“In ogni campus universitario medio, l’edificio più nuovo e appariscente è quello della Business school. La business school ha l’edificio migliore perché fa più profitti (o, eufemisticamente, “contributi” o “surplus”) – come è ovvio aspettarsi da una forma di conoscenza che insegna a fare profitti.
Le Business school hanno una grande influenza, eppure sono ritenute luoghi intellettualmente truffaldini che promuovono una cultura dell’avidità e della visione a breve termine. C’è una serie infinita di battute su cosa significhi davvero MBA – Master of Business Administration, e cioè: “Mediocre But Arrogant”, Mediocre ma arrogante; o “Master Bullshit Artist”, ossia Master artista in cazzate; e così via.
I critici delle Business school assumono diverse forme: gli impiegati lamentano la mancanza di competenze pratiche da parte dei laureati, i conservatori disprezzano l’arrivismo da parvenu di MBA, gli europei lamentano l’americanizzazione, i radicali se la prendono con la concentrazione del potere nelle mani del capitalismo rampante. Dal 2008 molti commentatori hanno anche suggerito che le Business school siano state complici nella produzione del crack finanziario globale.
Avendo insegnato 20 anni nelle Business school, sono arrivato a credere che la migliore soluzione per questi problemi sia abbattere tutte le Business school, punto di vista non molto diffuso tra i miei colleghi. E’ comunque interessante notare come, nell’ultimo decennio, molti critici delle Business school vengano proprio da quelle scuole. Molti docenti, soprattutto in Nord America, hanno sottolineato come le loro istituzioni siano andate completamente fuori strada. Le Business school, sostengono, sono state corrotte dai presidi che inseguono i soldi, dagli insegnanti che danno ai clienti ciò che vogliono, dai ricercatori che sfornano relazioni per i giornali che nessuno legge, infine da studenti che si aspettano un titolo di studio in cambio dei loro soldi (o meglio, dei soldi dei loro genitori). Alla fine, però, molti di coloro che usciranno dalle Business school non diventeranno manager di alto livello, ma solo automi da scrivania in anonimi uffici.”
Questo è l’inizio dell’articolo di Martin Parker che più avanti scrive: “In realtà cosa insegnano le Business school? Domanda più complessa di quanto possa sembrare. Molti scritti sull’istruzione hanno indagato sui programmi nascosti inseriti nelle lezioni. Dagli anni ’70 in poi si è indagato su come argomenti quali classe sociale, genere, etnia, sessualità fossero insegnati implicitamente… Il programma nascosto può essere insegnato in tanti modi, a partire da come viene effettuata la valutazione, o cosa c’è, ma anche cosa non c’è nel programma. Ci dice cosa è importante e chi è importante, quali posti sono più importanti e quali argomenti possono essere ignorati.”
Verso la fine del lungo articolo leggiamo: “Il tipo di mondo prodotto dalla gestione di mercato che le Business school vendono, non è certo piacevole. E’ una sorta di utopia per i ricchi e i potenti, e lo studente viene incoraggiato a immaginarsi come uno di loro, ma tale privilegio viene pagato molto caro; è il risultato della catastrofe ambientale, delle guerre per le risorse energetiche e della migrazione forzata, della diseguaglianza tra paesi e all’interno di uno stesso paese, c’è poi l’incoraggiamento all’iperconsumo e la diffusione sempre maggiore di pratiche antidemocratiche nei posti di lavoro.”
Gli spunti che offre Martin Parker sono molti, soprattutto spinge ad una riflessione sull’importanza dell’istruzione nella formazione giovanile.
https://www.theguardian.com/news/2018/apr/27/bulldoze-the-business-school
* Traduzione e selezione a cura di Grazia Orsato
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