Durante la guerra e l’occupazione nazi-fascista la Grecia aveva subito notevolissime perdite umane e materiali: il numero dei caduti era stato pari all’8 per cento della popolazione; il 70 per cento della produzione industriale era stato portato via dagli occupanti. L’economia del paese era stata ridotta in uno stato disastroso.
Nel 1945 il livello della produzione rispetto a quello del 1939 era pari al 20 per cento per l’industria meccanica, al 30 per cento per l’industria tessile, al 17 per cento per la produzione del cemento, e del 15 per cento per la produzione della gomma.
Risultò notevolmente ridotta anche la superficie coltivata; gran parte degli impianti di miglioramento e di difesa dell’agricoltura era stata distrutta; enormi danni erano stati inferti all’allevamento e all’industria della pesca.
L’incremento catastrofico del deficit della bilancia commerciale, l’inflazione, il caro viveri avevano portato al disastro economico, alla fame e alla povertà la massa della popolazione del paese.
Una volta cacciati gli occupanti, il paese si trovò a dover affrontare problemi gravissimi, dall’approvvigionamento di prodotti alimentari e di abitazioni, al lavoro, alla ricostruzione dell’industria, dell’agricoltura, delle comunicazioni, eccetera.
Il governo del liberale Nicolaos Plastiras, nominato primo ministro ai primi di gennaio del 1945 sulla base di un accordo intervenuto tra Churchill e il re di Grecia, si propose innanzitutto di reprimere le forze democratiche di sinistra e di ristabilire l’ordinamento reazionario.
La complessità della struttura sociale rese difficile e contraddittoria la vita politica del paese in quel periodo.
Il ruolo predominante nella vita economica e politica apparteneva alla borghesia monopolistica industriale-commerciale strettamente collegata con la borghesia britannica e successivamente con il capitale americano.
Faceva blocco con queste forze un’altra classe di sfruttatori, quella dei grandi proprietari terrieri; le banche, i monasteri e la famiglia reale possedevano anch’essi milioni di stremma (1 stremma = 0,01 ha) di ottima terra e di pascoli.
La classe più numerosa in Grecia era quella dei contadini con pochissima terra e dei braccianti, soggetti a un intenso sfruttamento; i contadini erano costretti a prendere in affitto la terra dai proprietari terrieri a condizioni di asservimento (mezzadria, colonia, eccetera).
La classe operaia, anche se poco numerosa, aveva diretto la lotta di tutta la nazione greca contro gli occupanti e, dopo la guerra, apparve come la forza decisiva del movimento democratico.
Gli interessi delle diverse classi della società greca erano rappresentati da numerosi partiti politici.
In questo periodo i partiti di estrema destra si unirono in un blocco noto col nome di “Fronte nero”.
Il suo nucleo fondamentale era costituito dal partito popolare (populista) che rispecchiava gli interessi dell’aristocrazia greca, del capitale finanziario, dei grossi proprietari terrieri e del clero reazionario della cosiddetta Antica Grecia (Peloponneso, Attica e Beozia). Si aggregarono a questo partito anche gli speculatori, che si erano arricchiti durante la guerra, e i collaborazionisti di ogni risma.
Nel “Fronte nero” occupava il secondo posto il Partito nazionale-liberale, nato nel marzo del 1945, che raccoglieva i liberali che avevano collaborato con gli occupanti.
Fondatore di questo partito era stato il generale Stilianos Gonatos, organizzatore dei “battaglioni di difesa” fascisti che durante l’occupazione avevano combattuto a fianco degli occupanti hitleriani contro l’Armata di Liberazione Nazionale della Grecia (ELAS).
Faceva parte del “Fronte nero”, anche il Partito nazionale di Napoleon Zervas che organizzava gli elementi di orientamento monarchico.
Del “Fronte nero” facevano parte anche gruppi fascisti e semifascisti di militari e un’organizzazione reazionaria di ufficiali.
Tra i partiti di centro c’era-innanzitutto il Partito liberale che rispecchiava gli interessi della media e piccola borghesia e di parte dei contadini.
Dopo la guerra intorno a questo partito si raggrupparono ceti borghesi, orientati verso la Gran Bretagna che speravano di essere prescelti dalla Gran Bretagna, per lottare contro le forze democratiche del paese, al posto dei monarchici.
Anche i partiti democratico-progressista, democratico-socialista e unionista erano orientati verso il centro e riflettevano gli interessi di alcuni ceti della borghesia greca.
I partiti centristi, che si erano rifiutati di combattere contro gli occupanti durante la guerra, avevano perso la fiducia delle masse e non rappresentavano una forza seria.
