ come può fare un fenomeno meteo estremo.
Con questo non voglio sostenere che il vaccino non abbia influsso sul decorso della COVID-19 (tesi ancora da valutare essendovi argomenti a favore e contrari, in base a vari indicatori), voglio dire solo che non spiega, secondo me, l’alta incidenza e mortalità in quelle zone della Lombardia”.
La circolare del Ministero della Salute per la Prevenzione e controllo dell’influenza con le raccomandazioni per la stagione 2020-2021 ha suggerito l’estensione della vaccinazione, oltre alle categorie a rischio, ad altre fasce di età e lavoratori. Ma le recenti Raccomandazioni Nitag sulla Vaccinazione antinfluenzale per la stagione 2020-2021 non sembrano essere in perfetta sintonia con la circolare ministeriale.
Per la maggior parte della gente è veramente difficile accedere ad una completa, chiara e obiettiva informazione su certi temi e poter assistere ad un confronto scientifico aperto anche ai contributi di posizioni scientifiche considerate di minoranza solo perché tenute fuori dai classici mezzi di comunicazione. Concludendo questa intervista, Professore, cosa si sente di poter dire: vaccinazione antinfluenzale sì o vaccinazione antinfluenzale no? E perché?
“Il Nitag ha espresso dubbi sull’estensione della vaccinazione antinfluenzale più che altro per ragioni pratiche e organizzative, sostenendo che essa rappresenterebbe un sovraccarico del Sistema Sanitario. Come argomento pare un po’ limitato, ma almeno ha dato spazio ai dubbi sulla teoria che la vaccinazione anti-influenzale alleggerirebbe il carico assistenziale che, secondo i fautori dell’obbligo vaccinale, andrebbe concentrato, chissà poi perché, sul COVID-19.
Le revisioni Cochrane degli studi mostrano che su adulti sani di 16-65 anni la vaccinazione farebbe in media risparmiare circa il 4% di una giornata lavorativa. Se la giornata fosse di 8 ore, cioè di 480 minuti, un risparmio medio del 4% si tradurrebbe in meno di 20’ risparmiati una tantum, da cui andrebbe ancora detratto il tempo di lavoro per spostarsi dalla propria sede operativa al punto di vaccinazione, oltre all’eventuale attesa di ricevere la prestazione e al tempo d’inoculazione, senza contare possibili effetti avversi. E ricordiamo che per prevenire un caso di influenza bisogna vaccinare più di 40 anziani.
Infine non va dimenticato un punto importante che riguarda l’esistenza di tanti vaccini, con formulazioni diverse, proposti dal Ministero e rappresentati in tale circolare. Come abbiamo spiegato nel libretto sopra citato, ci sono oggi dei nuovi vaccini ‘potenziati’ che contengono gli estratti di quattro virus a dosi quattro volte superiori a quelle solite e per di più basati su virus di stagioni passate, quindi la cui efficacia e sicurezza lasciano ampi margini di dubbio, soprattutto se si pensa che sono consigliati per persone anziane e ‘fragili’.
Questi nuovi vaccini ad alta dose, infatti, sono, da un lato, più immunogeni, dall’altro, anche più reattogeni. Ad esempio, negli anziani il 41,3% dei vaccinati ha avuto dolore in sede d’iniezione e, nel 3,6% dei vaccinati, questo è durato da 4 a 7 giorni, mentre nello 0,5% dei vaccinati più di 7 giorni, configurando eventi avversi locali di grado 2 ‘richiedenti interventi terapeutici addizionali, interferenti con le normali attività ma senza rischi permanenti’, o di grado 3, che ‘hanno interrotto le attività quotidiane, interessato lo stato clinico in modo significativo o richiesto un intervento terapeutico intensivo’. E va detto che gli adulti possono avere reazioni più forti rispetto agli anziani.
In conclusione Lei mi chiede un Sì/No che, per le ragioni dette, non mi sento di pronunciare e non sarebbe neanche giusto nei confronti dei lettori.
Certo dico NO all’obbligo vaccinale. E NO all’ignoranza e superficialità nelle somministrazioni indiscriminate. Questo vale per tutti i vaccini, anche per quelli dei bambini”.
C’è un interessante studio, pubblicato nel 2018 da PNAS (una delle riviste scientifiche più note a livello internazionale) dal quale risulta che i malati plurivaccinati per influenza diffondono virus influenzale con aerosol 6,3 volte di più dei malati non vaccinati.
