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Sono
due anni ricchi di anniversari. Il 16 gennaio del 2017 abbiamo
ricordato, a 90 anni dalla nascita, Pio La Torre. Il primo maggio del
2o17 abbiamo ricordato settant’anni dalla strage di Portella della
Ginestra , primo atto dello stragismo italiano. E sono, lo diciamo con
immenso piacere, 40 anni di attività del Centro di documentazione
Giuseppe Impastato. Mai dimenticheremo l’opera coraggiosa e
straordinaria di Anna Puglisi, Umberto Santino e gli altri compagni. Non
dimentichiamo i passi avanti che abbiamo insieme fatto.
Per
la Commissione Antimafia, nel 1976, la mafia era ancora ” una comune
forma di delinquenza organizzata”. E non dimentichiamo che la prima
legge antimafia fu varata nel settembre del 1982. Portava le firme di
Virginio Rognoni e Pio La Torre. Santino scrive giustamente che gli
studi del Centro furono la base per comprendere il “paradigma della
complessità”: la mafia come organizzazione e sistema di rapporti,
intreccio tra criminalità, accumulazione, potere, codice culturale e
consenso sociale.
Con
Peppino Impastato nacque l’antimafia sociale. Vi è, nella sua
iniziativa, in maniera profetica, alla luce degli accadimenti scabrosi
degli ultimi anni, un rigetto dell’antimafia istituzionale, che spesso
si limita alla retorica delle fasce tricolori dei sindaci e, a volte, è
perfino copertura di un sistema confindustriale di relazioni mafiose.
Inoltre, spesso, l’antimafia è un dato emotivo collegato ai grandi
delitti. Si parla di legalità in termini retorici e devianti,
dimenticando l’illegalità interna ai settori dello Stato.
Non
dimentichiamo nemmeno che, su impulso della splendida famiglia di
Peppino, dei compagni di Radio Aut, del Centro, Rifondazione Comunista,
ben 22 anni dopo l’uccisione di Peppino, è riuscita, con una indagine
serrata e scientifica, a far approvare dal Parlamento (unico caso nelle
vicende dello stragismo italiano) una relazione che sanciva
definitivamente che Peppino non fu un terrorista saltato sulla bomba che
stava collocando sui binari, né un suicida ma un compagno che lottava
le mafie con una intelligenza tale che per le mafie era divenuto un
ingombro, per cui lo uccisero. Apparati dello Stato “depistarono” il
raggiungimento della verità che poteva, per l’evidenza delle prove,
essere raggiunta subito. Ma gli apparati dello Stato erano (e in parte
sono) subalterni ai processi di accumulazioni di capitali delle mafie.
Del traffico internazionale di stupefacenti Badalamenti, il boia di
Peppino, fu snodo, tramite, fruitore. Egli ebbe, questo è il punto,
tanto denaro, tanto potere, tante relazioni politiche ed amministrative.
Il
“depistaggio”, come lo abbiamo chiamato per usare il termine che fu
adottato dal grande magistrato Caponnetto, non fu, da parte dello Stato,
negligenza o inerzia, ma scelta consapevole. Peppino sfidò la mafia in
un territorio in cui si era stabilito un “sistema di relazioni” tra
segmenti degli apparati dello Stato e mafiosi molto potenti. Una specie
di “pacifica convivenza” per un tranquillo controllo del territorio. In
questo contesto, il “depistaggio” aveva preso forma, quasi con
naturalezza, a Cinisi, in una notte di maggio del 1978. Fu una sorta di
grammatica eversiva contro la Costituzione, contro lo Stato di diritto,
paradigma della connessione tra mafie, politica, economia, controllo del
territorio.
Per
questo non ci stancheremo mai di ricordare Peppino. Non come un’ icona
da venerare, ma per la attualità della sua antimafia sociale. Peppino fu
un precursore. Anche per le metafore, il sarcasmo, l’uso corrosivo
della satira come critica del potere. Le sue trasmissioni su Radio Aut
sono esemplari ancora oggi.
Peppino,
come ci ricorda spesso Santino, “è stato un militante della Nuova
Sinistra, un organizzatore di lotte studentesche e contadine, da Lotta
Continua alla candidatura con Democrazia Proletaria, in polemica aspra
con il PCI del compromesso storico”. Peppino fu , in definitiva, un
precursore, quando iniziava la globalizzazione liberista, del movimento
altermondialista, lottando a mani nude contro le mafie internazionali.
Per un altro mondo possibile. E se Peppino è divenuto per tanti ragazzi e
ragazze di oggi, punto di riferimento per un mondo migliore da
costruire, lo si deve anche all’infaticabile lavoro compiuto nella “Casa
Memoria, Peppino e Felicia Impastato” che Giovanni Impastato, insieme a
tanti altri e altre compagni, hanno mantenuto come spazio aperto.
Arrivano
ancora oggi da ogni parte d’Italia e anche d’Europa a visitare questo
che invece di divenire museo è spazio sociale, sfogliano i giornali
d’epoca, guardano i manifesti e discutono dei problemi e delle speranze
passate e presenti. Luogo di dibattito politico che nella propria
indipendenza in cui tante compagne e compagni, hanno affrontato le nuove
forme dello sfruttamento, il razzismo, le violenze dello Stato e di
quella complice criminalità che non ha mai smesso di colpire. Un centro
propulsore di esperienza e di lotta che va sostenuto e preservato, in
cui oggi 9 maggio ci ritroveremo in tanti per manifestare oggi come
allora da che parte stare. Ma che deve restare sempre più luogo di
memoria vivente e continua, di elaborazione di prospettiva politica e di
alternatività sociale al neo liberismo. Giovanni Impastato ha scelto
durante l’ultima campagna elettorale di essere al nostro fianco con
Potere al Popolo. Una scelta che ci carica di responsabilità e che ci
ricorda come il legame fra quella lontana notte a Cinisi e questo
presente tanto duro da affrontare non si sia mai interrotto. Un presente
ed un futuro da cambiare insieme.
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