Tuttavia l’imperialismo americano e quello britannico tentarono in ogni modo di consolidare i ranghi della borghesia per la lotta contro il movimento democratico.
La reazione e il centro si opponevano al Fronte di Liberazione Nazionale (EAM) e all’armata di liberazione nazionale.
Il ruolo decisivo in queste organizzazioni apparteneva al Partito comunista greco; il numero degli aderenti al PCG [KKE n.d.r.] era cresciuto durante la guerra fino a raggiungere i 400 mila iscritti.
Lo seguiva, dal punto di vista numerico, il Partito agrario che all’inizio del 1946 contava 250 mila membri. La base di questo partito era costituita dai contadini poveri. Si trattava di un partito molto popolare con una propria rete organizzativa che copriva tutto il paese.
Infine facevano parte del Fronte di liberazione nazionale circa 1 milione di persone che non aderivano ad alcun partito. Si trattava soprattutto di contadini che si contentavano di appartenere all’EAM che per loro significava lotta per gli interessi nazionali e per obiettivi sociali.
All’inizio del 1945 l’ELAS controllava i 2/3 del territorio del paese; le altre regioni, compresa l’Attica con Atene, il Pireo e il porto di Salonicco, erano sotto il controllo delle truppe britanniche.
Le forze dell’ELAS erano consistenti. La coalizione dell’EAM contava circa 2 milioni di aderenti. Il Comitato centrale dell’EAM dava la preferenza alle soluzioni politiche e tendeva a far cessare la guerra civile iniziata nel dicembre del 1944.
Il governo non aveva però alcuna intenzione di risolvere per vie pacifiche i problemi venuti a maturazione.
L’accordo di Varkiza raggiunto con i rappresentanti dell’EAM il 12 febbraio 1945 prevedeva la cessazione del regime di guerra, l’epurazione dei collaborazionisti dall’esercito, dalla polizia e dall’apparato statale, garanzie di libertà di parola, di stampa, di riunione, la libertà sindacale e la fine della guerra civile; si trattava di sciogliere non soltanto l’ELAS ma anche le altre organizzazioni armate.
Il governo invece lanciò le proprie forze contro l’ELAS.
Cominciarono gli arresti degli appartenenti all’EAM e i licenziamenti di operai e impiegati per scarso affidamento; furono sciolti i sindacati.
Intanto con le armi tolte all’ELAS venivano armate bande fasciste.
La reazione si appoggiava alle forze armate britanniche. La Gran Bretagna assunse il compito di scudo che consentì alla reazione greca di organizzare nel paese la campagna contro le forze democratiche.
Fu scatenata una campagna di odio contro l’EAM-ELAS e il Partilo comunista greco. Moltissimi democratici perirono per mano di assassini e moltissimi altri furono rinchiusi in carcere e nei campi di concentramento.
I colpi sferrati contro l’EAM provocarono una crisi all’interno delle forze democratiche.
Elementi piccolo-borghesi e indecisi si affrettarono ad abbandonare il campo.
Il movimento operaio continuò tuttavia a svilupparsi.
Il plenum del Comitato centrale del Partito Comunista greco, nell’aprile e nel giugno del 1945, e il VII congresso, nell’ottobre 1945, invitarono i lavoratori a lottare per l’unità nazionale, per la cessazione della guerra civile, per l’allontanamento delle truppe britanniche e per uno sviluppo democratico del paese.
Il 22 novembre 1945 veniva formato il governo del liberale Themistoclis Sofulis.
Tuttavia, l’ingresso dei liberali nel governo non favorì la normalizzazione della situazione. Al contrario lasciò mani libere al “Fronte nero” dal momento che la politica del terrore trovava ora la copertura di un governo cosiddetto democratico.
Il governo Sofulis indisse le elezioni parlamentari per il 31 marzo 1946.
La campagna elettorale si svolse in un clima dominato dal terrore e dalle sopraffazioni della reazione. In molte località furono falsificate le liste elettorali.
Le “elezioni” consegnarono perciò il potere alle forze più reazionarie. Il nuovo governo fu capeggiato dal leader del Partito popolare Constantinos Tsaldaris, una creatura degli imperialisti inglesi.
Il governo britannico aveva ripetutamente affermato che avrebbe ritirato le proprie truppe subito dopo le elezioni; ora però si rifiutava di mantenere la promessa e inviò al governo degli Stati Uniti un “memorandum” col quale chiedeva il consenso americano all’effettuazione di un plebiscito a proposito del rientro del re in Grecia, ritorno previsto per il 1948 e che i britannici invece premevano perché avvenisse al più presto.
