Fonte:
Il ManifestoAutore:
Roberto Ciccarelli
Il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha presentato ieri in un’audizione alla commissione lavoro al Senato le stime di una microsimulazione sulle famiglie che permettono di valutare l’impatto economico delle proposte di legge sul reddito minimo presentate dal Movimento Cinque Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà.
Il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha presentato ieri in un’audizione alla commissione lavoro al Senato le stime di una microsimulazione sulle famiglie che permettono di valutare l’impatto economico delle proposte di legge sul reddito minimo presentate dal Movimento Cinque Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà.
Le simulazioni hanno confermato
i costi dei provvedimenti, rispettivamente 14,9 e 23,5 miliardi di
euro annui, e la necessità di una riforma radicale dello stato
sociale italiano. M5S ha salutato con un certo entusiasmo questo
intervento: «Volevano screditarci dicendo che la nostra misura aveva
un costo di oltre 30 miliardi. Oggi è stato direttamente l’Istat
a darci ragione», ha detto Nunzia Catalfo prima firmataria della
proposta M5S. «Altro che incostituzionale come sostiene Renzi. Il
reddito di cittadinanza va fatto e con la massima urgenza», ha
ribadito Roberto Fico. E Beppe Grillo: «Il Reddito di Cittadinanza
è la priorità dell’Italia, Grasso calendarizzi la proposta». «Il
reddito minimo bisogna finanziarlo con la fiscalità generale e non
è alternativo all’occupazione», ha detto il segretario della Fiom
Maurizio Landini, «soprattutto perché siamo di fronte ad una
diseguaglianza incredibile».
L’analisi dell’Istat va letta anche per
chiarire la differenza tra reddito minimo e reddito di
cittadinanza. Il primo è un intervento che garantisce «un livello
minimo di risorse» ai cittadini e nel caso della proposta M5s alle
famiglie. Il secondo è un’erogazione universale (e dunque ai
singoli individui) a tutti. In generale, bisogna rimediare alle
iniquità del Welfare italiano «attualmente sbilanciato verso
prestazioni assicurative come la Cassa integrazione guadagni
e le pensioni», sostiene l’Istat. Il reddito minimo è mirato «a
fornire una rete di protezione per gli individui nelle diverse fasi
della loro vita». Tutto ciò che manca in Italia, il paese più
arretrato d’Europa, insieme alla Grecia, per quanto riguarda la tutela
universale della vita attiva.
Alleva ha precisato che «una misura di
reddito minimo dovrebbe essere associata a politiche di
accompagnamento e inserimento nel mercato del lavoro, al fine di
bilanciare gli effetti di disincentivo alla partecipazione
all’offerta di lavoro». In questo modo si eviterebbe la «trappola
della povertà», generata dalla scelta dell’individuo di percepire un
«sussidio sicuro», anziché usare queste risorse per cercare lavoro.
È l’ottica prestazionale del reddito minimo, oggetto delle politiche workfariste che in Europa hanno modificato l’aspirazione universalistica del reddito di base in una politica del controllo e del disciplinamento delle persone. Ciò non toglie che esista uno spazio per modificare queste politiche in direzione di un welfare rispettoso della loro autonomia.
È l’ottica prestazionale del reddito minimo, oggetto delle politiche workfariste che in Europa hanno modificato l’aspirazione universalistica del reddito di base in una politica del controllo e del disciplinamento delle persone. Ciò non toglie che esista uno spazio per modificare queste politiche in direzione di un welfare rispettoso della loro autonomia.
Ciò che il Movimento 5 Stelle
definisce, impropriamente, «reddito di cittadinanza» nel
disegno di legge n° 1148. Si tratta, con le parole del presidente
dell’Istat, di un «reddito minimo universale», cioè «una misura
selettiva, limitata all’erogazione dei benefici alle famiglie il cui
reddito è inferiore a una determinata soglia (di povertà)». Parole
che dovrebbero essere, una volta tanto, tenute in considerazione
anche dai diretti interessati che parlano di «reddito di
cittadinanza» (cioè un’erogazione universale del reddito e dunque
all’individuo e non alla famiglia) e creano confusioni colossali
nel dibattito pubblico.
Per l’Istat la proposta dei Cinque
Stelle è ricavata dalla simulazione di un’imposta negativa sul
reddito presentata dall’Istat nel rapporto annuale 2014. Si parla di
una soglia minima pari a 9.360 euro annui e il 90 per cento del
reddito familiare. Il beneficio mensile massimo è di 780 euro per
singolo e cresce con il numero dei componenti del nucleo familiare.
Il beneficio diminuisce gradualmente al crescere del reddito
per impedire che l’incremento del reddito corrisponda a una
riduzione del sussidio.
L’anno scorso l’Istat aveva calcolato
l’importo complessivo annuale del reddito minimo in 15,5 miliardi di
euro. Oggi è stimato in circa 14,9 miliardi, considerando il bonus
degli 80 euro mensili riservato ai soli lavoratori dipendenti che
riduce la quota da erogare. Il sussidio andrebbe a una platea di
2 milioni e 640 mila persone con reddito inferiore all’80 per cento
della linea di povertà relativa ed è quantificato in 12 mila
euro annui.
La proposta di legge n°1670,
depositata da Sinistra Ecologia e Libertà, frutto della proposta
di legge di iniziativa popolare promossa — tra gli altri — dal Bin
Italia, allarga significativamente la platea dei destinatari
e per questa ragione costa molto di più: 23,5 miliardi di euro
all’anno. Il sussidio è calcolato in somma fissa a 7200 euro annui
per i singoli. Questo è un elemento di avanzamento notevole
perché garantisce l’autonomia degli individui e sale per le
famiglie con più componenti. Per queste la soglia è quella fissata
anche dai Cinque stelle: 9360 euro. La misura raggiungerebbe le
famiglie sotto il 60% della linea di povertà e soprattutto i
“monogenitori” con figli minori, giovani e single, e coppie con
figli minori, quella vasta popolazione attiva di precari, poveri
e quinto stato esclusa dal welfare. Per loro il reddito è «più che
raddoppiato». Con l’introduzione di questo reddito l’incidenza della
«povertà grave verrebbe quasi annullata» e dimezzato il divario tra
il reddito delle famiglie povere e la linea di povertà.
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