Narendra Modi si appresta a stravincere le elezioni del 19 aprile, le più imponenti che la storia umana ricordi, grazie al miliardo di elettori chiamati alle urne. Ma non prenderà seggi in una delle regioni più ricche e femministe del Paese.
lespresso.it Antonio Ortoleva
Non va in tv, ma come un influencer sui social, figlio di un semplice venditore di tè, a dispetto della “nobless family” Gandhi-Nehru, membro in gioventù, come altri ministri in carica, del gruppo paramilitare di estrema destra Rss, Modi ha allargato il consenso tra le classi più povere, ma non tra i dalit, gli “intoccabili”, che rimangono tali, ha condotto battaglie discriminatorie verso la comunità musulmana, causando disordini e vittime, ha impresso una forte spinta all’economia favorendo multinazionali e grandi imprese. E così facendo, punta alla maggioranza assoluta dei seggi, le proiezioni dicono 400 su circa 550.
«Lo voteranno perché ha dato impulso all’economia, non per la linea politica - spiega Rosario Zaccà, ovvero “Mister India” (come lo chiamano), avvocato d’affari a Milano e membro del board della Camera di Commercio italo-Indiana di Mumbay - la politica economica di Delhi è la seguente: porte aperte agli stranieri, ma devono produrre qui, e così ha fatto Apple che ha spostato la produzione dell’iPhone 15 dalla Cina in India. Per noi, dopo la vicenda dei marò e lo scandalo Finmeccanica, è un momento magico. Lo stile italiano è di moda qui grazie alla politica, sin dal governo Conte, e al lavoro del nostro ambasciatore Vincenzo De Luca, ora a fine mandato. Meccanica, moda, designer, acciaio: i nostri prodotti, dicono gli indiani, sono buoni come quelli tedeschi, ed è un gran complimento, ma più fashion».
Il premier, tuttavia, ha un cruccio. C’è uno Stato del Sud, la regione delle spezie, del tè e delle cliniche ayurvediche, la regione ricca del Kerala, a maggioranza cristiana e comunista, dove il suo partito, il Bjp, il Bharatiya Janata Party, non detiene neppure un seggio. Trivandrum, la capitale dell’“Emilia Romagna indiana”, ha eletto sindaca una studentessa marxista di 21 anni, Arya Rajendran, e all’opposizione ci sta il Congress della famiglia Gandhi. Abbiamo attraversato il Kerala, che è un’altra India, un mese intero per averne l’idea concreta che qui le discriminazioni di casta quasi non esistono, il sistema scolastico è tra i migliori al mondo, con evasione dall’obbligo vicina allo zero, anche per via dei comitati di zona composti da donne, e sostenuti dal governo locale, che esplorano i casi difficili intervenendo anche con sostegni finanziari alle famiglie. Povertà a livelli bassi e benessere generalizzato, indipendenza femminile fuori dai radar indiani, tanto che le donne passano il cognome alla prole. «Il monte Everest dello sviluppo sociale», lo definì Bill McKibben, il geografo ambientalista americano. Qui Gesù, Maometto, Shiva e Buddha convivono in armonia, un modello poco praticato altrove.
A Ovest, sulla costa oceanica lungo il Mar Arabico, nuovi resort di lusso o a capanne in stile hippy, ragazze indiane persino in bikini, mai viste altrove, movide chiassose del sabato sera e bancarelle che accettano carte di credito. La modernità avanza da Delhi al Kerala, c’era una volta l’India e tra poco non ci sarà più? «Impossible», risponde interrogato Indi Mittal, un bel signore alto e con barbetta brizzolata che accompagna da guida i colleghi professori di Toronto dove vive. «Impossible, in questo Paese c’è una coscienza collettiva che si è interrogata da millenni sui più grandi problemi dell’umanità e ha trovato risposte migliori di quanto abbiano dato Platone e Kant».
Più a Nord città lagunari come Cochin, con il primo aeroporto al mondo ad energia solare, primo porto commerciale europeo con lo sbarco di Vasco de Gama, che inaugurò nel 1524 la stagione predatoria e coloniale. A Est le montagne verdeggianti di piantagioni di tè, le più in alto del mondo. Per arrivarci, devi accettare migliaia di tornanti, fino ai 1.500 metri, alle pendici dei monti Gathi, al confine dei dirupi dove comincia Il Tamil Nadu, una distesa di morbidi cespugli verdi, intervallati da sinuosi sentieri a corolla, dove cresce la migliore miscela che si possa gustare. A due ore di auto verso Sud - mentre superiamo rimorchi carichi di capre e trainati da trattori, e ai margini, nell’ombra della vegetazione tropicale, chioschi della noce di cocco a cui mozzano la testa per poi succhiare il latte con una cannuccia - ecco Kumily, con l’accento tronco sull’ultima sillaba, la piccola capitale mondiale del pepe - nero, verde, bianco - e del cardamomo, la spezia che in cucina insaporisce riso e dolci e in medicina cura problemi polmonari e di stomaco.
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