È un dato che, se confermato, dovrebbe far riflettere le autorità sanitarie.
Ho pensato di approfondire l’argomento con il Prof. Paolo Bellavite, medico specializzato in Ematologia Clinica e di Laboratorio, master in Biotecnologie presso l’Università di Cranfield (UK) e diploma di perfezionamento in Statistica sanitaria ed epidemiologia. Dal 1984 al 2017 ha insegnato Patologia Generale presso l’Università di Verona e attualmente continua la collaborazione con la stessa Università in progetti di ricerca.
È autore di vari libri e di oltre 250 pubblicazioni in extenso, di cui 150 recensite dalla banca-dati del NIH Pubmed-Medline. Al 29 Agosto 2020 le sue pubblicazioni sono state citate 7114 volte nella letteratura scientifica (Indice H di Hirsch = 47 nella lista dei ‘Top Italian Scientists’).
Perché è importante questo studio, Professore, cosa evidenza in sostanza?
“È interessante perché si sa poco sulla quantità e l’infettività dell’influenza e ciò contribuisce all’incertezza sull’importanza della trasmissione per via aerea.
Gli autori hanno esaminato 355 volontari sintomatici con malattie respiratorie acute, di cui 142 casi con infezione influenzale confermata con tampone. A tutti, con uno speciale filtro, è stato fatto un prelievo dell’aria espirata per un tempo fisso di 30 minuti e gli autori hanno cercato la presenza di virus influenzali e RNA del virus nell’aerosol.
A parte il fatto curioso (ma interessante) che meno della metà dei soggetti positivi al tampone emettevano effettivamente il virus infettivo col respiro, la quantità di RNA virale era positivamente associata all’indice di massa corporea (cioè le persone più grasse diffondevano maggiore RNA virale) ed era anche positivamente associata alla vaccinazione antinfluenzale, soprattutto se il soggetto si vaccinava costantemente ogni anno.
In altre parole, i plurivaccinati per influenza (malati) erano anche maggiormente infettivi. Questo dato prescinde quindi dall’efficacia del vaccino per la prevenzione della malattia e si riferisce al fatto che il vaccino, nei malati in cui non funziona, renderebbe il soggetto più infettivo, cioè paradossalmente aumenterebbe la carica virale nelle vie respiratorie. Gli autori affermano che questa scoperta, se confermata, dovrebbe far riflettere le autorità sanitarie”.
Oltre a questo studio del 2018 ce ne sono altri che presentano risultati simili?
“Che sappia io no, ho solo visto che ci sono dei modelli su animali da esperimento. Anzi, a onor del vero, ribadisco che gli autori stessi scrivono che il dato sarebbe preoccupante ‘se confermato’.
Ci sono comunque dei lavori che dimostrano la diffusione dei virus influenzali dei vaccini coi virus vivi attenuati in una percentuale importante di soggetti, più del 10%, quando tali vaccini sono somministrati con spray nasale. Questi vaccini e tale modalità di somministrazione finora sono usati poco in Italia, ma ho letto che da quest’anno alcune Regioni, ad esempio la Lombardia, la intendono proporre per i bambini fino a 6 anni”.
Quali sono, dunque, i risultati della vaccinazione antinfluenzale in base alle conoscenze più valide oggi disponibili ?
“È una domanda che richiederebbe una risposta vastissima perché i risultati dipendono molto dall’età, dalle condizioni del soggetto vaccinato, dal tipo di vaccino, dall’annata, dal tipo di virus e da cosa si misura (efficacia o effetti avversi).
Con un gruppo di Colleghi (Alberto Donzelli, Daniele Agostini, Adriano Cattaneo, Piergiorgio Duca, Eugenio Serravalle e il sottoscritto) abbiamo recentemente pubblicato un libretto che è disponibile online per chi fosse interessato ad approfondire.
In generale, la vaccinazione ha un’efficacia attorno al 44% nel prevenire l’influenza e molto più bassa o, secondo alcuni studi, nulla per prevenire le complicazioni più serie (ospedalizzazione e morte). Nei bambini l’efficacia è leggermente maggiore, ma anche in questa fascia di età l’effetto statistico rilevato è sull’incidenza di malattia (curabile) e non di mortalità.
