Non era casuale il duro attacco lanciato da Alexis Tsipras mercoledì contro il FMI. Parlando al gruppo parlamentare di Syriza, il premier greco ha parlato “responsabilità criminali” del Fondo Monetario Internazionale, riferendosi a tutta le gestione della crisi greca fin dai suoi primi passi, a fine 2009.
Tsipras probabilmente aveva in mente due fatti. Da una parte, le responsabilità del FMI nel negoziato che Atene sta faticosamente conducendo con i creditori. Più volte, sia il premier sia Varoufakis, hanno dichiarato che se non c’era di mezzo il FMI il compromesso sarebbe stato già raggiunto. In uno degli ultimi incontri con la Merkel e con Hollande, Tsipras ha perfino ipotizzato una qualche forma di esclusione del FMI dai negoziati. Notoriamente, la posizione del FMI è esattamente inversa a quella degli europei: sì alla ristrutturazione del debito greco, applicazione totale di tutte le misure di austerità. Alla fine, il compromesso nelle fila dell’ex troika è stato trovato nel famoso paper di cinque pagine di due domeniche fa, proprio quello che secondo la fantasiosa versione di Juncker non prevedeva tagli a pensioni e aumenti generalizzati dell’IVA e che ha portato all’attuale vicolo cieco.
La seconda considerazione del premier greco aveva a che fare con questo quadro desolante (anche umanamente) che mostrano Bruxelles e Berlino. L’insistenza del FMI viene espressa dal responsabile per l’Europa Poul Thomsen, ex capo di quella troika “greca” che nei bei tempi del suo potere assoluto ogni tre mesi controllava, con piglio neocolonialista, la politica economica dei governi greci. Thomsen non è solo l’unico uomo al mondo che non farà mai in tutta la vita le sue vacanze in Grecia, se vuole vivere a lungo. Ma è anche quel tecnocrate che nel dicembre scorso lo stesso FMI ha messo sotto inchiesta, raccogliendo una miriade di denunce, testimonianze, gossip e attacchi diretti. Tanto per i suoi molto chiacchierati rapporti con gli oligarchi greci e un po’ anche per smuovere le acque dentro il tempio mondiale del neoliberismo dopo la pioggia di critiche sul totale fallimento del programma greco. Basta ricordare che nel 2010 il FMI parlava di ripresa dell’economia greca già ai primi mesi del 2012, quando invece il PIL scese di ulteriori cinque punti. Forse per questo nel 2013 il capo economista Olivier Blanchard ha dovuto ammettere che tutte le previsioni si sono dimostrate fallaci perchè il suo staff si era sbagliato di grosso a calcolare un certo moltiplicatore. Una recessione così profonda, -26% del PIL dal 2008, non era stata assolutamente prevista.
Ma l’autocritica non ha portato a un cambiamento di rotta. Così, man mano che si aggravava la crisi greca, le proteste si moltiplicavano. L’ultima consiste in un articolo dell’ex responsabile FMI per l’Irlanda Ashoka Mody pubblicato il mese scorso dal Bruegel Institut con il titolo eloquente “La Grecia, il grande errore del FMI”.
Tanto più che ad Atene la Commissione di ricerca sul debito, istituita dalla presidente del Parlamento Zoi Konstantopoulou, sta tirando fuori vere e proprie perle. Martedì ha deposto l’ex rappresentante greco al FMI Panayotis Roumeliotis, il quale ha ripetuto le accuse contro l’ex premier Papandreou già contenute in un suo libro del 2012. Secondo Roumeliotis, Papandreou avrebbe acconsentito nel 2010 all’ingresso del FMI nell’eurozona lasciando cadere le proposte di procedere velocemente a una ristrutturazione del debito, all’epoca ancora al 111% del PIL, meno di quello italiano oggi. L’accusa all’ex premier socialista è di aver sostenuto di fatto la strategia dilatoria della troika per dare tempo ai banchieri privati di sbarazzarsi del debito greco: a fine 2009 nelle casse dei banchieri europei (principalmente tedeschi e francesi) si trovavano bond greci per 76 miliardi, alla fine del 2011 erano ridotti a soli 38 miliardi. Ne aveva parlato già anni fa il Financial Times.
Contro Papandreou si è scagliato nella sua deposizione anche il presidente della Camera di Commercio di Atene, mentre il giornalista cipriota Michalis Ignatiou ha appena pubblicato ad Atene un’inchiesta sul coinvolgimento del FMI in Grecia con dure accuse, anche da parte sua, contro Papandreou, ma anche contro il suo predecessore, il conservatore Karamanlis, che aveva governato dal 2004 fino al 2009. L’accusa è che Karamanlis era stato più volte avvisato dell’imminente catastrofe ma non fece assolutamente nulla.
Tutte cose più o meno note in Grecia. Quello che non era noto era che il FMI organizzava ogni anno una serie di “seminari” destinati a grossi nomi del giornalismo greco, che, ora si scopre, non erano altro che un modo per versare loro grosse somme e condizionare il loro lavoro. Il relativo elenco è impressionante: il fior fiore del giornalismo soprattutto televisivo, sempre pronto a muovere il dito a chiunque osasse criticare la troika. Uno dei nomi resi noti, Yannis Pretenderis dell’emittente privata Mega, in un suo libro di qualche tempo fa, aveva già confessato che riceveva “fortissime pressioni” per parlare bene della troika e del FMI. Ma il nome sul quale tutti si sono soffermati è quello di Stavros Theodorakis, da un anno non è più una star televisiva ma leader carismatico di un partito (To Potami) che ha preso il 6% alle elezioni. Un partito che la Commissione e il Partito Socialista Europeo vorrebbero tanto al governo, al fianco o anche al posto di Tsipras.
Se si ignorano questi peccaminosi trascorsi del FMI nella sua prima incursione in zona euro, risulta anche difficile comprendere tutto il dibattito che è stato sollevato un po’ di tempo fa sulla decisione di Varoufakis di nominare come rappresentante di Atene al FMI Elena Panaritis, ex deputata del Pasok ed ex economista della Banca Mondiale. La Panaritis era una scelta di Varoufakis, con il quale già collaborava al ministero delle Finanze, ma alla fine la ribellione dei deputati di Syriza l’ha costretta da rinunciare all’incarico. Al suo posto è stato nominato l’economista Michalis Psalidopoulos, politicamente appartenente all’anima democratica del centrodestra.
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