Ci aspettavamo i soliti parrucconi insorgere dalle colonne dei giornali padronali contro l’esecrabile sciopero generale di ieri, come del resto fanno da settimane dacché il segretario della Cgil Landini ha evocato la “rivolta sociale”. Invece i quotidiani perbene hanno dedicato allo sciopero di Cgil, Uil e sindacati di base giusto un trafiletto nelle pagine di Economia, come fosse “un duello tra ministro e sindacati” (Repubblica) o una blanda “protesta” (Corriere) e non una questione collettiva.
(Daniela Ranieri – ilfattoquotidiano.it)
La legge di Bilancio che aumenterà la spesa per le armi di 13 miliardi di euro e taglierà quella sociale (Università: 702 milioni in 3 anni; enti locali: 8 miliardi in 10 anni; ministeri: 7,7 miliardi; Sanità definanziata rispetto al Pil) è normale dialettica democratica, e poi Giorgetti è molto amato dall’establishment mediatico in quanto draghiano doc e leghista addomesticato.
Il lavoro duro, diciamo culturale, è stato fatto prima, quando c’era da far passare il richiamo di Landini alla rivolta sociale come un richiamo alla lotta armata (il Corriere intervistandolo: “Ora lei invoca anche una rivolta. Lo sciopero non basta più? Non sta invadendo il campo della politica? L’hanno paragonata ai cattivi maestri che aprirono la strada al terrorismo. Nessun ripensamento?”), tanto che lui ha dovuto chiarire: “Se le persone non si rivoltano… non ci sarà lotta alle diseguaglianze. Certo in forma non violenta, ma lo devo precisare?”. Figuriamoci: non basta a rassicurare i liberali la ormai conclamata rassegnazione dei cittadini di fronte al potere che li porta a non andare manco più a votare, ci manca solo che si rivoltino.
Sono gli stessi che inorridivano per le manifestazioni dei gilet gialli in Francia, consistenti non in azioni terroristiche, ma in blocchi stradali con ruspe e trattori poi sfociati in guerriglia in seguito alla repressione della polizia, e ne riportavano con disgusto le rivendicazioni: aumento del salario minimo, riduzioni delle tasse sul carburante, una forma di patrimoniale, referendum cittadini, retribuzioni adeguate alle ore lavorate (che volgarità); non gli parve vero quando Di Maio, allora capo del M5S, andò a solidarizzare con quelli invece che con un Macron truccatissimo che li redarguiva a reti unificate: praticamente la prova che voleva fare un colpo di Stato. Peraltro i manifestanti ottennero quasi tutto quello che chiedevano, a riprova che erano rivendicazioni giuste e ottenibili solo in quel modo. Quando ai lavoratori si unirono gli studenti, la polizia li fece inginocchiare e gli puntò i fucili addosso: letizia nelle prestigiose redazioni italiane. Sono gli stessi, anche, che di fronte agli scioperi in era Draghi titolavano “L’ira del premier”, come se egli fosse un Giove pluvio che scagliava i suoi dardi sul popolo affamato che osava contestare il governo dei Migliori. Poi raccontavano gli “scontri” della polizia con gli studenti, manganellati a Torino perché manifestavano contro l’alternanza scuola-lavoro che li falcidia (21 studenti morti dal 2017); così oggi è lecito che la polizia carichi i pericolosi quindicenni “pro-Hamas” (Meloni). Riguardo alle rivendicazioni del popolo, vecchio arnese del Novecento, gli esponenti del blocco borghese, atlantisti e anti-Putin (che intendono sconfiggere sul campo per mezzo degli ucraini per difendere “i nostri valori democratici”), sono d’accordo con Foti di FdI, secondo il quale “rivolta sociale e lotta per la pace non vanno d’accordo”, sofisma fallace per celare che il governo sta aumentando i soldi per le armi e diminuendo quelli per lo Stato sociale. Trovano riprovevole che “gli scioperi si facciano sempre di venerdì”, intendendo che i lavoratori, con la scusa della difesa del welfare, vogliono fare il weekend lungo; cercano di spezzare la solidarietà degli altri disgraziati (“Create solo disagi agli altri lavoratori!”). Invocano la “pace sociale”: non vogliono sulla coscienza il peso di lavoratori precari e sottopagati a cui Meloni, d’accordo coi milionari neoliberisti alla Renzi, ha tolto pure il Reddito di cittadinanza; espertissimi di economia e finanza, specie la loro, non sanno che l’Italia è l’unico Paese Ocse che negli ultimi 30 anni ha visto diminuire il livello dei salari, del 2,9%. È sull’avversione allo sciopero, come evento culminante del conflitto sociale, che l’ideologia liberale si sposa con quella destrorsa e fintamente popolare del cosiddetto ministro Salvini, uno da stigmatizzare quando il Frecciarossa parte in ritardo, ma da apprezzare tacitamente come controparte della “frangia comunista” (Il Giornale) aizzata da Landini.
Sono loro che tengono i cordoni della borsa e quindi sono loro che se la fanno sotto quando sentono parlare di rivolta sociale, che spacciano per sparatorie, sommosse e assalti al Parlamento, quando invece si tratta della ben più pericolosa, per loro, coscienza di classe.
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