Per quanto riguarda gli effetti avversi, le rassegne di studi clinici e i siti ufficiali dicono che il vaccino è generalmente ben tollerato, ma a questa diffusa convinzione si deve aggiungere che gli studi di sorveglianza vaccinale ‘post-marketing’ (cioè quelli che vengono dalla vita reale) difettano moltissimo nella metodologia, che si basa sulle segnalazioni ‘spontanee’, notoriamente una minoranza di quelle reali, e su dubbi metodi di valutazione della ‘causalità’, come ho dimostrato in un mio recente articolo.
Certo, un’influenza dà in media effetti avversi molto maggiori di una vaccinazione, ma il bilancio da fare non è tra 1 sindrome influenzale e 1 vaccinazione, ma tra 1 sindrome influenzale e 42 vaccinazioni: infatti per prevenire 1 sindrome influenzale occorre vaccinare in media 42 anziani”.
Mi faccia capire meglio, Professore: cosa significa, in pratica, che la vaccinazione antinfluenzale ha un’efficacia intorno al 44%?
“Per inquadrare il senso di detto 44% di efficacia bisogna precisare che l’influenza prevenibile col vaccino è solo una parte (circa il 30%, cioè meno di 1/3) delle malattie ‘simil-influenzali’, per cui la protezione pratica nel senso di diminuzione dell’incidenza della malattia respiratoria che chiamiamo ‘influenza’ si aggira attorno al 13%.
Per illustrare con un esempio cosa significhi, posto che l’aspettativa media di vita per un maschio italiano nel 2019 era di 81 anni, se due maschi di 60 anni (età a cui l’antinfluenzale è divenuta gratuita e raccomandata) si vaccinano ogni anno fino agli 81, l’esito medio di queste 42 iniezioni di vaccino sarà che a uno solo dei due sarà risparmiata 1 sindrome influenzale nell’arco dei 42 anni/uomo attesi.
Nel caso degli adulti, bisogna vaccinarne in media varie decine per prevenire 1 sola influenza. E per prevenire 1 influenza nelle donne gravide bisogna vaccinarne in media 55.
In definitiva, in base alle conoscenze più valide oggi disponibili, il bilanciamento tra rischi e benefici attesi da una vaccinazione antinfluenzale indiscriminata (o peggio addirittura obbligatoria) degli anziani e di intere categorie di adulti rischia di pendere dalla parte dei rischi e degli effetti dannosi”.
Eppure si sente parlare sempre più spesso di obbligatorietà del vaccino antinfluenzale per alcune categorie di persone: anziani, bambini, personale sanitario, donne in gravidanza. Dunque ci sono casi in cui vaccinarsi potrebbe avere senso? Credo che sia molto importante per le persone, soprattutto in questo momento, poter usufruire di maggiori informazioni chiare a riguardo.
“Certo che può aver senso, se la scelta è molto oculata. E non sarò certo io a sostenere che la vaccinazione ‘non ha senso’. Ciò verso cui mi oppongo in modo deciso e scientificamente documentato è l’obbligo di vaccinazione, anche se diretto a specifiche categorie, come ho dimostrato nel mio libro “Vaccini Sì, obblighi No”.
La ‘raccomandazione’ al vaccino antinfluenzale resta un’opzione valida perché rivaluta il rapporto tra cittadino e tecnici (medici/pediatri/ginecologi/ostetrici) che si realizza, però, SOLO SE questi ultimi: A) sono bene informati sui rischi e i benefici dei vari tipi di vaccini e, a riguardo, consiglio ai Colleghi e alle Colleghe di accedere alle fonti scientifiche e non a quanto arriva dalle Società professionali che, in taluni casi, sono finanziate dai produttori; B) sono liberi di consigliare/sconsigliare un vaccino senza essere penalizzati economicamente e professionalmente. E non mi riferisco solo alle radiazioni da parte dell’Ordine di capaci e onesti medici ‘dissidenti’, operazioni attuate da autentici ‘plotoni di esecuzione’ della libertà di opinione che hanno rovinato l’immagine dell’intera categoria.
La mia opinione, maturata dopo attenta valutazione della letteratura, è che la vaccinazione antinfluenzale potrebbe essere utile in soggetti anziani oppure immunodepressi, se portatori di patologie sistemiche che renderebbero più complicato il decorso di un’eventuale influenza. Però la scelta, nel caso individuale, va lasciata al medico, informato e libero nelle condizioni sopra dette.
Per la gravidanza, non conosco letteratura che mi abbia convinto che sia più utile che rischioso vaccinare la mamma in attesa”.