Il plebiscito fu effettuato il 1° settembre 1946 alla fine di una furiosa campagna sciovinista organizzata dai circoli dirigenti e “rafforzata” con provocazioni ai confini tra la Grecia e la Bulgaria, la Jugoslavia e l’Albania. Scopo di queste provocazioni era quello di distrarre la popolazione dai gravi problemi economici e politici all’interno del paese. Queste provocazioni prefiguravano inoltre i progetti annessionisti della reazione greca nei confronti delle democrazie popolari confinanti.
I risultati del plebiscito furono falsificati (70 per cento alla monarchia, 30 per cento per la repubblica).
Il re Giorgio II arrivò ad Atene il 27 ottobre 1946 sotto la protezione dell’aviazione anglo-americana. In seguito a trattative segrete tra Giorgio II, Tsaldaris e gli ambasciatori britannico e americano, la partenza delle truppe britanniche dalla Grecia fu rimandata “sine die”.
In queste condizioni cominciò a intensificarsi la resistenza popolare alle forze della reazione.
Nel giugno 1945 il Comitato centrale del Partito comunista greco aveva invitato i comunisti a organizzare gruppi di autodifesa contro le bande monarchiche. Intanto sui monti si andavano concentrando i democratici sfuggiti alle spedizioni punitive.
Nelle province più colpite dal terrore si formarono reparti partigiani che il 26 ottobre 1946 si unificarono nell’Esercito Democratico Greco [DSE n.d.r] guidato da Markos Vafiadis, ex vice-comandante del raggruppamento di Macedonia dell’ELAS. In novembre l’esercito democratico conseguì sulle truppe governative numerose vittorie che il governo greco utilizzò per appellarsi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La reazione greca e mondiale fece molto rumore a proposito della “minaccia da nord” accusò i paesi di democrazia popolare di interferenza negli affari interni della Grecia. Si trattò di una manovra propagandistica nello spirito della “guerra fredda” scatenata proprio in quei mesi dai circoli imperialisti contro l’URSS e gli altri paesi che avevano imboccato la via del socialismo.
Né il governo greco né i suoi protettori occidentali riuscirono a dimostrare l’esistenza di una “minaccia da nord” per la Grecia.
La bancarotta politica del governo sia in politica estera (le pretese sull’Albania meridionale e su parte del territorio bulgaro non trovarono alcun appoggio) sia in politica interna era ormai evidente.
Il gabinetto Tsaldaris non riuscì d’altro canto a stabilizzare la situazione economica del paese.
Nel dicembre del 1946 la produzione industriale era giunta al 60 per cento di quella prebellica e quella agricola non superava il 55 per cento.
La situazione politica continuava a essere molto tesa.
Il 24 gennaio 1947 veniva formato un nuovo gabinetto capeggiato dall’altro leader 347 del partito popolare, Dimitrios Maximos.
La politica sanguinaria di questo governo provocò l’intervento del Consiglio di sicurezza dell’ONU che inviò in Grecia una Commissione di inchiesta perché si ponesse fine alle fucilazioni di persone che avevano partecipato in qualità di testimoni ai processi contro i seguaci dell’EAM.
In febbraio, la commissione del Consiglio di sicurezza ascoltò le comunicazioni dei rappresentanti del Comitato centrale dell’EAM, della Confederazione generale del lavoro, dei partiti di sinistra e centristi i quali confermarono che la situazione politica in Grecia era il risultato delle interferenze della Gran Bretagna e della violazione da parte delle destre degli accordi di Varkiza.
Queste dichiarazioni suscitarono notevole preoccupazione a Londra. Il governo britannico chiese aiuto a quello statunitense.
La “dottrina Truman” fu il risultato dell’accordo tra Gran Bretagna e Stati Uniti a spese dei popoli della Grecia e della Turchia.
Sulla base di questa a dottrina gli americani concentrarono nelle proprie mani tutto il controllo sulla vita politica ed economica della Grecia e la direzione delle operazioni militari contro l’esercito democratico.
Ottenuto un appoggio materiale e morale esplicito, i circoli monarchici reazionari capeggiati dal re Paolo, che era succeduto a Giorgio II alla morte di questi, intrapresero una nuova offensiva contro le forze democratiche e una nuova campagna ostile nei confronti dell’Unione Sovietica e dei paesi di democrazia popolare.
Gli organi del governo sollecitavano gli estremisti invitandoli alla “campagna contro il nord”.
Le cose arrivarono al punto da costringere l’Unione Sovietica a ritirare, il 6 aprile 1947, tutto il personale dell’ambasciata di Atene e lo stesso ambasciatore.
