Lo dice il termine: una zona smilitarizzata, disabitata, spesso presidiata da forze neutrali di interposizione, avente lo scopo di separare fisicamente due paesi onde evitare di mettere a rischio i cittadini di entrambi.
Se una zona cuscinetto viene occupata militarmente e colonizzata da uno dei paesi, e in essa vi vengono inviati propri cittadini, cessa di essere zona cuscinetto e diventa territorio occupato.
E questo è ciò che è avvenuto alle Alture del Golan, territorio siriano occupato da Israele nel 1967 ufficialmente per ricavarne una zona che fungesse da cuscinetto, in realtà per inglobare nello stato coloniale altri 400 km di terre arabe oltre i 1.200 totali rappresentati dalle Alture, in conformità alla dichiarazione di uno dei caporioni del sionismo: i confini di Israele sono determinati da dove potranno arrivare le orme dei propri soldati.
Dal 1967 ad oggi , nelle Alture sono stati creati circa 30 insediamenti, per una popolazione colonica di oltre 25.000 unità, in palese violazione della legge internazionale, che vieta il trasferimento di propri cittadini in aree occupate e che non ha mai riconosciuto la mossa espansionistica di Israele.
Ma, come sappiamo, i predoni coloniali amano sfidare la Comunità Internazionale [l’Onu, ndr] perché indefettibilmente protetti dalla potenza imperiale: all’inizio di dicembre la zona cuscinetto è stata anch’essa invasa e occupata dai militari israeliani nonostante le proteste di Egitto e Giordania, e lo stato sionista ha unilateralmente reiterato l’annessione delle Alture e della buffer-zone, dichiarandole territorio israeliano per tutti i secoli a venire.
“Eternamente“, ha fatto sapere. Ha molta fiducia nella sua sopravvivenza a lungo termine, a quanto pare. E con dei vicini del genere, ne ha ben donde.
È interessante notare come i colloqui bilaterali tra Siria e Israele per la restituzione del Golan in cambio di una possibile normalizzazione da negoziare nell’ambito di un generale contenimento dell’aggressività espansionistica israeliana – il cardine della politica estera dell’amministrazione Obama, secondo le pie illusioni dell’establishment americano del tempo – non decollarono mai perché minati sul nascere da una provvidenziale ‘guerra civile’ che scosse la Siria a partire dal 2011.
Il “caso” ama Israele, evidentemente. Ma io non credo nel caso, e ancora meno credo negli Stati Uniti come mediatori in un qualsiasi processo di pace che coinvolga Israele.
L’avvento della nuova presidenza Trump – per chi non lo sapesse fu lui il primo a riconoscere l’annessione unilaterale del Golan, riferendosi sempre all’area siriana come al “nord di Israele” – e il provvidenziale scenario che si è, sempre casualmente, prospettato in Siria (la nuova dirigenza ha immediatamente fatto sapere di non essere interessata a eventuali contenziosi con Israele, nonostante gli oltre 470 attacchi missilistici subìti nelle ultime settimane) rappresentano occasioni incredibilmente favorevoli alle mire espansionistiche dello stato coloniale.
Che ovviamente si è lanciato a capofitto nella nuova guerra di conquista e consolidamento, molto ambito in questo caso: il Golan, regione fertilissima e ricca di acque, già garantisce a Israele oltre un terzo del suo fabbisogno idrico. Risorse sottratte ai legittimi proprietari e accaparrate con il furto e la prepotenza militare, come sempre.
* da Facebook
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