Martedi 28 marzo si è svolto il decimo sciopero “inter-professionale” e la decima mobilitazione nazionale contro la riforma delle pensioni.
A meno di una settimana dalla storica – per partecipazione – giornata del 23 marzo, la mobilitazione di martedì si è caratterizzata per una leggera flessione nel numero dei manifestanti, ma con una sostanziale capacità di tenuta sia dal punto di vista dei numeri dei partecipanti che dei settori che hanno scioperato.
Più di 2 milioni di persone per la CGT – 740mila secondo il Ministero dell’Interno . hanno preso parte alle manifestazioni. Come nella mobilitazione precedente la giornata è iniziata con blocchi del traffico in parecchie arterie principali, specialmente nella parte nord-occidentale del Paese, con operazioni “ville morte” tese a paralizzare il traffico.
Più che la scorsa settimana si sono mobilitati gli studenti delle scuole medie superiori. La FIDL – un’organizzazione studentesca che integra, insieme ad altre 4 formazioni giovanili, gli otto sindacati che hanno fin qui guidato le mobilitazioni – ha contato 500 istituti bloccati, in forme differenti.
E proprio il settore giovanile, entrato in massa nella mobilitazione precedente – il quotidiano Le Monde aveva stimato la partecipazione di 500mila giovani in tutto nelle manifestazioni svoltesi nell’Esagono, di cui 150mila nella sola Parigi – si conferma co-protagonista delle piazze insieme ai settori strategici, che non mollano di fronte all’arroganza del potere macroniano.
Il trasporto ferroviario, la metro parigina, nonché il traffico aereo sono stati nuovamente fortemente impattati dagli scioperi. Stessa capacità di mobilitazione l’hanno mantenuta i lavoratori del settore petrolchimico, dell’Energia, degli scali portuali, e gli operatori ecologici a cui si sono di nuovo affiancati insegnanti e settore della Funzione Pubblica, sia pure con una partecipazione ed un impatto minore.
La manifestazioni, in misura maggiore della scorsa settimana, sono state costellate in differenti città da violenti scontri con la polizia – oltre a Parigi, Bordeaux, Strasburgo, Rennes, Tolosa e Lione, per non fare che qualche esempio – e da una repressione ormai sistematica e preventiva. 10mila persone sono state perquisite prima della manifestazione parigina!
Questo a qualche giorno dalla mobilitazione contro i “Mega-bacini” idrici a Sainte-Soline, sabato scorso, una vera e propria “mattanza” in cui è stato vietato il primo soccorso ai numerosissimi feriti – tra cui diversi gravi – e due manifestanti ancora in coma, in quella che è stata battaglia campale.
Un bilancio pesantissimo per una manifestazione che ha visto convergere circa 30 mila persone – vietata dalla Prefettura – con militanti ecologisti al fianco degli agricoltori della Confederation Paysanne, di militanti della CGT e degli/delle insoumis.es.
E proprio martedì, il Ministro dell’Interno Gérard Darmanin ha annunciato che chiederà lo “scioglimento” del collettivo che ha organizzato la manifestazione, Soulèvamente de la Terre. Il governo Macron intende dunque portare un duro colpo a quella rete in formazione che connette differenti lotte ecologiste e che aveva già annunciato una serrata tabella di marcia, tra cui una mobilitazione contro la TAV Torino-Lione dalla parte francese.
Già nella mobilitazioni nazionale precedente era stato puntato il dito sull’attuale punta di lancia della repressione di piazza, gli “squadroni” motorizzati della BRAV-M, di cui una petizione che ne chiede lo scioglimento ha raggiunto in pochi giorni più di 100 mila firme, con l’obbiettivo di raccoglierne circa 5 volte tanto, per costringerne l’Assemblea Nazionale a discuterne della dissoluzione.
Si è passati insomma dal “contenimento” delle manifestazioni all’attacco diretto ai manifestanti.
Il governo ha continuato a rimandare al mittente ogni proposta da parte dell’opposizione politico-sindacale di tentativo di uscita da questa vera e propria crisi politica. L’ultima proposta è stata formulata da Laurent Berger, leader della “moderata” CFDT, di “sospensione della riforma” che è stata approvata – è bene ricordarlo – senza il voto parlamentare, con il governo che ha fatto ricorso per l’undicesima volta dal suo insediamento all’articolo 49.3 della Costituzione.
Questo alla fine di un percorso a più tappe che ha impedito una vera discussione, sia all’Assemblea Nazionale che al Senato, con la non remota possibilità che i nove membri del Consiglio Costituzionale la boccino non per questioni di merito, ma per questioni di metodo, come messo in evidenza da differenti costituzionalisti.
Ma questo non vorrebbe comunque dire la sua attuazione perché, anche nel caso superasse l’esame della Corte, relativamente a breve, o dopo un anno dalla sua approvazione, potrebbe essere sottoposta ad un referendum.
La consultazione referendaria, introdotta dalla riforma costituzionale del 2008, ma mai utilizzata, oltre a necessitare un certo numero di firme di deputati – l’opposizione di sinistra (NUPES) garantisce abbondantemente il numero – abbisogna di circa 5 milioni di firme da raccogliere in 9 mesi, circa il 10% degli elettori totali.
L’opposizione, sia sindacale che politica, si concentra per ora in maniera preponderante sulla continuità della mobilitazione per il ritiro del contestato pacchetto: un’ipotesi che guadagna sempre più consensi anche a livello di sondaggi, mentre la popolarità di Macron ha raggiunto i suoi livelli più bassi.
L’inter-sindacale fa appello per promuovere iniziative di carattere locale, e indice un’altra giornata di mobilitazione nazionale giovedì 6 aprile.
Le strade continuano ad essere del popolo che insorge contro Macron.
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