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Più di mille persone hanno ripercorso insieme tre anni di lotta e ne hanno immaginato i prossimi passi, consapevoli che l’attesa di un intervento pubblico che accolga le proposte del Collettivo di fabbrica può logorare ma non abbattere. Saldo in una prospettiva che si pratica quotidianamente, il Movimento può solo trasformarsi, in equilibrio tra festa e rabbia. Numerosi gli interventi della mattina e pomeriggio all’insegna della musica.
Era il 9 luglio 2021 quando con un sms 429 lavoratori e lavoratrici della GKN di Campi Bisenzio, stabilimento che generava utili, ricevettero la comunicazione di licenziamento nonostante fossero assunti a tempo indeterminato.
Il fondo speculativo inglese Melrose plc, proprietario della fabbrica, ha deciso la delocalizzazione senza informare preventivamente i sindacati e dopo essersi espresso un anno prima con accordo sindacale in favore “della tenuta occupazionale dello stabilimento”. Immediatamente al grido “da qui non esce neanche uno spillo!”, gli operai si sono presentati ai cancelli della fabbrica per iniziare quella che è, ad oggi, l’assemblea permanente più lunga della storia del Movimento operaio.In tre anni si succedono assemblee, eventi, scioperi della fame, si crea una cassa di mutuo soccorso, cambiano i proprietari dello stabilimento, si avvicendano promesse e Tavoli di ascolto risolti in un nulla di fatto mentre il Collettivo incassa vittorie in tribunale contro i licenziamenti di fronte alle quali una politica strutturalmente intrecciata a lobby e multinazionali abdica a favore di un modello di produzione che smaterializza l’economia ed estrae valore dai territori. L’intervento pubblico non incide, e quando prende posizione appare incapace di commissariare una fabbrica, il che creerebbe un precedente mal visto.
Là dove la politica si nasconde e non garantisce né stipendi né cassa integrazione, si sviluppa una rete di solidarietà, si crea un piano industriale, si elabora una proposta di legge regionale oggi finalmente in discussione in Consiglio regionale e si definisce un piano finanziario per 11 milioni di investimenti di cui 1,3 di azionariato popolare.
Durante il percorso si è capito che “se sfondano qui, sfondano ovunque”. Man mano che la rete andava rinforzandosi, il Collettivo ha ribadito l’imbarazzo di chiedere sostegno a chi viveva situazioni anche più complicate. “E tu come stai?” hanno chiesto agli alluvionati durante il volontariato in Romagna e divenendo nucleo di di coordinamento e intervento in Toscana. Lo hanno chiesto ai lavoratori Mondo convenienza e Iron logistics impegnati in vertenze simili. Lo hanno chiesto a studenti, precari e attivisti affinché le contraddizioni tra collettivo e individuale non travolgessero quanto costruito.
L’assemblea del 17 è stato l’ennesimo momento di consapevolezza della straordinarietà dell’esperienza GKN. Un momento in cui “non c’é resa, non c’é rassegnazione” e diviene certo che “nella riappropriazione esplode la gioia e si cerca la freschezza da cui ripartire” verso una convergenza forte, mentre ci si chiama affettuosamente compagne e compagni e si impara ad allontanare la solitudine.
L’esempio del Collettivo di fabbrica ha insegnato a prendere sul serio la convergenza delle lotte, a prendersi cura di chi sta vicino, a coordinarsi all’interno di una comunità che si attiva ed è capace di politicizzare la quotidianità “portando luce sugli angoli bui dello sfruttamento”. Un capitale che la contro-parte “non sa nemmeno cosa sia”. Proprio quella contro-parte che è detentrice del debito pubblico italiano che con i finanziamenti ricevuti decide dalla sera alla mattina di abbandonare una comunità a se stessa.
A Campi Bisenzio, prima che arrivassero le fabbriche, c’erano i prati. L’industria ha portato quella stabilità economica che ora si vorrebbe cancellare. Un doppio sopruso al quale si pone rimedio con concretezza e lungimiranza, riequilibrando la contraddizione insita nello ricatto reddito-ambiente convergendo con la visione degli attivisti di Fridays for future, costruendo una fabbrica socialmente e ambientalmente integrata che sia un polo delle rinnovabili e della mobilità sostenibile coerentemente con la proposta di legge per la creazione di consorzi per il recupero di aree dismesse e la re-industrializzazione.
Salvare la produzione a Campi Bisenzio non significa difendere il settore dell’auto-motive per come lo si conosce. Vuol dire esigere un diverso modo di fare contraddistinto dal rifiuto di sfruttamento e inquinamento verso un benessere armonioso, scontrandosi con le parole d’ordine del padronato “con tutta la dignità in corpo”, creando un immaginario che porti “all’appropriazione collettiva del metodo di produzione”.
Convergenza e rilancio saranno sperimentati in diverse prossime occasioni a partire dall’assemblea degli azionisti il 25 novembre, durante l’adesione allo sciopero generale del 29, o durante la contrapposizione al ddl sicurezza 1660 il 14 dicembre e, più in generale, durante ogni ulteriore presentazione del piano industriale e della cassa di mutuo soccorso. Si sperimenterà il bene comune con nuovi eventi come la seconda edizione del Festival della letteratura working class in aprile. Si supererà l’inverno promuovendo la vendita della birra operaia.
È evidente che il raccontare questa storia non è finalizzato alla commemorazione ma sia fatto per andare avanti nonostante il tempo che, per definizione, è il principale nemico della resistenza. Se la vertenza si concluderà con un fallimento, si valuteranno alternative già considerate, e si passerà a un’opposizione alla speculazione immobiliare che aleggia sopra Campi Bisenzio. Ma se la fabbrica ripartirà, oltre a pannelli solari e bici cargo, ambulatorio popolare e mensa con i prodotti dell’agro-ecologia, dalla fabbrica si immetteranno nel sistema i giusti anti-corpi: azione, mutualismo e lotta di classe.
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