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di: Luigi Pandolfi
È un libro “pesante” Le guerre illegali della Nato scritto dallo storico e ricercatore svizzero Daniele Ganser (Fazi editore, 2022). E non solo perché composto di ben 590 pagine. Mentre prosegue, col suo carico di morti e distruzioni, la guerra tra Russia e Ucraina che già si configura come conflitto mondiale tra il blocco dei Paesi NATO e il reprobo fronte delle nazioni insofferenti al dominio unipolare del mondo da parte degli USA, il suo “peso specifico” consiste nell’aprire una grande falla nella narrazione mainstream, secondo cui il regno dei cattivi è sempre l’altro da sé. Dove il “sé”, manco a dirlo, è l’insieme degli Stati che compongono, per convenzione, il cosiddetto Occidente, dall’Europa al Pacifico.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il «divieto del ricorso alla guerra» diventa, per così dire, legge accettata dal consesso delle nazioni, nel frattempo risorto sotto la bandiera dell’ONU (26 giugno 1945). Con sole due eccezioni: il diritto all’autodifesa per i Paesi aggrediti e la guerra su autorizzazione esplicita per l’appunto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo significa che tutte le guerre cui abbiamo assistito dal 1945 a oggi sono state guerre di “autodifesa” e guerre su “mandato” dell’ONU? Neanche per sogno. Le guerre negli ultimi 78 anni sono state tante che è perfino difficile compilarne un elenco esaustivo e quasi tutte sono state «guerre illegali», in spregio allo Statuto delle Nazioni Unite. La gran parte di queste guerre ha visto protagonisti gli Stati Uniti e la NATO, direttamente o indirettamente. Guerre imperiali.
Di un impero, quello USA, che può contare su una formidabile supremazia militare ed economica su scala globale. Le armi. «La spesa militare pro capite degli Stati Uniti è più di quattordici volte superiore a quella della Cina», ricorda nella prefazione Carlo Rovelli, aggiungendo che Washington, «con meno dello 0,05 per cento degli abitanti della terra, copre da sola il 40% delle spese militari del pianeta». L’economia. L’autore giustamente ricorda che il PIL statunitense è di gran lunga il più consistente nella classifica dei Paesi più industrializzati del mondo, ma soprattutto che il vantaggio degli americani negli “affari” a livello globale dipende anche dall’egemonia del dollaro, moneta di riserva che Washington «è in grado di stamparsi da sola». Un rapporto funzionale, si potrebbe aggiungere: armi e basi sparse per il mondo e guerre di aggressione, per il mantenimento dell’ordine unipolare fondato sulla centralità dell’economia americana e della sua moneta.Un tasto sensibile, se è vero che a margine del conflitto russo-ucraino, nemmeno troppo velatamente, si sta giocando anche una partita per scalfire l’egemonia del biglietto verde nel commercio mondiale. Basta leggere le conclusioni dell’ultimo vertice della “Cooperazione di Shanghai” svoltosi a Samarcanda, in Uzbekistan, lo scorso mese di settembre e tenere sotto osservazione ciò che si muove all’ombra del BRICS, il sodalizio di nazioni che comprende Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. Ma ci sono anche casi pratici che stanno scuotendo i vecchi assetti del commercio mondiale. Gli accordi tra Russia e India per scambiarsi merci in rubli e rupie; l’Arabia Saudita che valuta di vendere petrolio in yuan alla Cina; l’insistenza del Brasile sulla costruzione di una moneta unica latinoamericana. Moneta ed energia. E sullo sfondo il rapporto tra Paesi debitori e Paesi creditori. Tra i primi, gli USA; tra i secondi, la Cina. Ciò che potrebbe preludere a un conflitto mondiale di grandi proporzioni, uno scontro diretto tra superpotenze, di cui la guerra in Ucraina, a ben vedere, costituirebbe solo la prima tappa.
Nel libro, dopo una rassegna, documentatissima, delle principali «guerre illegali» degli Stati Uniti e della NATO dal dopoguerra a oggi (Iran, Guatemala, Egitto, Cuba, Vietnam, Nicaragua, Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria), c’è spazio anche per l’Ucraina. Soprattutto per quelli che potremmo definire gli “antefatti” dell’invasione russa. Una ricostruzione dettagliata degli avvenimenti che portarono alla defenestrazione del presidente Viktor Yanukovich nel 2014, quindi alle politiche di discriminazione a danno delle popolazioni russofone del Dondass portate avanti dai governi di Kiev col supporto operativo dei gruppi ultra-nazionalisti e neonazisti che già avevano avuto un ruolo chiave nelle giornate di “Euromaidan”, fino alla guerra vera e propria contro le autoproclamate “Repubbliche popolari” di Donetsk e di Luhansk. Giornate che avevano visto un lungo lavoro preparatorio da parte della CIA e un coinvolgimento diretto di uomini politici e pezzi dell’amministrazione a stelle strisce. «All’interno del Dipartimento di Stato americano – scrive Ganser – Victoria Nuland [sottosegretario di Stato agli affari europei ed euroasiatici] ha preparato il golpe, come risulta da una intercettazione telefonica». Un grande paradosso. La rivolta contro Yanukovich sarebbe scoppiata perché quest’ultimo si era rimangiato la promessa di sottoscrivere l’accordo per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, ma chi spinge per il regime change sono gli Stati Uniti, il cui obiettivo strategico è quello di indebolire l’Europa recidendo il suo rapporto con Mosca. Una considerazione di George Friedman, del think tank Stratfor, riportata nel libro: «L’interesse primario degli USA, per il quale abbiamo sempre condotto le ostilità – nella prima guerra mondiale, nella seconda e anche nella guerra fredda –, è stato rivolto alle relazioni tra Germania e Russia. In quanto, unite, sono l’unica potenza in grado di minacciarci». Quel che insegna il sabotaggio del gasdotto North Stream.
Ingerenza in Ucraina e allargamento della NATO a Est. Nel libro si ripercorrono le tappe che porteranno all’estensione – con tradimento delle promesse fatte dagli americani a Gorbaciov nel 1990 – dei confini della NATO fino al limite di ciò che un tempo erano i confini dell’Unione Sovietica. Una storia di provocazioni e di strategie aggressive verso la Russia, condotte sulla pelle del popolo ucraino. Perché la guerra, in Ucraina, non comincia il 24 febbraio del 2022 ma il 15 aprile del 2014. E gli americani, dietro le quinte, ci sono sempre stati. Una lunga scia di sangue, otto anni di guerra fratricida che secondo l’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein sono costati più di 10 mila morti solo nei primi due anni del conflitto.
Nel 2019, gli ucraini, stanchi di guerra e corruzione, avevano affidato le sorti del proprio Paese all’attore comico Volodymyr Zelensky, che fino a quel momento il presidente dell’Ucraina l’aveva fatto per finta nella seria televisiva Servitore del popolo. «A differenza della serie televisiva – sono le conclusioni dell’autore del volume –, però, Zelensky non ha condotto il suo Paese verso un futuro di prosperità, ma ha continuato la guerra civile contro l’Ucraina orientale. Questo ha provocato l’illegale invasione russa e ha trasformato l’Ucraina in un teatro di guerra in un conflitto geostrategico tra Mosca e Washington». Col rischio, si deve aggiungere, di far precipitare il mondo verso l’apocalisse nucleare. Il rimedio? «Rispettare i principi di base dell’autodeterminazione, mentre vanno rifiutati le guerre di aggressione e i regime change, attenendosi al diritto internazionale e allo Statuto delle Nazioni Unite».
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