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La detenzione illegale del giornalista Julian Assange nella prigione britannica di Belmarsh è finalmente giunta al termine. Ma senza gloria per lui e senza onore per i suoi carcerieri, perché la liberazione che tutto il mondo chiedeva, salvo ovviamente i giornalisti occidentali, il cui mestiere è palesemente un altro, si è concretizzato nell’ambito di un putrido accordo che ha inferto un duro colpo alla libertà di stampa. Il fondatore di WikiLeaks, è ora in viaggio verso le isole Marianne che sono sotto la giurisdizione degli Stati Uniti: lì Assange si dichiarerà colpevole e sarà condannato a cinque anni di carcere, che ha già scontato a Belmarsh. Poi sarà libero di tornare in Australia.
La sua grave colpa è stata quella di aver rivelato i crimini di guerra degli Usa, come fece una volta Seymour Hersh durante la guerra del Vietnam: solo che allora gli Stati Uniti dovevano assolutamente conservare l’immagine patinata di Paese libero, perché esisteva il pungolo ideologico dell’ Unione Sovietica che fungeva in qualche modo da diga contro il rivelarsi dei più bassi istinti. Il risultato finale di tutto questo è decretare grottescamente che chi denuncia crimini di guerra deve andare in galera mentre rimane libero e riverito chi quei reati li ha commessi o ordinati. Questo è il sistema il sistema giudiziario statunitense, secondo cui la colpa è denunciare chi svela le atrocità e non chi le haperpetrate. Così la vicenda mette bene in luce lo stato dei diritti fondamentali nell’Occidente, guidato dall’egemone USA e dai suoi vassalli europei.
Per fortuna oggi non c’è più bisogno di un eroe come Assange: gli Usa e i suoi alleati come Israele o i Paesi della Nato commettono ormai stragi alla luce del sole come dimostrano l’azione terroristica in Crimea e naturalmente la pulizia etnica nella striscia di Gaza. Sono giunti a tal punto di decozione etica da aver perso qualsiasi freno inibitorio, il che naturalmente accade regolarmente all’inizio della fine.
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