In Parlamento è scontro aperto sulle novità normative in merito ai poteri attribuiti ai Servizi segreti italiani dal controverso “Pacchetto Sicurezza”, che ha ottenuto l’ok della Camera dei Deputati e ora è al vaglio del Senato.
Le opposizioni puntano il dito contro l’art.31 del disegno di legge, attraverso cui vengono ampliati in maniera significativa i poteri dei membri dell’intelligence, esprimendo preoccupazioni sulla tenuta democratica del Paese.
Il nuovo dettato, in vista della tutela della sicurezza e degli interessi della Repubblica, autorizza infatti gli operatori di AISE e AISI non solo a infiltrarsi in organizzazioni criminali e terroristiche, ma addirittura a dirigerle, legittimando gravissimi reati quali associazione sovversiva, terrorismo interno e banda armata.
La norma obbliga inoltre enti pubblici, università, aziende statali e concessionarie di servizi pubblici a un ruolo di collaborazione e assistenza verso i Servizi. Se il provvedimento diventasse legge, esse potranno essere chiamate a fornire informazioni in deroga alle normative sulla privacy.
L’art. 31 del nuovo DDL Sicurezza introduce nuove disposizioni inerenti all’attività dei Servizi, prevedendo non solo che gli operatori di AISI e AISE possano partecipare con un ruolo defilato a organizzazioni illegali, ma perfino arrivare a guidarle. Come chiarisce il Dossier del Servizio Studi del Senato, infatti, vengono contemplate «ulteriori condotte di reato per finalità informative, scriminabili, concernenti la direzione o l’organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico e la detenzione di materiale con finalità di terrorismo (reato quest’ultimo introdotto dall’articolo 1 del provvedimento), la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti».
Il provvedimento legittima infatti reati di natura terroristica, tra cui anche l’addestramento e le attività con finalità di terrorismo interno, il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo interno, l’istigazione a commettere alcuni di questi delitti, la banda armata, l’apologia di attentato allo Stato.
Il DDL rende permanenti le disposizioni introdotte in via transitoria dal decreto-legge 7/2015 per il potenziamento dell’attività dei Servizi, come l’«estensione delle condotte di reato scriminabili, che possono compiere gli operatori dei servizi di informazione per finalità istituzionali su autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri, a ulteriori fattispecie concernenti reati associativi per finalità di terrorismo», nonché la «tutela processuale» per gli 007 «attraverso l’utilizzo di identità di copertura negli atti dei procedimenti penali e nelle deposizioni».
A difendere la norma è il sottosegretario Alfredo Mantovano, delegato ai Servizi, che in una nota ha scritto: «Alcune informazioni di rilevanza operativa e destinate a una ristretta cerchia di persone sono acquisibili solo da chi, in qualità di partecipe al sodalizio, riesce a guadagnare la fiducia dei sodali e dei promotori progredendo nel ruolo, sino a rivestire incarichi di tipo direttivo e organizzativo all’interno della consorteria eversivo-terroristica oggetto dell’attività».
Le opposizioni, e in particolare il M5S, sono però sulle barricate, anche perché l’ampliamento dei poteri di intelligence non viene accompagnato da un rafforzamento dei poteri di controllo del COPASIR, organismo parlamentare che vigila sulle attività dei Servizi. «Riteniamo che questo tipo di approccio sia completamente sbagliato: segnaliamo a tutto il Parlamento che si tratta di una deriva potenzialmente pericolosa – aveva detto a settembre in Aula il deputato Marco Pellegrini del M5S, membro del COPASIR –. In maniera netta e decisa proponiamo l’abrogazione dell’intero articolo 31 e sottoporremo la questione, per la sua importanza e delicatezza, al presidente della Repubblica».
Sentito da L’Indipendente, Pellegrini ha aggiunto: «Mediaticamente, modifiche normative così clamorose passano quasi in sordina, mentre si sparano titoloni per giorni e giorni su aspetti molto meno importanti e invasivi».
Lo scenario è ancora più inquietante se si guarda a quanto appurato da inchieste e sentenze in merito alle stragi avvenute nel nostro Paese dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Ottanta – riconducibili alla «Strategia della tensione» – e gli attentati mafiosi del 1992 e 1993, in cui è stato messo il timbro sulla partecipazione morale e materiale di apparati deviati dello Stato sulla pianificazione di quegli eccidi e sui depistaggi andati in scena in seguito alla loro consumazione. Attività che, in passato, non erano scriminate. Sul punto, le novità introdotte dal DDL sembrano invece delineare uno scenario futuro – almeno in astratto – oltremodo nebuloso.
Ma c’è di più. La norma prevede infatti che le pubbliche amministrazioni e soggetti equiparati «siano tenuti a prestare agli organismi del sistema di informazione per la sicurezza la collaborazione e l’assistenza richieste necessarie per la tutela della sicurezza nazionale e l’estensione di tale potere nei confronti di società partecipate e a controllo pubblico».
DIS, l’AISE e AISI potranno stipulare convenzioni con tali soggetti, università ed enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza, che potranno prevedere la comunicazione di informazioni «anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza».
Vibranti sul punto le proteste delle opposizioni, che evidenziando il concreto pericolo che, consentendo l’accesso a banche date sensibili senza prevedere adeguati controlli, la norma possa aprire alla possibilità che le Procure della Repubblica e altri organi statali vengano abusivamente “spiati”.
«L’articolo 31 trasforma la pubblica amministrazione in una sorta di gigantesca Ovra – si legge in un comunicato degli esponenti del M5S –. È in gioco la sicurezza democratica del nostro Paese e serve cautela fino al completamento delle indagini in corso».
* da lindipendente.online
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