Cambiamenti climatici, “un quinto del territorio nazionale italiano a rischio desertificazione”Un anno fa, in occasione della Giornata mondiale contro la desertificazione indetta dall’Onu, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa parlava di ‘piena emergenza’. D’altronde sono passati 25 anni dalla firma della Convenzione Onu per la lotta alla desertificazione (Unccd) e ormai si tratta di un fenomeno che, nel mondo, interessa oltre cento Paesi, minacciando la sopravvivenza di circa un miliardo di persone. Secondo l’ultimo Atlante mondiale sulla desertificazione elaborato dal Joint research centre dell’Ue, c’è anche l’Italia fra i tredici Stati membri colpiti. Oggi è la Coldiretti a ricordare la situazione del nostro Paese: “Un quinto del territorio nazionale è a rischio desertificazione a causa dei cambiamenti climatici con prolungati periodi di siccità, ma anche del progressivo consumo di suolo e della mancata valorizzazione dell’attività agricola nelle aree più difficili”.
Eppure non si fa abbastanza.
 Basti pensare ai limiti del Piano nazionale energia e clima proposto dal Governo rispetto agli impegni presi con l’Accordo di Parigi, al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del quale non si hanno più notizie dopo la consultazione della prima bozza e alla legge contro il consumo di suolo lontana dall’approvazione.
La desertificazione in Europa

La desertificazione colpisce l’8% del territorio dell’Ue, in particolare nell’Europa meridionale, orientale e centrale. Queste regioni rappresentano un territorio di circa 14 milioni di ettari. Il fenomeno interessa tredici Stati membri: oltre all’Italia, Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria. Non è un caso se a fine 2018, dopo aver esaminato il rischio di desertificazione in Europa, la Corte dei Conti europea ha scritto a Bruxelles, giudicando incoerenti i provvedimenti presi finora dalla Commissione e dagli Stati membri per combattere il fenomeno e sottolineando la mancanza di un quadro complessivo del problema. “Zone calde semidesertiche – ha scritto la Corte – esistono già nell’Europa meridionale e si stanno estendendo a Nord”.
I danni della siccità
Secondo il Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici “entro fine secolo in Italia la temperatura potrà aumentare tra 3 e i 6 gradi” con un’estremizzazione del nostro clima accompagnata da precipitazioni violente alternate a periodi di aridità. D’altro canto già i primi quattro mesi del 2019 sono stati segnati da una grave siccità “con circa un quarto di pioggia in meno” ricorda Coldiretti, sottolineando che “la siccità è diventata l’evento avverso più rilevante per l’agricoltura con fenomeni estremi che hanno provocato in Italia danni alla produzione agricola nazionale, alle strutture e alle infrastrutture per un totale pari a più di 14 miliardi di euro nel corso di un decennio”. Su un territorio meno ricco e più fragile per l’abbandono forzato dell’attività agricola in molte aree interne si abbattono gli effetti dei cambiamenti climatici “favoriti anche dal fatto che l’ultima generazioni in 25 anni è responsabile in Italia della scomparsa di oltre un quarto della terra coltivata (-28%)”. Colpa della cementificazione e dell’abbandono “provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile in Italia ad appena 12,8 milioni di ettari”.
Prandini: “Serve un cambio di passo”
Secondo il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, “in un Paese comunque piovoso come l’Italia, che per carenze infrastrutturali trattiene solo l’11% dell’acqua, occorre un cambio di passo nell’attività di prevenzione”. In Italia utilizziamo più del 30% delle risorse rinnovabili d’acqua disponibili, una soglia di molto superiore a quella del 20% indicata dall’obiettivo europeo e a causa della quale l’Italia è indicata dall’Ocse come paese soggetto a stress idrico medio-alto. Il primo step? “La realizzazione di piccole opere di contrasto al rischio idrogeologico, dalla sistemazione e pulizia straordinaria degli argini dei fiumi ai progetti di ingegneria naturalistica, ma allo stesso tempo – continua – un piano infrastrutturale per la creazione di invasi che raccolgano tutta l’acqua piovana che va perduta e la distribuiscano quando ce n’è poca, con la regia dei Consorzi di bonifica e l’affidamento ai coltivatori diretti”. E poi c’è la questione della legge sul consumo di suolo approvata da un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura “e finita su un binario morto in attesa della discussione in Senato”.
Il caso della Sicilia
Proprio in occasione della giornata mondiale della lotta contro la desertificazione la Sicilia ha approvato, tra le prime regioni in Italia, un documento predisposto dall’Autorità regionale idrica. “Pur essendo la Sicilia la regione più a rischio nel Paese – sottolinea il governatore Nello Musumeci – non esisteva ancora un piano strategico per la lotta alla desertificazione”. Lo studio evidenzia rilevanti segni di vulnerabilità. Le aree critiche rappresentano oltre la metà dell’intera regione (56,7%) e un altro terzo (35,8%) è classificato come ‘fragile’. Le cause? Erosione, salinizzazione dei suoli, aridità e siccità, ma anche l’impatto delle attività dell’uomo.