venerdì 25 settembre 2020

Studio danese: “Svezia verso l’immunità di gregge, la pandemia potrebbe essere finita”

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Alfonso Bianchi

Europa.today.it

 

Se la Svezia non sta vivendo una seconda ondata di contagi come il resto dell’Europa, non è perché lì la pandemia di coronavirus è in ritardo rispetto ad altre parti del mondo come ad esempio l’Italia, ma perché il Paese si avvia a raggiungere l’immunità di gregge. Lo afferma Kim Sneppen, professore di biocomplessità presso il Niels Bohr Institute di Copenhagen, esperto nella diffusione del virus.

Il numero di contagi per ogni 100mila abitanti in Francia è sette volte superiore a quello del Paese scandinavo, in Spagna addirittura 11 volte, nella vicina Danimarca è il triplo. E sono tutti Paesi che hanno attuato e stanno attuando severe misure per fermare la diffusione del contagio, mentre la Svezia continua con il suo approccio soft, basato quasi esclusivamente sulla responsabilità dei cittadini. Certo la mortalità nel Paese durante il primo picco è stata molto alta, soprattutto a causa di falle nel sistema di protezione delle case di cura, dove ci sono stati circa la metà dei decessi. La Svezia ha il quinto più alto tasso di mortalità pro capite in Europa dopo Belgio, Spagna, Regno Unito e Italia. La sua mortalità è cinque volte superiore a quella della Danimarca e circa dieci volte superiore a quella della Norvegia e della Finlandia. Ma ora il peggio potrebbe essere passato e se nei momenti più duri di aprile le morti per Covid-19, nel Paese di circa 10 milioni di abitanti, in un solo giorno hanno raggiunto il picco di 115, ora da alcuni giorni quella cifra è zero.

“Ci sono alcune prove che gli svedesi abbiano sviluppato un grado di immunità al virus che, insieme alle altre cose che nel Paese stanno facendo per fermare la diffusione del virus, è sufficiente per controllare la malattia”, ha detto Sneppen al quotidiano danese Politiken, ipotizzando anche che “forse, l’epidemia lì è finita”.

Secondo le teorie riconosciute per raggiungere l’immunità di gregge dovrebbe essere contagiata o vaccinata almeno il 60% della popolazione, ma un recente studio dell’Università di Stoccolma ha suggerito che un tasso del 43% potrebbe essere sufficiente nel caso del coronavirus. Questo perché, secondo la ricerca pubblicata su Science, “la trasmissione e l’immunità sono concentrate tra i membri più attivi di una popolazione, che sono spesso più giovani e meno vulnerabili”.

Se il virus si fosse trasmesso abbastanza tra di loro all’inizio della pandemia, ora i giovani e i cittadini più sani potrebbero aver creato, seppur in parte, quel muro protettivo di anticorpi che dovrebbe aiutare anche i più vulnerabili. “Anche solo il 20 per cento in meno fa una grande differenza perché le persone infette all’inizio dell’epidemia erano le più suscettibili al coronavirus e le più socialmente attive”, ha affermato il professor Tom Britton, uno degli autori dello studio.

Quella di provare a raggiungere l’immunità di gregge senza usare vaccini è una strategia rischiosa e molto controversa. Una strategia che tra l’altro lo stesso epidemiologo di stato svedese, Anders Tegnell, ha più volte assicurato di non aver perseguito volontariamente, sottolineando che le misure di social distancing sono state prese, anche se non imposte con la forza, cosa più semplice da fare in un Paese in cui i cittadini sono solitamente rispettosi delle regole e in cui per cultura non ci si riunisce spesso in grandi gruppi, non ci si abbraccia o bacia molto e si vive spesso da soli e non in grandi nuclei familiari.

Ad aprile il professor Neil Ferguson, dell’Imperial College di Londra, pubblicò uno studio in cui affermava che se si fosse tentata la strategia dell’immunità di gregge, e non si fosse imposta alcuna restrizione, nel Regno Unito sarebbero potute morire 500mila persone. In Svezia lo stesso avrebbe potuto potuto significare 85mila morti. Al momento ce ne sono stati 5.900, cifra altissima per il Paese, ma lontana dagli scenari catastrofici prospettati da alcuni scienziati come Ferguson.

Uno dei problemi dlel’immunità di gregge è che è difficile stabilire davvero quanta parte della popolazione avrebbe sviluppato anticorpi. In un studio del British Medical Journal pubblicato a inizio mese alcuni scienziati hanno sostenuto che i test attualmente utilizzati per accertare i livelli di anticorpi tra coloro che hanno avuto Covid-19 potrebbero sottostimare il numero di persone che hanno avuto il coronavirus, visto che le persone che hanno manifestato sintomi lievi potrebbero non risultare positive. Ciò, affermano, potrebbe a sua volta avere “importanti implicazioni per la modellizzazione epidemiologica della trasmissione della malattia e dell’immunità di gregge”, sottostimandola.

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