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In Kenya le mobilitazioni popolari contro l’approvazione della legge finanziaria si sono tramutate in una vera e propria insurrezione che ha preso di mira i luoghi del potere, con la violenza poliziesca che ha fatto da ulteriore detonatore per la rabbia delle persone.
Martedì 25 giugno, nella capitale e nelle città limitrofe si è sviluppato un movimento inedito per il paese, con l’occupazione dell’edificio del parlamento.
Per reprimere i manifestanti è intervenuto anche l’esercito, sparando gas lacrimogeni, facendo uso di idranti, e talvolta sparando munizioni vere.
Il bilancio è – secondo un comunicato congiunto di alcune ONG tra cui Amnesty International – di almeno 5 vittime e più di una trentina di feriti che si aggiungono alle morti di due manifestanti durante la mobilitazione della scorsa settimana.
Ma la situazione potrebbe essere ben più pesante.
Secondo quanto riferisce il quotidiano spagnolo El País: “Da parte sua, una fonte del Police Reforms Working Group of Kenya (PRWG-Kenya), composto da una ventina di associazioni, ha assicurato (…) che ci sono stati 17 morti, di cui 14 a Nairobi, 86 feriti e 52 arrestati, di cui 43 nella capitale keniota.”
“Il dispiegamento dell’esercito” spiega El País “è stato disposto da un decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato, in cui si spiega che questa misura è dovuta “all’emergenza sicurezza causata dalle violente proteste in corso in varie parti della Repubblica del Kenya, che hanno portato alla distruzione e alla violazione di infrastrutture critiche”. “Le Forze di Difesa del Kenya sono schierate il 25 giugno 2024 a sostegno del Servizio di Polizia Nazionale”, ha confermato anche il ministro della Difesa keniota Aden Duale”.
Al corrispondente di Le Monde a Nairobi, un manifestante spiega la dinamica dell’accaduto.
Per Hiribae Wanyoike, contattato telefonicamente, ha riferito che la manifestazione era essenzialmente “calma” e l’obiettivo iniziale era di non entrare in Parlamento. “Ma la gente si è arrabbiata per la violenza della polizia“, ha dichiarato a Le Monde questo artista 29enne di Nairobi. “A un certo punto ci sono stati molti gas lacrimogeni, ho visto sangue, corpi a terra e persone che correvano verso il Parlamento”.
Secondo quanto riporta il giornale francese: “Le proteste non si sono limitate a questo luogo simbolico, ma hanno interessato molte grandi città al di fuori di Nairobi. Il canale nazionale Citizen TV ha trasmesso una scena di saccheggio di un supermercato nella città di Nyeri (a nord di Nairobi), così come i manifestanti hanno preso a picconate un edificio ufficiale a Eldoret (nord-ovest del Paese). Questa città nel cuore della Rift Valley è conosciuta come una roccaforte del presidente William Ruto.”
Se come riferisce il corrispondente nel paese di RFI Afrique, Gaëlle Laleix, la capitale – mercoledì mattina – sembra tornata alla calma, “nelle strade si nota ancora una forte presenza delle forze dell’ordine e molti istituti scolastici sono rimasti fermi”.
In serata, le dichiarazioni del presidente che, prima delle manifestazioni di martedì e dopo quelle della scorsa settimana, si era dimostrato aperto al dialogo con la gioventù keniota che aveva animato la protesta, sono state piuttosto risolute, domandando a tutte le agenzie di sicurezza di dispiegare dei mezzi “per lottare contro i criminali che anelano a minare la stabilità del paese”.
Toni durissimi che probabilmente non faranno che buttare ulteriore benzina sul fuoco.
Da parte sua il principale oppositore istituzionale al presidente, Raila Odinga, ha pubblicato un comunicato in cui esprime la propria preoccupazione in seguito alla “repressione violenta della gioventù”, chiedendo un ritiro immediato della legge finanziaria e al ripristino del dialogo.
Anche l’Unione Africana preconizza un ritorno al dialogo.
E mentre le proteste venivano represse nel sangue nel paese, da parte della polizia e dell’esercito, Il primo contingente di poliziotti kenioti è arrivato a Port-au-Prince ad Haiti martedì 25 giugno, nell’ambito di una missione internazionale per ripristinare la sicurezza nel paese caraibico https://contropiano.org/news/internazionale-news/2024/06/23/kenya-la-protesta-popolare-mette-in-crisi-i-piani-del-presidente-filo-statunitense-0173658 .
