venerdì 25 settembre 2020

I Nominati e le porcate: chi ha vietato di scegliere.

Luglio 1993. Mentre i partiti della Prima Repubblica venivano spazzati via dalle inchieste di Mani Pulite (il 30 aprile Bettino Craxi veniva ricoperto di monetine davanti all’hotel Raphael), i due deputati Lucio Magri (ex Pci) e Sergio Mattarella (Dc) si incontrarono in Transatlantico davanti alla sala della Lettura e, dopo un breve conciliabolo, si scambiarono un bigliettino enigmatico: “75-25”. 

 

infosannio.com (di Giacomo Salvini – Il Fatto Quotidiano) 

Nacque così la legge elettorale “Minotauro” – poi coniata (con disprezzo) da Giovanni Sartori come “Mattarellum” dal nome del suo relatore – perché per la prima volta nella storia repubblicana si mettevano insieme due sistemi elettorali diversi: tre quarti del Parlamento (il 75%) sarebbe stato eletto con i collegi maggioritari, il restante 25% con il proporzionale. E, per abolire le preferenze che nella Prima Repubblica erano diventate il ricettacolo della mafia e delle correnti Dc, per la prima volta i partiti decisero di inserire le liste bloccate.

Da quel momento i cittadini non poterono più scegliere i propri rappresentanti.Un passo indietro. Per quarant’anni – dal 1948 al 1993, con la breve parentesi della “Legge Truffa” abrogata nel 1953 – i cittadini hanno sempre potuto scegliere i propri parlamentari. Anche troppo. La Camera era eletta con un sistema proporzionale puro, senza soglie di sbarramento, ma soprattutto liste che permettevano all’elettore di esprimere fino a un massimo di 5 preferenze. E allora era un profluvio di santini, ambi, terne, quaterne (specializzati erano i ras della Dc), date (Clemente Mastella invitava i suoi elettori a votare l’anno 1976, dove 1 era De Mita, 9 lui, 7 Bianco e 6 Gargani), fino ai ministri democristiani che per mantenere il proprio pacchetto di voti arrivarono a far costruire intere autostrade per arrivare nella propria città natale: il potente doroteo e sedici volte ministro Remo Gaspari (detto anche il “Duca degli Abruzzi”) spinse per due autostrade per collegare Pescara e l’Aquila a Roma con uno svincolo apposito nella sua Gissi (poco più di 3mila abitanti). Lo stesso fece il sei volte presidente del Consiglio Amintore Fanfani che ideò la “curva Fanfani” per far deviare la A1 nella sua Arezzo. Ad ogni tornata, quindi, gli elettori li premiavano generosamente. Le preferenze multiple ormai non erano più un esercizio di democrazia ma la certezza dell’elezione del micronotabile più clientelare.

Così si decise di abolire le preferenze. Mariotto Segni e il Movimento dei 31 (da Carlo Bo a Umberto Agnelli fino a Rita Levi Montalcini) promossero un referendum per abolire le preferenze multiple passando a una unica. Il quesito fu approvato con una maggioranza bulgara, nonostante Craxi avesse invitato gli elettori ad “andare al mare”: il 96% disse Sì. Le prime liste bloccate furono inserite per la prima volta con il “Mattarellum”: per il 25% dei collegi assegnati con il sistema proporzionale i candidati a Camera e Senato erano nominati dai partiti. Anche il “Mattarelllum” si portava dietro molte distorsioni come le liste civetta create ad arte per superare il meccanismo dello scorporo dei voti maggioritari per determinare la quota dei seggi nel proporzionale, ma anche altri effetti indesiderati: alle elezioni del 1996 l’Ulivo fece il pieno in Campania con tutti i suoi candidati nei collegi senza far eleggere il primo nel listino proporzionale, Giorgio Napolitano, poi paracadutato al Viminale nel primo governo Prodi.

Il “minotauro” durò nove anni fino al 2005, quando il premier Silvio Berlusconi arrivò a minacciare la crisi di governo se il Parlamento non avesse approvato una legge proporzionale: lo scopo era quello di rendere più difficile la maggioranza assoluta all’Ulivo alle elezioni dell’aprile 2006. E così fu. Il quindicesimo Parlamento fu eletto con una legge che il suo padrino, il leghista Roberto Calderoli, definì apertamente “una porcata”: un sistema proporzionale con lunghe liste bloccate (tutti nominati dai partiti) e un premio di maggioranza del 55% alla coalizione che avesse ottenuto il maggior numero di voti. Quella legge, che a parole non piaceva a nessuno, è stata applicata per le elezioni del 2006, 2008, 2011 e 2013. Tutti i partiti se ne dissociavano ma poi se la tenevano. A fine 2012, a pochi mesi dalle elezioni politiche del febbraio successivo, il redivivo Berlusconi e Bersani affidarono la partita della legge elettorale ai propri sherpa, Denis Verdini e al senatore piacentino Maurizio Migliavacca. Dopo settimane di trattative, si decise di non modificare il “Porcellum” per non toccare le liste bloccate. Fabrizio Cicchitto arrivò a gridare al “pactum sceleris à la Ribbentrop-Molotov”, il celebre patto di non aggressione del 1939 tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica. Non proprio un complimento. Ci fu bisogno della Corte Costituzionale per eliminare la “porcata”: incostituzionale sia l’abnorme premio di maggioranza, sia le liste bloccate.Dopo il Consultellum, un proporzionale puro con preferenze, Matteo Renzi decise che abolire le liste bloccate sarebbe stato troppo anche se da Rottamatore si diceva favorevole “alle preferenze”. Prima arrivò il “Toscanellum” o anche “Verdinellum” (ancora una volta lo zampino era del macellaio di Fivizzano): nel 2014 il consiglio regionale della Toscana approvò un sistema che prevedeva un premio del 57% se uno dei candidati avesse raggiunto la soglia del 40%. Poi il mantra del renzismo fu rispettato anche sulla legge elettorale: dalla Toscana al Paese. L’Italicum approvato nel maggio 2015 era una brutta copia del “Toscanellum”: oltre al premio, i capilista erano tutti bloccati. Ma questa legge, primo caso nella storia repubblicana, non è mai stata applicata: bocciata anch’essa dalla Consulta nel 2017. Alle politiche del 2018 gli italiani sono andati a votare con una nuova legge, il “Rosatellum” dall’idea di Ettore Rosato, in parte maggioritaria e in parte proporzionale. Ma ancora una volta, gli elettori non hanno potuto scegliere: le liste erano più corte, ma tutte bloccate e con le pluricandidature. Dopo il Sì al referendum, chissà se il prossimo Parlamento sarà più snello e soprattutto eletto dai cittadini.

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