Qualcuno però sostiene che la vaccinazione antinfluenzale favorirebbe la diagnosi differenziale dalla Covid-19. Esistono prove scientifiche che dimostrano che ciò sia vero?
“Quanto all’argomento contingente che tale vaccinazione favorirebbe la diagnosi differenziale dalla COVID-19, avanzato da chi ha voluto imporre l’obbligo, i dati mostrano che esso è privo di fondamento.
La riduzione di sindromi influenzali che si potrebbe sperare di ottenere da una vaccinazione generalizzata è circa il 13%. Va poi detto che, nella pratica, la riduzione attesa in Italia con l’estensione o l’obbligo vaccinale sarebbe verosimilmente inferiore a questo 13%, perché metà della popolazione anziana si vaccina già comunque ogni anno. Pertanto, nel momento in cui un soggetto con febbre e/o sintomi respiratori si presentasse all’osservazione medica, sapere se è vaccinato o meno non servirebbe affatto per la diagnosi differenziale. Una riduzione così insignificante della probabilità che si tratti di influenza sarebbe del tutto priva di interesse nell’eventuale diagnosi differenziale tra sindromi infettive del tratto respiratorio e COVID-19.
Forse che il medico, sapendo che il soggetto è vaccinato per influenza, potrebbe essere spinto a fare diagnosi di COVID-19 o isolare il soggetto in attesa di tampone? Certo è che, se il medico si basasse su una differenza di probabilità del 13% per fare diagnosi, sbaglierebbe in 8 o 9 casi su 10!
Inoltre il fenomeno dell’interferenza virale rende plausibile, nei vaccinati contro l’influenza, un aumento di altre virosi respiratorie non influenzali che potrebbe ridurre ulteriormente o persino vanificare quel già minuscolo 13%. È chiaro che in tale prospettiva, ai fini della diagnosi differenziale rispetto alla COVID-19, una riduzione irrilevante di probabilità che si tratti di sindromi influenzali richiederebbe comunque un tampone.
Peraltro, la diagnosi differenziale tra influenza e COVID-19 si può basare su test rapidi di screening per il virus sui tamponi orofaringei, già in uso per l’influenza e capaci di dare risposte in pochi minuti, mentre notizie recenti (Corsera, 15 luglio) sono di una validazione dei tamponi/test rapidi anche per COVID-19. Questi test rapidi consentono di isolare subito i soggetti che potrebbero essere contagiosi, riservando a loro la conferma diagnostica tramite i più impegnativi test con la biologia molecolare.
Alla luce di questi argomenti, ogni insistenza sulla vaccinazione antinfluenzale ‘con la scusa’ della COVID-19 diviene del tutto fuorviante o assurda, a tal punto da pensare all’esistenza di ben altre inconfessabili motivazioni dietro all’imposizione dell’obbligo o alla martellante propaganda vaccinale.
A queste considerazioni aggiungo un’altra abbastanza banale, ma importante: il rischio di ammalarsi di influenza (come di tutte le malattie infettive respiratorie) diminuirà nettamente grazie alle misure preventive prese per il COVID-19. E il rischio di entrambe le malattie diminuirebbe ancora di più (sia dell’influenza sia del COVID-19) se alla popolazione venissero dati altri consigli utili sullo stile di vita (attività fisica, cessazione del fumo, sole e aria aperta) e la sana alimentazione, certamente efficaci nel diminuire le malattie infettive. Anzi approfitto per segnalare che recentemente ho scritto un articolo scientifico sui poteri “antivirus” degli agrumi.
Va sfatata la comune idea, spinta artificiosamente dagli organi di informazione, che il vaccino sia la ‘salvezza’ dalle malattie infettive. Può essere utile in alcuni casi, ma nell’ambito di una valutazione approfondita della persona e del contesto epidemiologico, sociale e temporale in cui essa si inserisce”.
Come mai il virus si è accanito proprio nelle zone dove in autunno c’era stato un incremento di vaccinazioni? È una coincidenza o è possibile che possa esserci una correlazione tra vaccinazione (antinfluenzale o di altro tipo, soprattutto tra gli anziani) e tassi di mortalità da Covid-19?
“Questo non lo so. Non escludo alcuna ipotesi, ma non credo che la vaccinazione sia un fattore molto importante nell’accanimento del virus in quelle zone, perché la differenza tra i vaccinati del 2019 e quelli del 2020 è di pochi punti percentuali, non tale da costituire da sola la spiegazione dell’epidemiologia così grave e clamorosamente diversa da altre zone.
