Il ministro iraniano
degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha affermato che le illazioni Usa
sugli attacchi avvenuti ieri a due petroliere appena al di fuori del
Golfo Persico, è parte del “sabotaggio diplomatico” della cosiddetta
“Banda delle 4 B” (Bolton, Bibi Netanyahu, Bin Sultan, Bin Zayed ndr) .
contropiano.org
Ieri in serata il segretario di Stato Usa Mike Pompeo aveva dichiarato
che “l’Iran è responsabile per gli attacchi”.Le due petroliere coinvolte sono la
norvegese Front Altair di proprietà della società Frontiline, battente
bandiera delle isole Marshall, che trasportava un carico di etanolo dal
Qatar a Taiwan, e la Kokuka Courageous della società giapponese Kokuka
Sangyo, battente bandiera panamense. Ieri mattina le due petroliere
attaccate sono state evacuate nelle acque del Golfo e gli equipaggi sono
stati tratti in salvo dalla marina militare iraniana e dalla Quinta
flotta Usa di stanza nella zona, che hanno risposto alle richieste di
soccorso.
La Kokuka Courageous trasportava
metanolo da Singapore all’Arabia Saudita e, durante la navigazione, ha
subito uno squarcio allo scafo poco sopra la linea di galleggiamento,
forse centrata da un siluro. La Front Altair sarebbe stata danneggiata
da esplosioni, che secondo alcuni sarebbero attribuirli a una mina
magnetica.
C’è una prima coincidenza “politica”
che sembra indicare l’Iran più come vittima che come responsabile degli
attacchi. Entrambe le navi sono “legate” in qualche modo al Giappone
(paese fortemente dipendente dalle forniture petrolifere esterne) e gli
incidenti sono avvenuti proprio in concomitanza con la visita
diplomatica del premier giapponese Shinzo Abe. Si tratta della prima
visita di un leader di governo giapponese in Iran da quando, nel 1979,
venne rovesciato lo Scià e instaurata la Repubblica Islamica.
Il segretario di Stato Usa Pompeo ha
puntato il dito senza mezzi termini contro Teheran, parlando di
“spudorati attacchi” che sono parte di una “campagna” della Repubblica
islamica per “aumentare le tensioni e creare maggiore instabilità”. Egli
ha poi annunciato una risposta “economica e diplomatica”, sebbene
alcune fonti lasciano trapelare che Washington stia valutando anche
l’opzione militare.
Il problema è che la campagna della
coalizione delle “4B” contro l’Iran, fatica a trovare alleati, al
contrario, viene mal sopportata da molti partner internazionali,
dall’Unione Europea alla Cina, dalla Russia all’India. L’unica strada
che gli Usa conoscono – ed hanno praticato nei decenni – è quella di far
schizzare la tensione e creare una condizione per il loro consueto
esercizio della forza.
Ma l’escalation della tensione in un’area strategica come il Golfo Persico preoccupa sempre più gli altri soggetti e le diplomazie internazionali. A innescare l’escalation, va ricordato, è stata la decisione unilaterale del presidente Usa Donald Trump del maggio 2018 di ririrarsi dall’accordo nucleare (Jcpoa) raggiunto a fatica dal predecessore Barack Obama, introducendo sanzioni
durissime contro l’Iran ma estendendole ai paesi che continuano a
commerciare con Teheran. Oltre a sabotare le esportazioni petrolifere
iraniane, Washington ha inoltre rafforzato la presenza militare nel Golfo.
L’attacco alle petroliere di ieri
segna un passaggio di questa escalation. Altri attacchi a navi in
transito nella zona (quattro per l’esattezza) erano avvenuti nelle
settimane scorse, il 12 maggio. Due di esse erano petroliere saudite.
La propaganda di guerra degli Usa si
fonda per ora sulla diffusione del Comando centrale Usa in Medio Oriente
di un video in cui si vedrebbero alcuni membri della Guardia
rivoluzionaria islamica rimuovere una mina inesplosa da una delle
petroliere “per nascondere le eventuali prove dell’attacco”. Vi
sarebbero però altre testimonianze del tutto diverse e a favore della
versione iraniana, fra queste quella dell’armatore giapponese
proprietario della Kokuka Courageous, il quale afferma di aver notato
“oggetti volanti” prima dell’esplosione. Parole che sembrano dunque
smentire il ricorso a mine o a missili sottomarini sbandierate dagli
Stati Uniti.
Immediate le ripercussioni sui prezzi petroliferi. Il Sole 24 Ore riporta che “all’Ice
di Londra i contratti di Agosto sul Brent si sono impennati fino a
62,64 dollari per barile, mentre al New York Mercatile Exchange i future
sul Wti sono avanzati del 3,6% sulla soglia dei 53 dollari. Peraltro
ieri i prezzi petroliferi avevano registrato un arretramento del 3-4%
sull’onda dei dati sull’aumento delle scorte Usa. Più in generale, nelle
ultime settimana le quotazioni sono arretrate sulla scia delle
previsioni di un rallentamento della crescita economica globale, che
ridurrebbe i consumi”. A fine giugno a Vienna l’Opec dovrebbe tenere il suo
vertice, per decidere i livelli di produzione nella seconda metà di
quest’anno, una riunione che si preannuncia molto tesa per via dei
contrasti tra Iran e Arabia Saudita, ma anche per la fine dell’idillio tra quest’ultima e la Russia.
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sabato 15 giugno 2019
Golfo. Attaccate due petroliere. La “Banda delle 4 B” punta all’escalation.
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