Dopo una settimana di mobilitazione da parte dei lavoratori portuali, a poche ore dallo sciopero indetto dalla Filt Cgil e dal picchetto di protesta convocato all’alba di domani ai varchi portuali da parte di diverse associazioni che avrebbero tentato nuovamente assieme ai camalli di impedire l’imbarco della “Nave delle armi”, durante il presidio di protesta indetto nel pomeriggio di oggi davanti alla sede dell’Autorità Portuale, è arrivata la comunicazione ufficiale della ditta esportatrice che rinuncia all’imbarco e comunica la decisione di ritirare dal porto gli otto generatori destinati alla Guardia Nazionale Saudita.
Il cargo Bahri Jazan, carico dei corazzati acquistati in Canada, arriverà comunque a Genova per effettuare una sosta, per questo i lavoratori monitoreranno che non ci siano tentativi di caricare la merce e confermano lo sciopero e il presidio in caso ci fossero “anomalie” rispetto a quanto dichiarato”, ovvero che, preso atto dell’opposizione dei lavoratori del porto di Genova, non ritirerà i gruppi elettrogeni a uso militare prodotti dalla Teknel e destinati (con autorizzazione del Governo) alla Guardia Nazionale Saudita, corpo armato in prima linea nella guerra che sta devastando lo Yemen con armi prodotte in Canada, Stati Uniti e diversi paesi europei tra i quali l’Italia.
La mobilitazione è stata sostenuta dallo sciopero indetto (limitatamente ai lavori riguardanti quel carico) della Filt Cgil che avrebbe così tutelato i portuali intenzionati a boicottare e intralciare il carico degli armamenti.

“Diversamente da quanto dichiara il governatore della Regione Liguria Giovanni Toti – spiegano alcuni manifestanti – la contestazione di questi giorni non riguarda ‘qualsiasi’ vendita di materiale bellico, ma quella verso un paese in guerra, nel rispetto della legge 185 del 1990. Con la nostra presenza non facciamo altro che ricordare al Governo di rispettare i limiti che dovrebbe ben conoscere”.
Il riferimento è al post sulla sua pagina con il quale oggi Giovanni Toti aveva attaccato i lavoratori portuali, la Camera del Lavoro della Cgil e le realtà che hanno indetto e aderito al presidio (Amnesty International, Libera, Caritas diocesana, Agesci Liguria, Acli, Rete per la Pace, Oxfam e una trentina di altre realtà del mondo associativo pacifista e cattolico) mettendo sullo stesso piano la ‘regolare’ produzione di materiale militare di aziende liguri destinato all’ammodernamento degli armamenti di eserciti di stati democratici attualmente non in conflitto, “al commercio d’armi con l’Arabia Saudita, uno stato dove l’esecuzione della pena di morte senza regolare processo, la tortura e l’oppressione delle minoranze religiose e politiche sono all’ordine del giorno ed è da anni protagonista di aggressioni militari alla popolazione civile dello Yemen”.
In previsione di nuovi arrivi, l’appello delle realtà che si sono attivate a Genova e a livello nazionale è rivolto al Governo, in particolare al ministro degli Esteri Enzo Moavero e della Difesa Elisabetta Trenta: “Chiediamo, come già hanno fatto altri paesi come la Germania, di imporre l’embargo e bloccare l’export di armi verso l’Arabia Saudita, impegnata in quella che l’Onu definisce come la più grave catastrofe umanitaria al mondo”. L’antica contrapposizione tra ‘difesa del lavoro’ e produzione di armi (per quanto rifiutata dai pacifisti che parlano da sempre di riconversione industriale per quei settori), non ha nulla a che spartire con questo blocco, quindi i “cannoni navali e i mezzi blindati” prodotti dalla Oto Melara”, così come i “droni militari che potrebbe sviluppare Piaggio”, citati al presidente della Regione Giovanni Toti non rischiano alcun boicottaggio, almeno finché non dovesse verificarsi l’improbabile (e illegale) scenario di vendita di queste merci a paesi in guerra