Propendo per fattori locali legati al clima e all’inquinamento. E al realizzarsi di un “mega-focolaio” sfuggito ad ogni controllo, un po’ come può fare un fenomeno meteo estremo.
Con questo non voglio sostenere che il vaccino non abbia influsso sul decorso della COVID-19 (tesi ancora da valutare essendovi argomenti a favore e contrari, in base a vari indicatori), voglio dire solo che non spiega, secondo me, l’alta incidenza e mortalità in quelle zone della Lombardia”.
La circolare del Ministero della Salute per la Prevenzione e controllo dell’influenza con le raccomandazioni per la stagione 2020-2021 ha suggerito l’estensione della vaccinazione, oltre alle categorie a rischio, ad altre fasce di età e lavoratori. Ma le recenti Raccomandazioni Nitag sulla Vaccinazione antinfluenzale per la stagione 2020-2021 non sembrano essere in perfetta sintonia con la circolare ministeriale.
Per la maggior parte della gente è veramente difficile accedere ad una completa, chiara e obiettiva informazione su certi temi e poter assistere ad un confronto scientifico aperto anche ai contributi di posizioni scientifiche considerate di minoranza solo perché tenute fuori dai classici mezzi di comunicazione. Concludendo questa intervista, Professore, cosa si sente di poter dire: vaccinazione antinfluenzale sì o vaccinazione antinfluenzale no? E perché?
“Il Nitag ha espresso dubbi sull’estensione della vaccinazione antinfluenzale più che altro per ragioni pratiche e organizzative, sostenendo che essa rappresenterebbe un sovraccarico del Sistema Sanitario. Come argomento pare un po’ limitato, ma almeno ha dato spazio ai dubbi sulla teoria che la vaccinazione anti-influenzale alleggerirebbe il carico assistenziale che, secondo i fautori dell’obbligo vaccinale, andrebbe concentrato, chissà poi perché, sul COVID-19.
Le revisioni Cochrane degli studi mostrano che su adulti sani di 16-65 anni la vaccinazione farebbe in media risparmiare circa il 4% di una giornata lavorativa. Se la giornata fosse di 8 ore, cioè di 480 minuti, un risparmio medio del 4% si tradurrebbe in meno di 20’ risparmiati una tantum, da cui andrebbe ancora detratto il tempo di lavoro per spostarsi dalla propria sede operativa al punto di vaccinazione, oltre all’eventuale attesa di ricevere la prestazione e al tempo d’inoculazione, senza contare possibili effetti avversi. E ricordiamo che per prevenire un caso di influenza bisogna vaccinare più di 40 anziani.
Infine non va dimenticato un punto importante che riguarda l’esistenza di tanti vaccini, con formulazioni diverse, proposti dal Ministero e rappresentati in tale circolare. Come abbiamo spiegato nel libretto sopra citato, ci sono oggi dei nuovi vaccini ‘potenziati’ che contengono gli estratti di quattro virus a dosi quattro volte superiori a quelle solite e per di più basati su virus di stagioni passate, quindi la cui efficacia e sicurezza lasciano ampi margini di dubbio, soprattutto se si pensa che sono consigliati per persone anziane e ‘fragili’.
Questi nuovi vaccini ad alta dose, infatti, sono, da un lato, più immunogeni, dall’altro, anche più reattogeni. Ad esempio, negli anziani il 41,3% dei vaccinati ha avuto dolore in sede d’iniezione e, nel 3,6% dei vaccinati, questo è durato da 4 a 7 giorni, mentre nello 0,5% dei vaccinati più di 7 giorni, configurando eventi avversi locali di grado 2 ‘richiedenti interventi terapeutici addizionali, interferenti con le normali attività ma senza rischi permanenti’, o di grado 3, che ‘hanno interrotto le attività quotidiane, interessato lo stato clinico in modo significativo o richiesto un intervento terapeutico intensivo’. E va detto che gli adulti possono avere reazioni più forti rispetto agli anziani.
In conclusione Lei mi chiede un Sì/No che, per le ragioni dette, non mi sento di pronunciare e non sarebbe neanche giusto nei confronti dei lettori.
Certo dico NO all’obbligo vaccinale. E NO all’ignoranza e superficialità nelle somministrazioni indiscriminate. Questo vale per tutti i vaccini, anche per quelli dei bambini”.
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