Siccità, inquinamento, sprechi e disinteresse dei governi. Ventisette grandi corsi d'acqua, tra cui il NIlo, sono in pericolo. La loro fine causerebbe una crisi umanitaria e un'emigrazione di massa epocali.
Il bacino dei fiumi Eufrate-Tigri è un bacino transfrontaliero distribuito tra Iraq (46 per cento), Turchia (22 per cento), Iran (19), Siria (11), Arabia Saudita (1,9) e Giordania (0,03). Entrambi i fiumi nascono nelle montagne orientali della Turchia, il che conferisce un vantaggio strategico a questo paese. A metà degli anni ’60 la Turchia iniziò a costruire la prima diga sull’Eufrate e il progetto fu concluso nel 1973. Pochi anni dopo un’altra diga fu costruita: era la prima parte del progetto dell’Anatolia sud-orientale (Gap), che cambiò drasticamente il regime di scarico dell’Eufrate. Il Gap consiste della costruzione di 22 dighe nelle montagne dell’Anatolia per fornire irrigazione per 1,8 milioni di ettari e 7,4 megawatt di energia elettrica.
Ashur, un contadino iracheno sessantenne, cammina con i suoi nipoti sul letto del fiume secco della parte meridionale dell’Eufrate, piangendo: «Mai Maaku», non c’è acqua. Invece di coltivare il riso ora la famiglia di Ashur vive raccogliendo sale dai bacini secchi. Secondo il Wwf, su 27 fiumi mondiali in pericolo, nove si trovano in Medio Oriente; sei dei quali in Turchia, proprio a causa del numero di dighe costruite negli ultimi quarant’anni.
La regione Medio Oriente e il Nord Africa (Mena) è la più povera d’acqua al mondo. Il gruppo intergovernativo per i cambiamenti climatici prevede una diminuzione delle precipitazioni fino al 25 per cento e un aumento della temperatura del 20 per cento per la regione per il prossimo secolo. Un paese è chiamato “water-stressed” se non è in grado di soddisfare il bisogno essenziale della sua popolazione. La soglia annuale dalla Banca Mondiale è fissata a 1.700 metri cubi di acqua pro capite: gli abitanti di Mena avevano solo 549 metri cubi nel 2014. Il 6 per cento della popolazione mondiale vive in questa regione, tuttavia solo l’1,5 per cento ha accesso ad acqua dolce rinnovabile attraverso le precipitazioni.La prima causa di questa situazione drammatica è da attribuire all’inefficiente gestione delle risorse idriche e all’instabilità politica della regione. La mancanza di cooperazione tra i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente può mettere seriamente in pericolo le generazioni future. Il fiume Nilo, la linea della vita dell’Africa da cinque millenni, ora è drammaticamente minacciato dalla diga Renaissance dell’Etiopia. Uno studio dell’Università del Cairo mostra che se l’Etiopia cooperasse con l’Egitto per riempire il gigantesco serbatoio della diga, il danno sulle terre agricole egiziane potrebbe ridursi al minimo. Riempire il bacino idrico da 74 miliardi di metri cubi in tre anni distruggerebbe il 51 per cento dell’agricoltura egiziana, mentre il riempimento entro sei anni potrebbe colpire il 17 per cento delle terre coltivate. Nell’agricoltura è impiegato un quarto della forza lavoro in Egitto. Ma finora l’Etiopia ha mostrato scarso interesse per qualsiasi cooperazione.
Altri paesi seguono un modello simile; quando l’Afghanistan costruì una diga sul fiume Hirmand, il flusso d’acqua verso il lago Hamoun dell’Iran fu gradualmente tagliato. Oggi, dalle paludi nel sudest dell’Iran, dove per cinquemila anni la gente è vissuta di caccia, pesca e agricoltura, non è rimasto altro che terraferma. I 4 mila chilometri quadrati del lago di Hamoun sono ora solo polvere. Il vento è diventato il terrore dei residenti della regione, poiché si trasforma immediatamente in tempeste di polvere e causa gravi problemi sia per gli abitanti iraniani che per quelli afghani della provincia.
La mancanza di una visione aggregata del problema persiste in tutta la regione. Il Mar Morto sul confine di Israele, Palestina e Giordania si sta riducendo a un ritmo incredibilmente veloce. Il lago perde un metro del suo livello ogni anno. La superficie è quasi dimezzata dal 1930 e il livello d’acqua ha perso 40 metri. Per stabilizzare il lago è necessario pompare 800 milioni di metri cubi di acqua annualmente. Nel 2015, Israele, la Giordania e l’Autorità palestinese hanno firmato un accordo chiamato “Mar Rosso-Morto” che avrebbe dovuto portare l’acqua del Mar Rosso attraverso una condotta di 180 km verso Israele e Giordania e, dopo la desalinizzazione, lasciare i 200 milioni di cubi metri di acqua salata nel Mar Morto. Il progetto è sospeso da luglio 2017, poiché le relazioni tra Israele e Giordania sono tese.
