In occasione della nostra recente pubblicazione del libro di Raoul Vaneigem “Sull’autogestione della vita quotidiana. Contributo all’emergenza di territori liberati dall’impresa statale e mercantile”, pubblichiamo l’intervista rilasciata dall’autore al “Nouveau magazine littéraire” sul movimento francese dei Gilets jaunes.
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1. In Contributo all’emergenza di territori liberati dall’impresa statale e mercantile – Riflessioni sull’autogestione della vita quotidiana, Lei scrive che “preferire il male di oggi anziché quello che domani sarà peggiore ci dissuade dal sollevarsi”. Eppure i Gilets jaunes si sono sollevati proprio per preservare il loro posto in questa civiltà dei consumi e dell’automobile regina che Lei condanna.
Non dev’esservi sfuggito che l’obiettivo del mio libro è principalmente quello di scuotere la rassegnazione, l’indifferenza e l’apatia che finora hanno permesso di tollerare che la desertificazione della terra e della vita sia freddamente programmata e imposta con un cinismo crescente a danno delle popolazioni del globo. Che una grande esplosione di collera deflagri improvvisamente, inopinatamente, con moventi di cui solo l’apparenza è futile, mi procura dunque una grande soddisfazione. Si sono sollevati per preservare il loro posto, dice? Ma quale posto? Non hanno posto in questo bel mondo affarista che li sfrutta come consumatori telecomandati, come produttori di beni che devono pagare, come fornitori controllati burocraticamente di tasse e imposte che rimpinguano le malversazioni bancarie. Certo, il grande grido “Ya basta!”, “ne abbiamo abbastanza!” può spegnersi, tagliar corto. La servitù volontaria ha conosciuto spesso rivolte senza domani. Tuttavia, anche se la collera dei Gilets jaunes stagnasse e subisse un riflusso, una grande onda veramente popolare – e non populista – si è sollevata provando che niente resiste agli slanci della vita.
- I Gilets jaunes sono il nuovo nome di quella classe sottomessa a “una corvè estenuante la cui retribuzione salariale serve principalmente a investire nell’acquisto di merci?”
- All’idea che “abbrutiti da un lusso di paccottiglia i futuri naufraghi scorazzano sul ponte mentre la nave affonda” i Gilets jaunes replicano “voi vi preoccupate della fine del mondo, noi della fine del mese”. Che cosa risponde loro?
- I Gilets jaunes sono un esempio di quel proletariato che “è regredito al suo antico stato di plebe”? Vittima di un capitalismo finanziario che ha degradato “la sua coscienza umana e la sua coscienza di classe” la plebe non fa più la rivoluzione ma si rivolta?
- Si può ancora, quando si fa parte delle classi medie inferiori decentrate (lavoro mal retribuito, obbligo di usare l’auto per tutti gli spostamenti, mutuo o affitto da pagare…) riconquistare “l’autogestione del quotidiano”?
- Lei evoca uno Stato “ridotto alla sua semplice funzione repressiva”. E’ dunque quello di cui vediamo oggi il volto in Francia?
- La lotta dei Gilets jaunes e quelle delle forze che Lei saluta nel suo libro (Zadisti, femministe, militanti ecologisti…) possono convergere? Oppure si oppongono per essenza?
I dirigenti politici e quelli che premono alla porta per prenderne il posto pensano il contrario, così come pensano che tassare il carburante di quelli che hanno obbligato a usare la vettura e la benzina li esonera dal toccare i benefici enormi di Total e soci. Le zone da difendere (Le ZAD) non si limitano a combattere le nocività che le multinazionali insediano nel disprezzo degli abitanti della terra; sono il luogo in cui l’esperienza di nuove forme di società fa i primi passi. “Tutto è possibile!” è anche il messaggio dei Gilets jaunes.
Tutto è possibile, anche le assemblee di autogestione in mezzo agli incroci stradali, nei villaggi, nei quartieri.
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