venerdì 1 novembre 2024

Allarme Sopravvivenza: Bruxelles vuole gli Europei pronti a 72 ore di “autosufficienza”

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di Clara Statello per l'AntiDiplomatico

 

Il nemico è alle porte, dobbiamo rinunciare ai nostri diritti per aumentare la Difesa: gli USA non possono più proteggerci.

Sembrerebbe il delirio di un ubriaco, invece è il mantra che i nostri intellettuali embedded e leader europei ripetono da circa un anno.

Adesso è la volta dell’ex primo ministro finlandese Sauli Niinistö, che nell’atteso report sulla Difesa europea, commissionato a marzo da Ursula von der Leyen, lancia l’allarme: l’UE è totalmente impreparata a futuri attacchi di Paesi terzi. 

 

Il piano di sopravvivenza per i cittadini

Dopo oltre trent’anni di globalizzazione estrema basata su delocalizzazioni, sfruttamento e saccheggio delle risorse di Paesi sovrani, di esportazione della democrazia con le “guerre umanitarie” degli USA e di sfacciata espansione ad Est della NATO, l’Europa si è improvvisamente risvegliata in “una nuova realtà instabile”, in balìa di crisi internazionali, disastri ambientali, guerre e pandemie. 

L’ UE intende preparare i cittadini del giardino europeo alle nuove sfide di un mondo più pericoloso, in cui la pace è più data per scontato. Niinistö propone delle campagne informative coordinate per promuovere piani di sopravvivenza destinati alla popolazione.

L’obiettivo minimo è insegnare alle famiglie ad avere “un'autosufficienza di base” di almeno 72ore per diversi tipi di emergenze. Chiede investimenti nell’educazione su diverse tipologie di rischio, linee guida su come affrontare “minacce chimiche, biologiche, radiologiche o nucleari”. Intende predisporre l’ accesso a servizi medici o scolastici in caso di emergenza, in particolare per “anziani, malati cronici o disabili”. 

Il rapporto suona come post-apocalittico, l’Europa ci chiede di cambiare radicalmente le nostre vite per adeguarle a questo scenario distopico. La minaccia principale, naturalmente, è una possibile aggressione della Russia, se non verrà fermata in Ucraina. 

Ma c’è davvero bisogno di una campagna europea per insegnarci a fare la spesa per tre giorni o tenere acqua e medicine di base in casa? Davvero Putin intende marciare sino a Lisbona? L’impressione è che questo allarmismo senza precedenti sia soltanto una strategia comunicativa volta a terrorizzare, condizionare e mobilitare i cittadini europei. Per prepararci ad una guerra che non abbiamo la benché minima intenzione di combattere (oltre che a chiedere una spesa maggiore per la difesa). 

 

L’invasione immaginaria

Non abbiamo più i barbari alle porte, annunciava Fukuyama subito dopo la fine dell’URSS. Tra le tante idiozie scritte ne “La fine della storia”, saggio ripudiato anni dopo dallo stesso autore, questa era una delle sue poche affermazioni sensate. Superato il dualismo della guerra fredda, non esistono minacce all’ ordine politico, sovranità e integrità territoriale dell’Occidente. 

Quando per la prima volta, nella primavera dello scorso anno, ho letto in un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere, che avremmo dovuto rinunciare ai nostri diritti (quali, di grazia?) per difenderci da un eventuale attacco nemico, mi sono chiesta: chi dovrebbe invaderci? Putin, Xi Jinping, Haftar, gli alieni? 

Mosca non ha alcuna intenzione di attaccarci, almeno finché non oltrepasseremo alcune linee rosse, ad esempio l’invio – in forma ufficiale - di uomini in Ucraina.  Storicamente la Russia non ha mai mostrato l’intenzione di invadere il resto dell’Europa. Nel ’45 arrivò a Berlino e ancor prima sino a Parigi. In entrambi i casi, neutralizzato il nemico, le truppe (di Alessandro I prima e di Stalin poi) tornarono a casa. Non ha mai avuto ambizioni su territori che non appartengono al Russkiy Mir. La stessa cosa non si può dire per altri Stati europei, come ad esempio la Germania o l’Italia, o per la NATO. 

L’Occidente è rimasto impigliato in una prospettiva guercia. Mutilata delle sue ragioni storiche, la reazione della Russia alle minacce alla sua sicurezza diventa la “brutale aggressione assolutamente non provocata e ingiustificata” alla “giovane ma imperfetta democrazia ucraina”, il mantra con cui ha esordito per il primo anno di guerra qualsiasi articolo sull’Ucraina pubblicato dalla nostra stampa. Questa formula obbligava l’opinione pubblica a negare le cause (e le nostre responsabilità) dell’escalation bellica. 

Lo stesso è avvenuto con Gaza, con il Libano, l’Iran e la Cina. Eliminando il passato, le vittime dell’imperialismo, del neocolonialismo, dell’espansionismo della NATO e del sionismo appaiono come aggressori e gli aggressori come aggrediti. La reazione delle nazioni o popoli minacciati dall’Occidente è narrata come una minaccia alla nostra sicurezza, al nostro stile di vita, alla pace.

Non abbiamo un nemico esterno. La deresponsabilizzazione dell’Occidente non fa che avvitare ancor di più le crisi, perché rispondiamo con la ricetta “più armi e più difesa”, piuttosto che “più dialogo e più diplomazia”. La minaccia alla pace in occidente non è l’invasione russa, ma è la prepotenza delle nostre politiche di sopraffazione e il suprematismo dei nostri leader.  

Per evitare che Mosca ci attacchi è sufficiente non farle la guerra. 

 

La mobilitazione degli spiriti

La prima guerra che ha ingaggiato Bruxelles è quella per le nostre anime. Nel marzo 2024, Charles Michel scriveva in un editoriale che davanti al maggiore rischio per la nostra sicurezza dalla seconda guerra mondiale “sarà necessario che il nostro pensiero compia una transizione radicale e irreversibile verso una forma mentis incentrata sulla sicurezza strategica”. Non è sufficiente avviare un’economia di guerra, bisogna cambiare il nostro paradigma culturale per essere pronti, se necessario, a combattere. 

Trent’anni di liberalismo sfrenato, edonismo e individualismo radicale hanno provocato una crisi degli arruolamenti. L’Occidente non ha abbastanza uomini da mandare a combattere. Non solo sono crollati gli arruolamenti, ma i militari fuggono dagli eserciti. 

Il report dell’ex premier finlandese si propone l’obiettivo di preparare nuovi e personale per le emergenze, con “incentivi mirati per aumentare l’attrattiva delle carriere nella Difesa, nella sicurezza e nella risposta alle emergenze tra le giovani generazioni, collaborando con i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro”. Si prende in considerazione non solo il ritorno alla leva ma anche  ai “programmi educativi, alla creazione di sistemi di riserva funzionanti”. A queste misure dovrà essere destinato il 20% del bilancio UE.  

Basterà a rendere la carriera militare più attraente? Per convincere decine di migliaia di giovani a rischiare di morire come i loro coetanei ucraini, è necessaria una mobilitazione dell’opinione pubblica contro un nemico comune ed un pericolo imminente. È necessario aumentare la partecipazione della società in un progetto di difesa comune. È necessario creare un clima di emergenza perpetua. 

Ed è precisamente questo l’obiettivo del report, che ha un valore politico prima che strategico. 

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