Sembra ieri che Sallusti
denunciava un complotto giudiziario per rovesciare il governo di Giorgia
Meloni indagando la sorella Arianna.
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
E invece il governo traballa per
il B-movie Boccia-Sangiuliano, la cui gravità è inferiore solo alla
comicità. Ma che conferma una cosa molto seria: questi non sono
fascisti, sono ridicoli. Più che un esecutivo, pare un concorso di
cabaret.
Meloni dice con aria grave: “Niente passi falsi, stiamo
facendo la storia”. Sì, ma dell’avanspettacolo. Come quando telefonava a
due comici russi scambiandoli per l’ambasciatore del Catonga o
accoglieva col tappeto rosso Chico Forti scambiandolo per il Papa.
Salvini, con l’Italia paralizzata dai ritardi di treni, aerei e
traghetti, posta il suo faccione accanto a un piatto di panzanelle.
Lollo, quando almeno era ancora cognato, parlava di “sostituzione
etnica” e dei poveri che “mangiano meglio dei ricchi”, fermava i treni
in ritardo in aperta campagna perché “si è sempre fatto così”, è la
regola.
Calderoli si convince che Cosa Nostra lo voglia morto perché ha
ricevuto una “lettera anonima”, ma firmata (sic) “Siamo la
mafia” (quindi è la mafia, sicuro).
Urso lascia le accise sulla benzina
che doveva abolire, anzi cancella lo sconto di Draghi, così i carburanti
rincarano, ma lui spiega che “al netto delle accise costano meno che
nel resto d’Europa” (e grazie al cazzo).
La Santanchè, per risolvere il
suo conflitto d’interessi fra Turismo e Twiga, gira le azioni al
fidanzato, il celebre “Dimitri Miesko Leopoldo Kunz d’Asburgo-Lorena”,
subito diffidato dai 516 eredi della casa d’Austria.
Nordio svela che “i veri mafiosi non parlano al telefono” un attimo
prima che Messina Denaro venga arrestato perché non riesce a staccarsi
dal cellulare; poi incontra una giornalista di Sky e le chiede uno
spritz; infine trinca nella masseria di Vespa e spiega che “il vino può
essere un alibi per le eventuali sciocchezze che dico”, ma sia chiaro:
“Bevo perché lo faceva il mio mito, che è Churchill” (fortuna che non è
Baudelaire). La Russa spiega che in via Rasella i partigiani non
uccisero nazifascisti, ma “una banda musicale di semipensionati” (i Pooh
o i Cugini di Campagna). Piantedosi chiama i migranti superstiti della
strage di Cutro “carichi residuali” (tipo cassa di patate). Toti, reduce
dagli arresti domiciliari, debutta come editorialista del Giornale,
tanto lì c’è Sallusti e nessuno ci fa caso. Pozzolo va al veglione di
Capodanno con un pistolino carico, che centra in pieno la gamba di un
poveraccio, perché è “minacciato dagli ayatollah iraniani” (dopo
Rushdie, lui). E via cialtroneggiando. Pare che, nell’ultima riunione
della congiura anti-Meloni, il Soviet Supremo delle Toghe Rosse si sia
subito sciolto con la seguente motivazione: “Non c’è bisogno di noi,
fanno tutto loro”.
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