Austerità per il popolo, ricchezza per le élite
Al centro delle proteste vi è la cura da cavallo che il Fondo Monetario Internazionale sta imponendo al paese che i governanti hanno deciso di attuare attraverso un tassazione fortemente regressiva, in parte modificata a causa delle proteste.
Il nuovo progetto di legge finanziaria per il 2024-2025 ha infiammato la situazione. Aggiunge una serie di tasse (tra cui l’IVA del 16% sul pane e una tassa annuale del 2,5% sulle auto private) ai bilanci già molto ristretti dei cittadini. Già l’anno scorso, la prima legge finanziaria di William Ruto, un ricco uomo d’affari partito dal nulla e presentatosi come “presidente del piccolo popolo pieno di risorse” durante la campagna elettorale del 2022, aveva introdotto una serie di nuove tasse, in un contesto di inflazione altissima e di crollo dello scellino keniota. Il governo si è difeso insistendo sul fatto che il suo obiettivo era quello di evitare il default sul crescente debito del Paese.
Tuttavia, i kenioti, un terzo dei quali vive al di sotto della soglia di povertà, stanno sentendo il peso di queste misure di austerità, mentre lo stile di vita delle élite al potere risulta piuttosto sfarzoso, aumentando il distacco tra governanti e governati.
La “Generazione Z” motrice della protesta
“Penso che le persone abbiano raggiunto il loro limite, soprattutto i giovani”, riferisce a Le Monde la ricercatrice e saggista Nanjala Nyabola, autrice di Digital Democracy, Analogue Politics: How the Internet Era is Transforming Politics in Kenya (2018). I giovani, e in particolare la Generazione Z (nati dopo il 1997, ultra-connessi), sono al centro dell’attuale movimento.
Si tratta di un fenomeno senza precedenti in Kenya, dove negli ultimi decenni le manifestazioni sono state tradizionalmente organizzate dai partiti politici, spesso pronti a pagare i partecipanti provenienti da quartieri disagiati per prendervi parte. Il movimento “Occupy Parliament” è emerso sui social network a metà giugno, organizzando le prime due manifestazioni negli ultimi otto giorni, con cartelli che recitavano “Ruto deve andarsene “.
“C’è stato un enorme cambiamento generazionale nel modo in cui le persone ricevono, consumano e distribuiscono le informazioni. Questi giovani si sono informati a vicenda, si sono galvanizzati e mobilitati. Questo non sarebbe stato possibile se si fossero affidati ai media tradizionali”. A suo avviso, il movimento è molto più ampio della sola Generazione Z, ma è matematicamente molto visibile in un Paese dove, sottolinea, “il 60% della popolazione ha meno di 35 anni”.
“Stiamo parlando di persone istruite, molto consapevoli dei problemi che devono affrontare e capaci di sottolineare le ingiustizie che vedono”, continua l’esperta, sottolineando che la legge finanziaria si è aggiunta a queste tendenze di fondo. “E la cosa che unisce tutto questo è che l’amministrazione Ruto non sta ascoltando”.
L’entità della rabbia verso i simboli dello Stato, in un Paese segnato da alti livelli di brutalità della polizia, è l’altra lezione cruciale da trarre da questa giornata di mobilitazione. È” una cosa senza precedenti”, afferma Macharia Munene al quotidiano francese, storico e professore di relazioni internazionali. “Ci sono state manifestazioni in passato, ma niente di questa portata”.
I manifestanti, osserva l’accademico, non hanno vissuto i decenni di regime autoritario (anni ’80 e ’90) e non hanno più la stessa paura della polizia dei loro anziani. “Hanno persino messo in atto strategie per affrontare la polizia – danno loro dell’acqua! I manifestanti non hanno paura. Ed è questo che spaventa il governo, perché non sa cosa fare”.
Il processo di politicizzazione della gioventù keniota è simile e coevo a quello delle fasce più giovani della popolazione di altri paesi africani – e della diaspora – che sono state ile motrici di straordinarie mobilitazioni popolari conclusesi con colpi di stato di militari patriottici in Sahel (Mali, Burkina Faso e Niger) o con strepitose vittorie elettorali come in Senegal.
Processi storici che hanno “spodestato” con le armi o con il voto élite politiche filo-occidentali ed iniziato una transizione verso forme di sganciamento della propria traiettoria dagli interessi occidentali.
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