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Alla fine, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, lo ha fatto capire chiaramente: i 4 miliardi di euro che il ministro della Salute Orazio Schillaci ha chiesto per cercare se non di sollevare, quantomeno di evitare il rischio di sprofondamento della sanità pubblica non saranno previsti nella manovra finanziaria che il governo si appresta a mettere nero su bianco. Nonostante le rassicurazioni di Giorgetti sul fatto che la sanità sia una “priorità” per l’Esecutivo, il pressing del titolare della Salute è stato arginato: Schillaci, se tutto andrà bene, potrà portare a casa poco più della metà di quanto richiesto.
Il governo, infatti, sembra avere ben altre priorità. Martedì scorso lo stesso Giorgetti, in occasione del Meeting di Rimini, ha messo le mani avanti, annunciando che la legge di Bilancio – su cui pesa anche il tema delle nuove regole del Patto di stabilità -, sarà estremamente «complicata». Il Ministro ha offerto pubblicamente una serie di anticipazioni sui contenuti del provvedimento: «Certamente dovremo intervenire a favore dei redditi medio-bassi» e «usare le risorse a disposizione per promuovere la crescita e premiare chi lavora, siano essi gli imprenditori o i lavoratori», ha detto, riproponendo anche il tema della natalità, ritenuto fondamentale poiché, con i numeri che ha oggi l’Italia, «non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo». Insomma, chiosa il Ministro, il governo è chiamato «a decidere delle priorità: non si potrà fare tutto». E infatti il tema della Sanità, almeno in questa occasione, non è stato menzionato.
«Il sistema sanitario ha bisogno di una forte cura ricostituente, per troppo tempo rimandata», ha dichiarato Schillaci solo pochi giorni fa. Eppure, dati gli scarsi risultati del braccio di ferro con il Mef, il suo dicastero appare intenzionato a cambiare strategia, provando a raggranellare risorse e tappare buchi attraverso l’abbattimento della spesa per le prestazioni non appropriate, riguardante esami e visite specialistiche considerati “inutili”. Ma anche all’interno dello schieramento di centro-destra emergono voci divergenti. La più autorevole è quella dell’assessore alla Salute del Piemonte Luigi Icardi (Lega), che si allinea alle critiche piovute dall’opposizione: «Sicuramente – ha affermato– ci sono molte prestazioni non appropriate e molti esami ripetuti a causa di una non perfetta integrazione tra sistemi. Tuttavia la risoluzione di questo problemino può essere rapida e comunque non può compensare la mancata erogazione di fondi».
Intanto, ad attaccare le scelte della maggioranza è il sindacato dei medici Cimo-Fesmed, che fa risuonare l’allarme sul tema della riduzione dei posti letto ospedalieri (in dieci anni, fino al 2020, ne sono stati tagliati 39 mila) e dei ricoveri (il decreto ministeriale 70 del 2015 ne prevedeva 160 per mille abitanti, oggi sono precipitati al 93,13). A proposito delle mosse paventate dal governo, il segretario nazionale del sindacato dei medici ospedalieri Anaao, Pierino Di Silverio, parla di «una questione di volontà politica: se manca un incremento del fondo sanitario vuol dire che questa volontà non c’è». Di Silverio, che si scaglia contro «il tetto di spesa per il personale» in capo alle Regioni, si espone anche sul tema della riduzione delle prestazioni inutili, obiettivo a suo parere irraggiungibile. «L’Italia – ha spiegato – è uno dei tre Paesi del mondo, insieme a Polonia e Messico, che prevede la penalizzazione dell’atto medico», che si traduce nel fenomeno della medicina difensiva, ovvero l’insieme di prestazioni erogate dai medici per prevenire il rischio di denunce legali da parte dei pazienti o dei loro familiari, che costa circa 11 miliardi l’anno. Che, dicono i sindacati, può essere efficacemente contrastato solo con la “depenalizzazione”, essendo molto raro che un medico si assuma la responsabilità di negare visite specialistiche o esami ai pazienti, col rischio di esporli a gravi conseguenze.
Nel frattempo, a farsi portavoce della battaglia contro i tagli al settore della Sanità è il titolare delle Politiche per la salute dell’Emilia-Romagna, Raffaele Donini, che ieri ha svolto un incontro da remoto con 78 sindaci, tutti i primi cittadini dei capoluoghi, i tre rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, 15 dell’Intersindacale medica, sei della Consulta degli ordini professionali, 35 di associazioni di volontariato e circa 100 professionisti. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di partorire un progetto di legge di iniziativa regionale da far approdare in Parlamento, in cui si porti strutturalmente al 7,5% del Pil il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, aumentando il fondo di quattro miliardi annui per il prossimo quinquennio, e si superino i vincoli di spesa delle Regioni per il personale sanitario e il tetto per il salario accessorio. «Il Paese – ha detto Donini – ha bisogno di più sanità pubblica. Le risorse stanziate dal Governo dal 2023 al 2025 sono insufficienti per affrontare le nuove sfide cui è chiamata la sanità pubblica. Il sottofinanziamento della sanità è ormai diventato strutturale e questo rischia di garantire sempre meno ai cittadini l’accesso ai servizi sanitari e sociosanitari, come previsto dalla Costituzione». La vera battaglia, ad ogni modo, andrà in scena in autunno, quando gli effetti del “tira e molla” sui contenuti della Manovra saranno più chiari.
[di Stefano Baudino]
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