lunedì 28 settembre 2020

Piangere e raccontare.


Un giorno di marzo vado a Ferrara, sento Patrizia, le dico che sto in città e mi piacerebbe farle l’intervista che in estate è saltata. C’era traffico quel giorno e lei stava al mare. Ma adesso sto qui e la chiamo.

comune-info.net Ascanio Celestini

“A che ora ti posso raggiungere domattina”, lei dice “verso le undici ti va bene? Ma se vuoi – aggiunge – vengo io in centro in bicicletta” “No, vengo io – le faccio – ma dove?” “Io sto a Ferrara sud”.

Mi da l’indirizzo e ci arrivo in taxi perché il mio furgone è bloccato in teatro dove faccio spettacolo. Alle undici precise le mando un messaggio “Scusa, arrivo un po’ in ritardo”. Alle undici e venti sto da lei. Dieci minuti dopo accendo la videocamera.

Patrizia comincia subito a piangere.

Le dico che possiamo interrompere quando vuole.
“No, no, no – dice lei – Lo sapevo che va così.
Che lo facciamo oggi, domani, tra mille anni non ci sia differenza”.

Parliamo per tre ore e piange. Racconta di Federico, un ragazzo che “stava diventando una persona meravigliosa”, ma non gli è stato concesso.
Quattro guardie l’hanno preso vivo e lasciato morto.

Sono passati quindici anni e, grazie a donne come Patrizia, tante altre persone hanno preso il coraggio di denunciare, di esporsi contro il potere in divisa e il terrore di fronteggiarlo. In queste ore un’altra donna coraggiosa, Ilaria Cucchi, ci racconta gli ennesimi imbrogli orchestrati per intossicare la verità sulla morte di un altro ragazzo, più grande di Federico, che è incappato nello stesso destino.

E poi tanti altri.
Una lista che fa paura non solo per i nomi che leggiamo, ma per tutti quelli che dovremo scriverci domani, tra un mese, tra un anno.

E non raccontate che sono mele marce.
È un alibi che non regge.

… Tra un po’ arriveranno quelli che ribadiscono la teoria delle mele marce. E gli si dovrà scrivere: e perché le mele sane non le denunciano? Perché i bravi colleghi non si prendono la responsabilità di denunciare quelli violenti?

E poi ci saranno anche quelli che scrivono: quando ti rubano a casa… chi chiami? E allora sì che gli sbirri diventano buoni se ne hai bisogno! E toccherà rispondere per l’ennesima volta che combattere il crimine è il mestiere della polizia come il mio è scrivere e raccontare storie, come quello dell’idraulico è farmi funzionare il bagno, eccetera. E se non vi basta questo paragone: il poliziotto combatte l’illegalità come il medico combatte la malattia. Va meglio?

E poi arriveranno anche quelli che… “perché non parli degli agenti che muoiono per combattere la mafia?”.

E ancora… “perché non parli dei crimini commessi dai comunisti?”.

E… “perché non denunci il turbocapitalismo, i sionisti, Soros, le multinazionali del farmaco…”.

Per questo motivo ho incontrato Patrizia. Per farmi raccontare delle storie su Federico che lo facessero somigliare a tante altre storie che conosciamo. Alle nostre. Senza sporcare il discorso.

A un certo punto, in quel giorno di marzo, mi dice:

“Era un vero miracolo Federico perché… cioè era anche nato piccolo, cioè lui… non avevo portato avanti la gravidanza perché avevo la gestosi, perciò me l’han fatto nascere col cesareo, era piccolissimo, era un chilo. Io… era a sei mesi e mezzo di gravidanza. E quindi praticamente lui è rimasto in incubatrice un altro mese e nel frattempo… sai che gli davano il latte con il tubino… e una volta un’infermiera gli ha messo il latte in trachea, che gli andava nei polmoni rischiando di soffocarlo, naturalmente questa cosa non è venuta fuori al momento, non si parlava di denunce e ha avuto una polmonite proprio per questa goccia di latte che è andata in un polmoncino così e ha lottato per la vita fin da piccolissimo….”.

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