Vincenzo Imperatore Consulente di direzione, giornalista e saggista
La settimana scorsa abbiamo affrontato il tema riguardante l’indice NSFR(Net Stable Funding Ratio) che dal 2018 dovrebbe rappresentare un “indicatore” della liquidità (e quindi solidità) del sistema delle banche e della intrinseca capacità di reagire a eventi traumatici, su un orizzonte di tempo limitato (un anno). Ma, come abbiamo dimostrato, si tratta di una spia “truccata” alla fonte. Ma perché Basilea ha voluto edulcorare questo indicatore? Perché consentire alle banche di “annacquare” – o se preferite “edulcorare” – l’indice con quella parte di somme che hanno una scadenza minore ai 12 mesi? Semplice: perché le banche private hanno nei loro portafogli decine di miliardi di titoli di Stato. Gli istituti di credito privati sono da sempre i primi che vanno in soccorso e incontro allo Stato per finanziare il debito pubblico. Se gli organi di vigilanza non “aggiustassero” in quel modo la normativa del Nsfr, le banche potrebbero, per esempio, per mettersi “in regola” con la questione delle scadenze, sbarazzarsi, come sta avvenendo, di tutti i titoli di Stato (soprattutto Btp a tre o cinque anni, che non rendono praticamente nulla), e sostituirli con altri titoli, più a breve termine. E questo, all’Autorità europea centrale, non conviene. Ecco perché poi “aggiustano” le normative a vantaggio delle banche.
Il dramma dell’Europa è il finanziamento del debito pubblico, che oggi possono e devono fare soltanto le banche. Perché i risparmiatori il debito pubblico non se lo “comprano” più (solo il 6%). E tra poco più di un anno (quando l’indice NSFR sarà a pieno regime) anche la Bce smetterà di acquistare i nostri BTp. Cosa succederà a quel punto? Servirà trovare nuovi acquirenti e i sostituti saranno di nuovo le banche e le assicurazioni italiane. E allora la relazione incestuosa proseguirà, con le conseguenze che sappiamo.
Quella tra le banche private e lo Stato è davvero una relazione pericolosa. Con il finanziamento del debito pubblico sappiamo infatti che le banche forniscono una “stampella” allo Stato. Così facendo, i governi finanziano il proprio debito – anche se non gratuitamente, certo – e le banche, acquistando titoli a “rischio zero”, raggiungono gli obiettivi di solidità patrimoniale richiesti dalla vigilanza.
All’inizio della crisi, nel 2011, quando gli indicatori macro-economici si sono fatti tutti negativi, le banche italiane avevano nelle loro casse 240 miliardi di euro in Btp e in altri titoli di Stato, diventati 340 miliardi alla fine del 2017. Un mare di soldi, dunque. Come mai così tanta generosa “accoglienza” delle banche nei confronti dello Stato? Il mio dubbio è che, lungi dall’essere paladine di una causa sociale o morale, le banche siano più prosaicamente interessate, per convenienza e per opportunismo, a tenere una poltrona riservata nel salotto buono delle lobby. Patti chiari, amicizia lunga: la banca compra i titoli di Stato e in cambio lo Stato, cioè anche Bce, Banca d’Italia, Consob e commissioni parlamentari varie, non rompe le scatole sugli affari meno nobili, chiamiamoli così, dell’istituto.
Ad ogni modo un’alternativa , come acquirente dei titoli di Stato, ci sarebbe: le banche d’affari straniere.
Vuoi vedere che il disegno è molto più semplice: I’ll buy you the public debt if you give me the banks!
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