Nel 1947 fu dato inizio a una grossa operazione militare contro l’esercito democratico per la quale furono concentrati nella Grecia centrale 60 mila soldati e ufficiali dotati di carri armati, aerei, mortai e artiglierie.
Le forze dell’esercito democratico in quel periodo non superavano le 15 mila unità e nella regione erano 10 mila. Nonostante la chiara superiorità di forze la prima e la seconda fase della spedizione punitiva, nell’aprile e in maggio del 1947, si conclusero con un insuccesso.
L’esercito democratico riuscì a portare alcuni colpi decisi sia in Rumelia che nella Macedonia occidentale.
L’operazione delle truppe governative nella regione dei monti Grammos (giugnoluglio 1947), dov’era dislocata la base più importante dell’esercito democratico, finì anch’essa con un insuccesso.
Il governo, nel tentativo di salvare il proprio “prestigio” agli occhi dei propri seguaci e dei protettori americani, dichiarò che alle azioni dei partigiani aveva preso parte una “brigata internazionale” e indirizzò una protesta al Consiglio di sicurezza nella quale affermava che in Grecia erano penetrate consistenti forze straniere.
Questo falso tuttavia fu smascherato.
Il fallimento della spedizione punitiva seppellì anche il compromesso governo Maximos.
Il 7 settembre nasceva un governo di coalizione sostenuto dal partito liberale e dal partito popolare.
Alla fine del 1947 questo governo approvava una serie di leggi che vietavano l’attività del Partito comunista greco e dell’EAM.
Su Consiglio degli americani circa 800 mila contadini greci furono allontanati dalle loro terre; intorno alle zone d’operazioni dell’esercito democratico furono create immense “aree morte”.
Il comando dell’esercito democratico oltre alle organizzazioni di difesa cominciò a creare organi di governo popolare nelle regioni liberate. Questi organi procedettero alle elezioni dei comitati popolari; le terre dei grossi proprietari furono assegnate ai contadini poveri.
Il 23 dicembre 1947 fu creato il governo provvisorio democratico greco composto in gran parte da comunisti. Fu nominato primo ministro il generale Markos Vafiadis, comandante in capo dell’esercito democratico.
Nella primavera del 1948 l’esercito del re, con la diretta partecipazione di gruppi di consiglieri militari americani, lanciò una grossa operazione offensiva contro le regioni liberate controllate dall’esercito democratico. Anche questa offensiva fu bloccata dai reparti partigiani che riuscirono a portare i loro attacchi alle spalle delle truppe governative e nelle regioni vicine.
Il governo, inasprito dagli insuccessi militari, diede inizio alle esecuzioni in massa di prigionieri politici. Ad Atene e al Pireo fu imposta la legge marziale.
Il 16 giugno 1948 ebbe inizio una nuova offensiva delle truppe governative.
In quel periodo affluirono in Grecia dagli USA 210 mila tonnellate di armi e munizioni.
Il governo di Atene ricevette carri armati, aerei, artiglierie, 5.800 mitragliatrici, 1.920 mortai, 70 mila fucili, 3.250 stazioni radio, 6.700 automezzi, eccetera.
L’esercito democratico nella regione dei Grammos disponeva soltanto di 11 mila uomini, dotati quasi esclusivamente di armi leggere.
Ci furono scontri cruenti su tutto il fronte. La situazione per l’esercito democratico si fece difficile e il territorio da esso controllato si ridusse notevolmente.
La notte del 21 agosto 1948 le unita più importanti dell’esercito democratico si aprirono una breccia e riuscirono a sfuggire all’accerchiamento nella regione di Vitsi-Grammos.. A Creta le forze partigiane furono annientate nel luglio 1948. Nella regione centrale del Peloponneso i reparti dell'Esercito democratico respinsero gli attacchi delle forze governative fino al 20 gennaio del 1949.
Forze ancora capaci di combattere dell'esercito democratico si erano concentrate nella regione di Vitsi-Grammos, circondata dal nemico. L’esercito democratico non aveva modo di ottenere rinforzi. In questa regione il numero dei combattenti non superava le 20 mila unita. Nell’estate del 1949 le truppe governative concentrarono il grosso delle loro forze contro la regione di dislocazione dell’esercito democratico. A metà agosto occuparono Vitsi dopo feroci combattimenti.
Gli ultimi scontri avvennero nella regione dei monti Grammos il 28-30 agosto 1949. Le forze dell’esercito democratico furono costretta ad abbandonare il territorio greco.
Il movimento di liberazione nazionale in Grecia era stato sconfitto.
L’imperialismo internazionale e reazione greca soffocarono nel sangue le conquiste del popolo greco.
La Grecia fu trasformata in una roccaforte della reazione imperialista nell’Europa sud-orientale.
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