Sono quelli che una recente
ricerca delle Acli descrive come "nativi precari", cioè giovani nati in
famiglie nelle quali i genitori hanno perso stabilità lavorativa,
reddituale, di status. Gianfranco Zucca, che ha curato questa ricerca
assieme a un gruppo di ricercatori sociali, ha messo in luce alcuni
aspetti interessanti. Qui ci limitiamo a citarne due e a fare un breve
commento.
Il
primo aspetto è il lavoro in deroga, cioè la disponibilità mostrata dal
campione degli intervistati a accettare un lavoro anche se questo
sospende alcune tutele. Si tratta di una sorta di adattamento perché
"tanto il mondo del lavoro funziona così".
Non si tratta della gavetta
che
tutti hanno più o meno passato, ma dell'accettare accordi al ribasso,
concessioni, rinunce e sacrifici anche ai propri diritti in cambio di
una promessa: un posto di lavoro pienamente tutelato. Questi giovani
disposti anche a sacrificare tempi, tutele e retribuzione rischiano di
costituire una base sociale per una economia della promessache
potrebbe garantire una flessibilità fuori controllo.
In questo scenario
sembra ormai del tutto persa la battaglia per la domenica come giorno di
festa. Effetto collaterale.
Secondo aspetto. L'idea di economia della promessa fa
il paio con la trappola della passione. Il giovane lavoratore accetta
di differire il premio –la promessa– perché è fortemente motivato, è la
meta centrale della sua vita, della sua identità, del suo status: il
coronamento di un sogno.
È una trappola perché per raggiungere il sogno
si minimizzano gli aspetti che si sacrificano o si perdono. È una
trappola perché molti lavori non hanno una vera e propria carriera
oppure perché la carriera esiste ma ha altri percorsi.
Entrambi
gli aspetti ci chiedono di rileggere il significato del lavoro nei
giovani, il senso e le aspirazioni che a esso si connettono: in una
parola, lo spirito. La questione materiale
–nel nostro paese– è trovare un lavoro per tutti, d'accordo. Ma non dobbiamo sottovalutare che c'è anche quanto l'
articolo 4 della Costituzione
definisce in termini di questione spirituale, e che non ha esattamente a
che fare con Dio ma con le condizioni che sostengono e tutelano
dignitosamente un impegno personale e familiare. Materiale e spirituale,
due facce del lavoro che meritano la stessa attenzione.
Nessun commento:
Posta un commento