lunedì 28 settembre 2020

Evoluzione del lavoro

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di Maurizio Recchia

All’epoca dei Romani si usava conquistare dei popoli con la forza delle armi per appropriarsi delle risorse di nuovi territori e costringere in schiavitù i suoi abitanti recuperando così mano d’opera a costo zero e senza diritti. In quel caso non si poteva nemmeno parlare di rapporto di lavoro perché mancava un presupposto costitutivo quale la remunerazione. Caduto l’Impero romano nasce la nuova figura della servitù della gleba in cui un individuo metteva a disposizione del Feudatario i servizi della propria persona e dei propri familiari ricevendo in cambio un minimo di sussistenza e la protezione militare contro le incursioni e le razzie degli eserciti stranieri. Sempre nel medioevo si rafforza la figura delle corporazioni artigiane delle città, sempre più artefici del proprio destino economico, che prendono il sopravvento nei confronti del mondo rurale in cui la servitù della gleba continuerà a svolgere la sua funzione ancora per lungo tempo.

Poi le scoperte scientifiche conducono alla cosiddetta rivoluzione industriale, che impone nella società la fattispecie del rapporto di lavoro salariato subordinato all’interno prima di piccoli opifici e poi di vere e proprie fabbriche, dove il proprietario remunerava la prestazione lavorativa degli operai contrattandone il valore da una posizione di potere. La vicinanza fisica tra gli operai nei luoghi di lavoro ha poi favorito il rafforzamento contrattuale degli stessi attraverso lo strumento dello sciopero sindacale e delle contrattazioni collettive. Questo tentativo di recuperare lo squilibrio nella distribuzione della ricchezza da parte dei subalterni verrà progressivamente indebolito in diverse fasi storiche. Il meccanismo automatico di indicizzazione dei salari all’inflazione (scala mobile o contingenza), considerato come unico fattore capace di innalzare l’inflazione fu abolito il 31 luglio del 1992, nello storico protocollo siglato a Palazzo Chigi tra il governo Amato e i tre maggiori Sindacati e la Confindustria. Poi un colpo alla tutela reale del potere d’acquisto dei salari fu inferto dalla cosiddetta globalizzazione. L’invenzione da parte delle multinazionali e delle banche, veicolata a livello istituzionale internazionale soprattutto dal Presidente degli U.S.A. Ronald Regan e dal Primo Ministro inglese Margareth Tatcher, di istituire le condizioni giuridiche per la libera circolazione dei capitali e delle merci ha completamente destrutturato i rapporti di forza tra prestatori e datori di lavoro. Questo processo ha consentito la delocalizzazione delle industrie in Paesi (Cina in primis) in cui vigevano tutele ambientali minime e salari fino a venti volte inferiori, impoverendo la struttura economica dei Paesi occidentali e depotenziando enormemente la forza contrattuale dei prestatori di lavoro. Col tempo si è constatato che ha subito un forte calo anche la forza economica dei datori di lavoro occidentali. Questi, nel bilanciamento del proprio potere contrattuale con quello dei lavoratori subordinati, si sono trovati comunque schiacciati dalla concorrenza sleale dei produttori orientali che speculavano su una maggiore capacità di sfruttamento della forza lavoro. Ciò è avvenuto ed avviene non soltanto all’interno dell’apparato produttivo, ma anche in quello dei servizi. Qui, per esempio, il settore del commercio è sottoposto al ricatto da parte dell’accordo tacito tra le multinazionali dell’ e-commerce e gli Stati (compreso quello Italiano) che sottopongono a tassazione in modo sproporzionatamente favorevole i redditi delle vendite on line rispetto a quelli dei commercianti tradizionali. Tutto ciò ricade ovviamente sul livello dei salari e dei diritti giuridici dei lavoratori. Le conseguenze da ultimo qui ricordate ricadono soprattutto sulle nuove generazioni, che trovano maggiori difficoltà ad immaginare di crearsi una famiglia con contratti di lavoro sempre più precari e con un potere d’acquisto in discesa. Ma non è finita perché lo sviluppo tecnologico sta mostrando ancora una volta la sua capacità di influenzare enormemente il mondo del lavoro. L’innalzamento della qualità della digitalizzazione rappresentata dall’intelligenza artificiale, ci mette di fronte non solo alla concorrenza sempre più drammatica tra il lavoro degli esseri umani e quello svolto dai software in grado non solo di svolgere delle funzioni ma di imparare dalle operazioni effettuate, incrementando autonomamente sia la capacità di calcolo che quella di prendere decisioni. Ciò porterà a breve a un drastico taglio dei posti di lavoro a livello mondiale. Oltretutto si intravedono già dei tentativi di modificare in modo irreparabile l’essenza stessa dell’essere umano trasformandolo in un cyborg attraverso l’impianto di un circuito elettronico nella scatola cranica delle persone, per aumentare l’intelligenza e le prestazioni umane attraverso il collegamento in tempo reale con l’intelligenza artificiale. E’ ormai noto che l’imprenditore Ilon Mask (proprietario di PayPal, Tesla e OpenAi) ha annunciato lo stato avanzato delle sperimentazioni sull’impianto di cip elettronici nel cervello umano da parte della sua nuova società Neuralink. Il pericolo di una deriva distopica non è più confinata nel mondo del lavoro, ma coinvolge tutti gli aspetti della vita sul nostro pianeta. Tutto questo ci dice che la drammaticità che già ora sperimentiamo potrebbe avere un’impennata nel prossimo futuro se non riusciremo ad immaginare una vera e propria rivoluzione nel modo di stare al mondo a livello globale. Una rivoluzione che non possiamo indagare nella brevità di questo articolo, e che richiederà l’impegno di molte persone di buona volontà ed alte competenze umane, spirituali e scientifiche.

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