I conflitti politici internazionali sono solo una parte del problema. Anche le politiche nazionali sbagliate aumentano questa crisi. Il fiume Zayanderud a Esfahan, la storica città dell’Iran, è ormai senza acqua da diversi anni. Il fiume, il cui nome significa “donatore di vita”, non ha più vita da dare, anche se l’ha fatto per migliaia di anni. Due ponti storici costruiti sui fiumi nel 17° secolo e simboli dell’Iran ora sono a rischio perché le loro fondamenta devono rimanere bagnate per conservare solidità. «È lo scenario più triste della città per noi», dice Nima Khosrawi, 37 anni accademica di Esfahan. «Le persone erano abituate a fare un picnic vicino al fiume e, dato che è asciutto, hanno perso questa consuetudine. Ogni volta che passiamo vicino al fiume secco ci prende la malinconia».
I governi investono molto poco nel miglioramento dei sistemi di gestione delle risorse idriche. La zona del Medio Oriente e del Nord Africa soffre di conflitti da tanto tempo che i governi hanno concluso che meno dipendono dall’importazione di cibo, più sono protetti durante le instabilità. Quasi un quarto delle terre della regione Mena sono votate all’agricoltura, mentre solo il 5,6 per cento del terreno è in effetti coltivabile. A tal fine, viene utilizzato l’85 per cento delle risorse di acqua dolce, fatto che mostra l’elevata inefficienza nella gestione delle risorse rinnovabili. La coltivazione di prodotti che consumano molta acqua, come l’anguria, è un errore che è necessario fermare. Quando le precipitazioni diminuiscono rapidamente, si attinge all’acqua sotterranea, che impiega secoli per essere recuperata.
Sana’a, la capitale dello Yemen, lotta per fornire acqua al 60 per cento dei suoi abitanti. «Tante persone devono portare l’acqua dai pozzi alle loro case», dice Muhammad ibn Abdullah, un uomo d’affari. «Una volta i pozzi raggiungevano l’acqua a 30 metri di profondità, adesso bisogna scavare per oltre 1.200 metri con le trivelle petrolifere». Sana’a potrebbe diventare la prima città nel mondo completamente priva di acqua entro un decennio. I paesi di Mena hanno un altissimo tasso di spreco di acqua. Il 37 per cento del cibo prodotto nella regione è sprecato; questa cifra raggiunge il 60 per cento per frutta e verdura. In media, un terzo dell’acqua viene persa dalla fonte alla tavola.
Pochissimi governi hanno investito nella raccolta e nella riutilizzazione delle acque reflue. Quasi la metà dell’acqua non viene raccolta, e quasi il 60 per cento di ciò che resta torna all’ambiente senza trattamento. Teheran, la capitale dell’Iran, sta costruendo un sistema di acque reflue da un decennio e non è ancora completato. In molte altre città il progetto non è nemmeno stato lanciato. Invece di investire per modernizzare i sistemi di gestione dell’acqua, il consumo di acqua nella regione è fortemente sovvenzionato. Le tariffe idriche nel Mena sono le più basse al mondo. Politicamente questa questione è molto delicata, poiché gli agricoltori sono tra le famiglie a reddito più basso in questi paesi. Tuttavia, non risolvendo il problema, anche il resto della popolazione diventerà povero.
Il tasso di crescita della popolazione della regione Mena ha raggiunto il picco del 3 per cento tra la metà degli anni 80 e 90; si prevede che la popolazione raggiungerà i 600 milioni entro il 2050. Secondo uno studio dell’ecologista britannico Norman Myers, ci sono stati 25 milioni di rifugiati ambientali nel 1995. Myers ha previsto che se il cambiamento climatico non verrà preso sul serio, il numero di rifugiati ambientali potrà raggiungere i 150 milioni entro il 2050. Sebbene le sue previsioni siano state criticate dalle Nazioni Unite, le statistiche mostrano che oltre il 60 per cento della popolazione Mena vive nell’area con uno stress idrico molto elevato, cioè circa 240 milioni.
Poiché l’agricoltura e l’allevamento di animali sono le principali fonti di reddito per questi paesi, il 70 per cento del Pil della regione è minacciato dalla crisi idrica. La Banca Mondiale prevede un calo fino al 16 per cento entro il 2050. La metà della popolazione di molti paesi della regione ha meno di 15 anni: secondo il Fmi, a meno che la crisi idrica non venga adeguatamente gestita in futuro, è molto improbabile che queste giovani generazioni rimarranno nelle loro città d’origine.
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