Gli
attivisti pro-Assange di tutto il mondo terranno dei sit-in davanti
alle ambasciate e ai consolati australiani questo sabato (2 settembre)
per chiedere al governo australiano di adottare misure più concrete e
visibili per fermare la persecuzione giudiziaria di Julian Assange.
contropiano.org redazione
Il giornalista ed editore di origine australiana è attualmente detenuto nel Regno Unito in attesa di essere estradato negli Stati Uniti dove sarà processato per aver rivelato presunti crimini di guerra commessi da Stati Uniti e Regno Unito in Iraq e Afghanistan.
A
Roma, gli attivisti consegneranno una lettera per il Primo Ministro
Anthony Albanese all’ambasciatrice australiana, S.E. Margaret Twomey. La
lettera chiede al premier di esercitare “una pressione più visibile
sugli Stati Uniti” per ottenere il ritorno di Assange in Australia.
Facendo riferimento al recente incontro tra il Segretario di Stato
americano Blinken e il Ministro degli Affari Esteri Penny Wong, in cui
quest’ultima ha fatto scena muta davanti alla condanna perentoria di
Assange da parte di Blinken, la lettera prosegue affermando che il suo
non è stato un esempio di risolutezza.
Né è stato un esempio di come usare il peso che l’Australia ha acquisito di recente in quanto partner strategico nell’Indo Pacifico, per indurre gli Stati Uniti a lasciar cadere le accuse nei confronti di Assange. Pertanto la lettera si conclude chiedendo al signor Albanese di “cominciare a mostrarsi più risoluto”.
Contemporaneamente
si terrà un sit-in a Milano davanti al Consolato australiano,
organizzato dal Comitato per la Liberazione di Julian Assange – Italia,
insieme ad analoghi sit-in a Wellington, Londra, Parigi, Berlino,
Monaco, Chicago, Denver, Boston e in altre città del mondo.
Sabato ci sarà un coro internazionale di voci che chiederanno al premier australiano Albanese di “battersi davvero per Julian!”.
*****
Il testo della lettera che sarà consegnata all’Ambasciata australiana a Roma
On. Anthony Albanese
Primo Ministro dell’Australia
Canberra, Australia
Onorevole Primo Ministro,
Le scriviamo su richiesta dei nostri compagni attivisti in Australia che hanno designato il 2 settembre come “Giornata mondiale delle ambasciate australiane”. Ci hanno chiesto di organizzare in quella data dei sit-in davanti alle ambasciate e ai consolati australiani, per chiedere che si faccia una pressione più visibile sugli Stati Uniti affinché ritirino le accuse contro Julian Assange e la relative richiesta di estradizione dal Regno Unito.
Ci dicono che tale rivendicazione ha il sostegno di gran parte della popolazione australiana e di una significativa coalizione trasversale in Parlamento.
Ci dicono anche che, nelle attuali relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Australia, l’Australia ha il coltello dalla parte del manico, poiché gli Stati Uniti hanno bisogno del territorio australiano per le nuove basi militari che vogliono costruire. Ciò significa che l’Australia potrebbe senza dubbio porre la liberazione di Assange come condizione preliminare per i negoziati. PERCHÉ NON È SUCCESSO?
Sappiamo, naturalmente, che il Suo governo ha sì espresso delle “preoccupazioni” per Julian presso le autorità statunitensi. Recentemente (29 luglio 2023), ad esempio, il Ministro degli Affari Esteri Penny Wong ha espresso tali preoccupazioni direttamente al Segretario di Stato americano Anthony Blinken.
Ma Blinken le ha immediatamente respinte sostenendo che il suo Paese aveva delle preoccupazioni proprie, ovvero che Assange, rivelando i crimini di guerra degli Stati Uniti e del Regno Unito in Iraq e Afghanistan, aveva “rischiato di causare un danno molto serio alla sicurezza nazionale [degli Stati Uniti]”.
Ma notate la scelta di parole da parte di Blinken. Non ha affermato che Assange avesse effettivamente causato un danno (come è stato falsamente asserito all’epoca delle rivelazioni); ha semplicemente sostenuto che Assange avrebbe ipoteticamente potuto causare un danno, il che è molto diverso.
In effetti, il 16 agosto 2010, l’allora Segretario alla Difesa statunitense Robert Gates ha inviato una testimonianza scritta a una commissione del Senato degli Stati Uniti negando che le rivelazioni di WikiLeaks avessero compromesso in qualche modo la sicurezza nazionale. Lo stesso vale per l’affermazione di aver effettivamente causato morti o lesioni personali: per Gates tali affermazioni sono infondate.
Come è possibile, allora, perseguitare un uomo per 13 anni e tentare di imprigionarlo per altri 175, solo perché avrebbe causato un ipotetico rischio anni fa? La sproporzione non è forse eccessiva?
Questa è l’ovvia risposta che Wong avrebbe dovuto dare a Blinken, ma non l’ha fatto. E avrebbe dovuto aggiungere che i quattro anni che Assange ha trascorso in isolamento in una prigione britannica di massima sicurezza sono più che sufficienti a compensare qualsiasi rischio che ipoteticamente egli avrebbe potuto causare. E, quindi, gli Stati Uniti dovrebbero ritirare la richiesta di estradizione – punto.
Invece, non ha detto nulla.
Questo NON è prendere una posizione risoluta. Questo NON è usare la propria influenza per far sì che gli Stati Uniti smettano di perseguitare Assange.
Sabato 2 settembre, alle ore 17.00, noi attivisti di Free Assange Roma ci riuniremo davanti all’ambasciata australiana per chiederLe di farsi avanti con maggiore determinazione e visibilità per riportare Julian in Australia.
Contemporaneamente si terrà un sit-in a Milano davanti al Consolato australiano in piazza San Babila, organizzato dal Comitato per la liberazione di Julian Assange – Italia, oltre che a Wellington, Londra, Parigi, Berlino, Monaco di Baviera, Chicago, Denver, Boston, Tulsa e in altre città del mondo.
Tutti noi Le chiederemo, in coro, di essere, d’ora in poi, più risoluto.
Lei lo sarà?
Con rispetto,
Free Assange Roma
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