giovedì 5 settembre 2024

La Corte Penale Internazionale denuncia le pressioni americane per assolvere Israele

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Attacchi intimidatori e minacce: queste sono le pratiche che, secondo il procuratore della Corte Penale Internazionale Karim Khan, gli Stati Uniti metterebbero in atto per difendere il proprio alleato mediorientale, Israele. Le accuse del magistrato agli USA sono state rilasciate in occasione di un’intervista a un giornale giapponese, nella quale Khan esprime la sua preoccupazione per il potenziale impatto che simili atteggiamenti potrebbero avere sulle istituzioni internazionali: se si permette che gli attacchi personali «erodano» il tribunale, «allora non si può avere un sistema basato su regole», denuncia il procuratore. Le accuse di Khan sottolineano l’impotenza delle istituzioni sovranazionali, e confermerebbero il sostanziale “doppiopesismo” dei grandi potentati, e in particolare degli Stati Uniti, in materia di applicazione della legge internazionale, che viene rispettata alla lettera solo quando risulta utile.

L’intervista a Karim Khan è stata condotta dal giornale giapponese Yomiuri Shimbun lunedì 2 settembre, ed è stata condivisa dallo stesso quotidiano ieri, mercoledì 4 settembre. Nell’intervista, Yomiuri Shimbun pone a Khan domande relative a diversi argomenti, arrivando infine al conflitto israelo-palestinese, e alla richiesta di emanazione dei mandati di arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant. Per quanto riguarda questi ultimi, specifica Khan, c’è un luogo adatto a ogni situazione, e, «quando si tratta di separare la verità dalla finzione», quel luogo è proprio il tribunale: gli attacchi personali non dovrebbero avere spazio all’interno di una simile istituzione.

Tuttavia, gli Stati Uniti parrebbero pensarla diversamente. Il procuratore denuncia infatti al quotidiano giapponese il ricorso a minacce e intimidazioni da parte delle autorità di Washington, che avrebbero l’intento di mettere sotto pressione la CPI e spingerla a lasciare perdere Israele: «Non si possono ammettere attacchi alla Corte», sostiene il procuratore, che coglie l’occasione dell’intervista per lanciare un appello al Giappone. Tokyo è infatti uno dei più importanti Stati fondatori del tribunale dell’Aia: «Questa corte è tua figlia; è figlia del Giappone. Noi siamo parte di te e tu sei parte di noi». Rispetto alle indagini relative alle aggressioni israeliane a Gaza – sempre nell’ambito dei mandati di arresto a Netanyahu e Gallant – Khan ha precisato che esse riguardano la «continua occupazione di Gaza», e non si concentrano eccessivamente sul diritto all’autodifesa di Israele.

I mandati di arresto per il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e per il Ministro della difesa Yoav Gallant sono stati richiesti alla CPI lo scorso maggio. Questa decisione ha suscitato non poche polemiche su scala internazionale e ha scatenato le reazioni di tutti i membri di spicco della politica statunitense. A giugno, la Camera dei Rappresentanti degli USA ha approvato una proposta dai repubblicani che prevede l’applicazione di sanzioni e misure restrittive contro i giudici della Corte Penale Internazionale coinvolti in “qualsiasi tentativo di indagare, arrestare, detenere o perseguire qualsiasi” politico statunitense o “persona protetta” dal Paese che, come gli USA, non riconosca la CPI. Eppure, non è la prima volta che gli Stati Uniti si mettono di traverso e rifiutano di accettare le posizioni della Corte Penale Internazionale: basti pensare al caso scoppiato a settembre del 2020, quando due membri della Corte vennero inseriti nei registri delle persone sanzionate per avere aperto delle indagini sui possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi dagli USA in Afghanistan. Queste sanzioni furono poi rimosse qualche mese dopo, ad aprile, quando Biden riconobbe che “la minaccia o l’imposizione di sanzioni contro la Corte, il suo personale e quelli che la assistono non sono strategie efficaci e opportune per risolvere la questione tra Stati Uniti e CPI”.

Intanto, continuano i bombardamenti e gli attacchi israeliani su Gaza. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, nelle ultime 24 ore sono state uccise almeno 18 persone, e dall’escalation del 7 ottobre il bilancio totale delle vittime nella Striscia è salito a 40.861. Prosegue anche l’operazione lanciata da Israele in Cisgiordania, dove finora si contano oltre 33 morti e circa 150 feriti. Netanyahu, invece, ha promesso di impadronirsi del corridoio di Philadelphi nel sud di Gaza, al confine con l’Egitto, e ha affermato che non accetterà un accordo di cessate il fuoco fino a quando l’area di confine non sarà interamente sotto il controllo di Israele.

[di Dario Lucisano]

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