domenica 29 dicembre 2024

Semilibertà di stampa

L’inaudito arresto di Cecilia Sala a Teheran – non per i suoi scritti, ma come ostaggio da scambiare con un imprenditore iraniano catturato in Italia su ordine Usa per fumosissime accuse – ha finalmente messo d’accordo l’intera stampa: non si arrestano i giornalisti. 

 

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)

 Si dirà: in quale Paese si potrebbe mai affermare il contrario? In Italia. 

Sei mesi fa Julian Assange fu costretto dagli Usa a patteggiare una pena per evitare 170 anni di galera e riavere la libertà dopo 12 anni trascorsi fra una stanzetta d’ambasciata e un carcere di massima sicurezza a Londra. La colpa era aver pubblicato notizie e documenti veri, dunque sgraditi agli Usa e ai loro complici, che lo accusavano di spionaggio. Ma molti giornalisti appesi per anni alle sue labbra per assicurarsene gli scoop non spesero una parola in sua difesa, anzi dissero che stava bene dov’era. Johnny Riotta, che sta alle notizie come Rocco Siffredi all’illibatezza, squalificò le sue come “raid di spionaggio e cyberwar russa”; e quando, come nei processi staliniani e maoisti, Assange ridotto a larva fu costretto a barattare la libertà con l’ammissione di reati inesistenti, fece lo gnorri: “Assange confessa il reato Wikileaks alla giustizia Usa e viene di conseguenza liberato. Bene così”.

Repubblica deplorò “l’enorme clamore mediatico e dei fan di Assange” e s’interrogò: “Eroe? Criminale? Martire della libertà? Giornalista? Agente al soldo altrui?”. Il Giornale di Ballusti lo definì “ladro di segreti di Stato” e “spione” con la “pancetta da abbrutito”. La Stampa “hacker” forse “putiniano” che ha “favorito Trump e autocrati”. Giuliano Ferrara, vera spia (della Cia), raccomandò sul Foglio: “Niente monumenti per Assange, colpevole e libero” perché “se l’è cavata” (recluso come un sorcio per 12 anni: che sarà mai). Per Libero, l’ingrato Assange avrebbe dovuto ringraziare i suoi persecutori perché “i nemici degli Usa non muoiono in cella”. Nel senso che gli amici degli Usa i giornalisti li ammazzano direttamente sul campo. Le truppe ucraine ne fecero fuori 40 negli 8 anni di guerra civile in Donbass, fra cui l’italiano Andy Rocchelli. Quelle israeliane negli ultimi 15 mesi ne hanno eliminati almeno 138 fra Gaza, Cisgiordania e Libano, oltre la metà di tutti quelli assassinati nel mondo (in Ucraina sono 21 in tre anni). Gli ultimi cinque, palestinesi, erano su un furgone di fronte all’ospedale Al-Awda, in un campo profughi della Striscia, con la scritta Press grande come una casa: l’Idf li ha fatti saltare in aria spacciandoli per “cellula terroristica”. E nessun giornale italiano, a parte un paio fra cui il Fatto, ha ritenuto la notizia degna della prima pagina. Poi, purtroppo, è stata arrestata Cecilia a Teheran. E, per fortuna, l’amore per la stampa libera è risbocciato ovunque. Furbi et orbi.

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