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Cos’hanno in comune Svizzera, Norvegia e Islanda oltre ad essere gli
unici paesi del Vecchio Continente ad essere fuori dall’Unione? In tutti
e tre questi paesi le politiche economiche sono rivolte ai cittadini.
Il rapporto tra gli istituti finanziari e di credito e le banche centrali è condizionato dal potere politico espresso dai rispettivi ministeri dell’economia. Mentre i 28 paesi membri della Ue
– Inghilterra compresa – ricevono diktat di tipo tecnico da chi opera
professionalmente nel settore bancario, in Svizzera, Norvegia e Islanda
gli istituti finanziari operano sul territorio, a stretto contatto con i
residenti. E’ dunque la totale assenza di democraticità a penalizzare
l’area dei 28 paesi Ue,
di fatto governati dai loro dirigenti di area lobbystico-finanziaria.
Juncker, presidente della Commissione Europea, è un banchiere
lussemburghese, e non è affatto un caso. La Bce, guidata dal banchiere
Mario Draghi, persegue obiettivi tecnici (il contenimento
dell’inflazione) che sono considerati prioritari. Altre voci, dirimenti
per la popolazione, come l’indice di disoccupazione o l’incremento del
Pil, sono secondari rispetto agli intendimenti statutari della banca
centrale di Francoforte.
Ma se è l’assenza di democrazia ad aver convinto svizzeri, norvegesi e islandesi a starsene lontani da Bruxelles, quali sono i risultati dei tecnici Ue messi a confronto con gli “extracomunitari” del Vecchio Continente? Eh già, perchè alla fine dei conti, la ricchezza
dei cittadini e il loro benessere dovrebbero essere maggiori laddove ci
sono dei tecnici a tenere in piedi la baracca. Invece, accade
esattamente l’opposto. Svizzera, Norvegia e Islanda non sono solo paesi
indipendenti da Bruxelles, e dunque più liberi, ma sono anche i più
ricchi. Lo dimostrano tutti i dati di tutte le agenzie che si occupano
di questo tipo di statistiche. Il Pil pro capite degli islandesi è di
40.070 euro annui contro, ad esempio, i 36.313 degli italiani. Seppur
inferiore al dato tedesco, la Norvegia e la Svizzera si distinguono da
tutti gli altri, vantando un Pil pro capite rispettivamente di 69.296 e
di 59.376 euro. Il Pil, però, non è il reddito, neppure quando è
calcolato pro capite. Ma è proprio sugli altri punti macroeconomici e di
qualità della vita che il trio extra-Ue primeggia senza rivali.
Il paese in cui si vive meglio al mondo per qualità della vita (al mondo, dunque… non solo in Europa),
è la Norvegia, secondo uno studio che è stato realizzato dal centro
studi del Boston Consulting Group che ha paragonato tutti i 196 Stati
nel mondo. Secondo questo studio, la Norvegia ha un punteggio di 100, ad
esempio, mentre l’europeissima Germania
non arriva a 94. Gli indicatori presi in considerazione sono ben 44
divisi in 10 macro-aree: ricchezza (redditi), stabilità economica
(inflazione e Pil), occupazione (tasso di occupazione e disoccupazione),
salute (accesso alla sanità ed efficienza di essa), educazione (accesso
all’istruzione), infrastrutture (trasporti, Ict), eguaglianza nella
distribuzione dei redditi, società civile (attivismo, uguaglianza di
genere, coesione interclasse, sicurezza e affidabilità interpresonale),
governance (accountability, libertà di stampa, stabilità, libertà),
qualità dell’ambiente. La ricchezza è misurata attraverso l’indicatore
del reddito pro capite, mentre la distribuzione del reddito attraverso
il coefficiente di Gini.
(Giacomo Salvini, “Europa, la mappa dei paesi in cui si vive meglio”, da “Termometro Politico” del 30 luglio 2016. Nonostante i dati non siano aggiornati al 2019, il loro valore resta evidentissimo).
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venerdì 14 giugno 2019
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