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Il 23 novembre è iniziata nella Zona Franca di Barcellona la produzione di auto della joint-venture siglata nell’aprile scorso tra il costruttore cinese Chery e quello spagnolo Ebro-EV Motors. L’accordo prevede la produzione di 50.000 veicoli all’anno entro il 2027, per arrivare a 150.000 all’anno entro il 2029.
Per ora si tratta di semplice assemblaggio, tramite un metodo DKD diretto: le parti spedite dalla Cina che vengono montate in Spagna. Poi si passerà a un modello CKD, che include anche saldature, verniciature e assemblaggi locali.
La joint-venture tra Chery ed Ebro-EV Motors ha permesso di resuscitare il marchio Ebro – azienda di veicoli commerciali scomparsa nel 1987 – e darà lavoro a 1.250 persone, tra cui i licenziati per la chiusura dell’impianto Nissan, recuperato per fabbricare i nuovi modelli della joint-venture sino-iberica.
Ebro-EV Motors aveva rilevato da Nissan lo stabilimento dopo che la casa automobilistica giapponese lo aveva chiuso nel 2021. Sotto i nuovi proprietari, l’impianto sfornerà inizialmente tre modelli SUV: subito, S700 e S800, a marchio Ebro (entrambi con motori ibridi plug-in, PHEV, o ICE), basati su Chery Tiggo 7 e Tiggo 8; e, a partire dal primo trimestre 2025, Omoda 5 a marchio Chery (nelle versioni elettrica e a combustione interna, ICE).
L’accordo sino-iberico e il rilancio del marchio Ebro sono il frutto di un investimento di 400 milioni di euro reso possibile dalla collaborazione tra il governo di Madrid, le autorità catalane, i sindacati, investitori e i due produttori. «Non è comune assistere alla rinascita di un marchio iconico e oggi condividiamo tutti un sentimento di gioia», ha commentato il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez.
A Barcellona è attesa anche l’istituzione di un centro di ricerca e sviluppo Chery-Ebro-EV Motors. E, secondo l’agenzia di stato Xinhua, in Spagna verranno aperti 45 punti vendita, 30 dei quali entro la fine dell’anno.
Nel 2023, Chery ha esportato 937.148 veicoli, in crescita del 101,1 per cento su base annua, il volume di export più alto di qualsiasi casa automobilistica cinese. Quest’anno Chery – le cui vendite sono concentrate in Asia centrale, Medio Oriente e America latina – supererà per la prima volta 1 milione di vetture consegnate all’estero.
Chery (compagnia di stato controllata dal governo di Wuhu) è la seconda azienda cinese ad avviare la produzione all’interno dell’Unione Europea, dopo Leapmotor che, in partnership con Stellantis, nel giugno scorso ha iniziato a fabbricare elettriche compatte nel suo impianto di Tychy, in Polonia. Mentre BYD sta costruendo un grosso impianto in Ungheria, che dovrebbe essere inaugurato a fine 2025. In questo modo i carmaker cinesi potranno aggirare l’aumento dei dazi recentemente varato dall’Ue.
Nel 2023 erano di brand cinesi il 7,6 per cento delle auto elettriche vendute nell’Unione Europea.
Al termine dell’indagine “anti sussidi” della Commissione Europea, il 30 ottobre scorso sono entrati in vigore dazi supplementari (che si sommano a quelli preesistenti del 10 per cento) fino al 35,3 per cento sulle importazioni nell’UE di veicoli elettrici fabbricati in Cina.
Martedì scorso la direttrice generale per il commercio dell’Ue ha smentito le voci secondo le quali sarebbe in vista un accordo sul prezzo minimo dei veicoli elettrici importati dalla Cina, che sostituirebbe i nuovi dazi. «Penso che ci siano state notizie piuttosto confuse sull’imminente accordo sui veicoli elettrici a batteria», ha dichiarato a Bruxelles Sabine Weyand, aggiungendo che permangono «questioni strutturali irrisolte con la controparte cinese».
* da Rassegna Cina
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