venerdì 19 aprile 2024

In assemblea, a Roma, un movimento di opposizione vera

Siamo in un momento tremendo e delicato per i popoli del nostro paese, dell’intera area europea e del mondo.


La guerra alle porte non consente di restare a rimuginare soltanto sulle nostre disgrazie, che ci sono fin troppo note: impoverimento generale, tasche piene per chi non sa più neanche dove mettere i soldi (pure la speculazione finanziaria sembra avere dei limiti, ormai…), strafottenza del potere dominante che vive di propaganda a testate unificate, incompetenza e violenza poliziesca su chi osa fiatare.

Problemi sociali interni e questioni internazionali sono ormai strettamente collegati e solo i massacri più eclatanti sembrano capaci di scuotere coscienze spaventate o rassegnate, prive come sono da decenni di uno sguardo, una visione, una proposta che lasci almeno intravedere un mondo in cui sia possibile  per tutti vivere in modo dignitoso.

Non saranno certo le prossime elezioni europee a mettere in campo delle alternative reali, in grado di sollevare la sacrosanta indignazione che cova sottotraccia senza trovare una sponda credibile.

 

Quasi nessun soggetto impugna il bisogno di pace come un progetto politico immediato. E anche chi lo agita come una bandierina evita con cura di nominare i soggetti e le alleanze che vanno spingendo il mondo verso la guerra, come se la Nato e il riarmo fossero tendenze impersonali, incorporee, metafisiche, senza sostenitori che in qualche caso di autodefiniscono persino “progressisti”.

Come se si dovesse lottare contro un “concetto” – la guerra – anziché contro dei soggetti responsabili di tutto, della guerra come dell’impoverimento.

Si spende e si spenderà sempre di più per le armi, sempre di meno per la sanità, il welfare, l’istruzione di ogni livello, l’ambiente, le pensioni. Si privatizza quel poco che di pubblico è rimasto, senza neanche ricordare a quel che è accaduto con le privatizzazioni precedenti – Telecom, Italsider (Ilva), Alitalia, Autostrade, le partecipate di ogni tipo.

Si aggrava insomma la smobilitazione del patrimonio industriale, col “privato” in fuga da anni (Fiat-Stellantis sta altrove, a ridersela) verso sedi fiscali più favorevoli e localizzazioni produttive più misere. E vi si aggiunge la smobilitazione dell’amministrazione pubblica, tranne che le polizie.

Una smobilitazione generale che è la chiave del declino inarrestabile di questo paese, avviato verso un baratro da cui sarà tanto più difficile riemergere quanto più si tarderà ad arrestare la corsa al disastro.

 

Lo testimonia il drammatico calo demografico – il più drastico di tutto l’Occidente neoliberista, afflitto dalla stessa malattia – che non è frutto di “mode culturali” ma deriva da oltre un trentennio di salari da fame, precarietà lavorativa, servizi sociali in via di estinzione.

Tutto quel che è indispensabile per “la riproduzione” deve essere pagato, ed è sempre più caro. E, se fai fatica a sopravvivere, caricarti la spesa di un figlio diventa una scelta da rinviare all’infinito. Fino alla rinuncia.

E sullo sfondo la guerra, quella definitiva, la notte nucleare che fa sembrare il genocidio di Gaza o la mattanza in Ucraina quasi un mesto preludio.

Nessuna tendenza mortifera è però inarrestabile. Certo è difficile, duro, faticoso remare controcorrente. Certo il potere diventa tanto più scorbutico quanto più è in mano ad un ceto di maggiordomi, per un padrone vicino o un decadente imperatore lontano.

Ma di sicuro le necessità esistenziali di un popolo, delle sue classi sfruttate, delle sue generazioni future, sono alla lunga incomprimibili.

Qualcosa si muove, qualcuno . a cominciare dagli studenti – alza la testa nonostante il roteare dei manganelli. Ci sono contratti di lavoro da rinnovare, diritti da riconquistare, se non altro per sopravvivere.

E’ poco, è allo stato aurorale, è una frazione infinitesima di quel che sarebbe indispensabile.

Ma c’è. E nulla nasce già pronto, vestito di tutto punto e con la strategia in tasca, con la vittoria a portata di mano che basta solo lo slogan giusto per coglierla.

C’è qualcosa di coltivare, unificando, federando, mettendosi a confronto sulle cose da fare e non sulle preferenze da dare.

C’è un movimento da sviluppare per contrastare – quanto meno – il governo della sudditanza, della guerra e dell’impoverimento. Un governo “fascista nell’anima” (cit.) ma che sembra una farsa senza spessore rispetto alla tragedia di cento anni fa.

 

C’è da arrestare un degrado che si va mangiando intere regioni e generazioni, mettendo in campo idee e forze finalmente vitali e non decerebrate dai dogmi dell’”austerità”.

C’è un modello di sviluppo che palesemente non può neanche essere tratteggiato se si resta all’interno di una “gabbia” che solo oggi persino i suoi costruttori – in testa quel Mario Draghi che scopre sempre tardi l’acqua calda – scoprono essere inadatta a galleggiare, figuriamoci a navigare.

Occorre una rottura decisa per determinare almeno la possibilità di decidere autonomamente, come classi popolari, le modalità per risollevare questo Paese, dare un futuro alle nuove generazioni, costruire un equilibrio di giustizia sociale che spezzi il circolo vizioso delle diseguaglianze in perpetua crescita.

Fuori del sedicente “giardino” occidentale e neoliberista il mondo sperimenta nuove strade, percorsi, relazioni, progetti. E cresce, al contrario di quanto avviene qui. Non il “sol dell’avvenire”, certo, ma almeno ma una finestra di possibilità concrete.

Bisogna perciò tornare a osare l’impensabile, il non ovvio, la svolta rispetto al binario morto della crisi che conduce alla guerra.

Bisogna intanto far manifestare un movimento contro il governo Meloni, che non è poi tanto diverso da quelli precedenti, se non per quel “di più” fascistoide che trasuda da ogni suo poro.

Cominciamo ad unificare questa resistenza. Domani, con una prima assemblea nazionale a Roma.

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