sabato 15 giugno 2019

Golfo. Attaccate due petroliere. La “Banda delle 4 B” punta all’escalation.

Il ministro iraniano degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha affermato che le illazioni Usa sugli attacchi avvenuti ieri a due petroliere appena al di fuori del Golfo Persico, è parte del “sabotaggio diplomatico” della cosiddetta “Banda delle 4 B” (Bolton, Bibi Netanyahu, Bin Sultan, Bin Zayed ndr) . 


contropiano.org 
Ieri in serata il segretario di Stato Usa Mike Pompeo aveva dichiarato che “l’Iran è responsabile per gli attacchi”.Le due petroliere coinvolte sono la norvegese Front Altair di proprietà della società Frontiline, battente bandiera delle isole Marshall, che trasportava un carico di etanolo dal Qatar a Taiwan, e la Kokuka Courageous della società giapponese Kokuka Sangyo, battente bandiera panamense. Ieri mattina le due petroliere attaccate sono state evacuate nelle acque del Golfo e gli equipaggi sono stati tratti in salvo dalla marina militare iraniana e dalla Quinta flotta Usa di stanza nella zona, che hanno risposto alle richieste di soccorso.

La Kokuka Courageous trasportava metanolo da Singapore all’Arabia Saudita e, durante la navigazione, ha subito uno squarcio allo scafo poco sopra la linea di galleggiamento, forse centrata da un siluro. La Front Altair sarebbe stata danneggiata da esplosioni, che secondo alcuni sarebbero attribuirli a una mina magnetica.
C’è una prima coincidenza “politica” che sembra indicare l’Iran più come vittima che come responsabile degli attacchi. Entrambe le navi sono “legate” in qualche modo al Giappone (paese fortemente dipendente dalle forniture petrolifere esterne) e gli incidenti sono avvenuti proprio in concomitanza con la visita diplomatica del premier giapponese Shinzo Abe. Si tratta della prima visita di un leader di governo giapponese in Iran da quando, nel 1979, venne rovesciato lo Scià e instaurata la Repubblica Islamica.
Il segretario di Stato Usa Pompeo ha puntato il dito senza mezzi termini contro Teheran, parlando di “spudorati attacchi” che sono parte di una “campagna” della Repubblica islamica per “aumentare le tensioni e creare maggiore instabilità”. Egli ha poi annunciato una risposta “economica e diplomatica”, sebbene alcune fonti lasciano trapelare che Washington stia valutando anche l’opzione militare.
Il problema è che la campagna della coalizione delle “4B” contro l’Iran, fatica a trovare alleati, al contrario, viene mal sopportata da molti partner internazionali, dall’Unione Europea alla Cina, dalla Russia all’India. L’unica strada che gli Usa conoscono – ed hanno praticato nei decenni – è quella di far schizzare la tensione e creare una condizione per il loro consueto esercizio della forza.
Ma l’escalation della tensione in un’area strategica come il Golfo Persico preoccupa sempre più gli altri soggetti e le diplomazie internazionali. A innescare l’escalation, va ricordato, è stata la decisione unilaterale del presidente Usa Donald Trump del maggio 2018 di ririrarsi dall’accordo nucleare (Jcpoa) raggiunto a fatica dal predecessore Barack Obama, introducendo sanzioni durissime contro l’Iran ma estendendole ai paesi che continuano a commerciare con Teheran. Oltre a sabotare le esportazioni petrolifere iraniane, Washington ha inoltre rafforzato la presenza militare nel Golfo.
L’attacco alle petroliere di ieri segna un passaggio di questa escalation. Altri attacchi a navi in transito nella zona (quattro per l’esattezza) erano avvenuti nelle settimane scorse, il 12 maggio. Due di esse erano petroliere saudite.
La propaganda di guerra degli Usa si fonda per ora sulla diffusione del Comando centrale Usa in Medio Oriente di un video in cui si vedrebbero alcuni membri della Guardia rivoluzionaria islamica rimuovere una mina inesplosa da una delle petroliere “per nascondere le eventuali prove dell’attacco”. Vi sarebbero però altre testimonianze del tutto diverse e a favore della versione iraniana, fra queste quella dell’armatore giapponese proprietario della Kokuka Courageous, il quale afferma di aver notato “oggetti volanti” prima dell’esplosione. Parole che sembrano dunque smentire il ricorso a mine o a missili sottomarini sbandierate dagli Stati Uniti.
Immediate le ripercussioni sui prezzi petroliferi. Il Sole 24 Ore riporta che “all’Ice di Londra i contratti di Agosto sul Brent si sono impennati fino a 62,64 dollari per barile, mentre al New York Mercatile Exchange i future sul Wti sono avanzati del 3,6% sulla soglia dei 53 dollari. Peraltro ieri i prezzi petroliferi avevano registrato un arretramento del 3-4% sull’onda dei dati sull’aumento delle scorte Usa. Più in generale, nelle ultime settimana le quotazioni sono arretrate sulla scia delle previsioni di un rallentamento della crescita economica globale, che ridurrebbe i consumi”. A fine giugno a Vienna l’Opec dovrebbe tenere il suo vertice, per decidere i livelli di produzione nella seconda metà di quest’anno, una riunione che si preannuncia molto tesa per via dei contrasti tra Iran e Arabia Saudita, ma anche per la fine dell’idillio tra quest’ultima e la Russia.

Nessun commento:

Posta un commento