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opo cinque anni di indagini e settimane di dichiarazioni al vetriolo, la conferma è arrivata: il gran giurì di Manhattan (una giuria formata da 23 cittadini estratti a sorte) ha ufficialmente incriminato per i pagamenti elargiti in nero a una pornostar Donald Trump, che la prossima settimana si consegnerà alle autorità e verrà arrestato. È la prima volta che accade per un ex presidente degli Stati Uniti. Trump ha reagito parlando di una «caccia alle streghe» ordita contro di lui al fine di «distruggere il movimento Make America Great Again» e di una «persecuzione politica».
L’atto d’accusa è stato depositato in tribunale, ma i suoi contenuti non sono ancora stati diramati pubblicamente. L’oggetto del contendere sono i 130mila dollari che Trump avrebbe versato nel 2016, in piena campagna elettorale per la presidenza Usa, all’attrice hard Stormy Daniels, il cui vero nome è Stephanie Clifford. Secondo il procuratore di New York Alvin Bragg, essi sarebbero serviti per comprare il silenzio della donna sui rapporti sessuali che i due avrebbero consumato nel 2006, quando la moglie del tycoon, Melania Knauss, stava dando alla luce il figlio Barron. Il versamento fu anticipato dall’allora legale di Trump Michael Cohen, che avrebbe poi ottenuto un rimborso dal suo cliente dopo la sua salita alla Casa Bianca. Semplici «onorari», secondo l’ex Presidente Usa, mentre Cohen, sentito dal gran giurì, ha testimoniato contro Trump. Il pagamento, secondo il procuratore, deve essere inquadrato come un «finanziamento» in nero effettuato per salvare la sua campagna elettorale, che sarebbe potuta sfociare in un altro risultato ove la vicenda non fosse stata coperta.
Sono intanto in corso i negoziati tra la procura distrettuale di New York e gli avvocati di Trump. Si sostanzierebbero nell’approdo volontario del tycoon nella “Grande Mela”, dove sarà formalmente arrestato, martedì prossimo. Trump sarà accompagnato dai servizi segreti in quanto ex Presidente, saranno rilevate le sue impronte digitali e scattate le foto segnaletiche, poi dovrà comparire davanti al giudice per rendere la dichiarazione di innocenza o colpevolezza (Trump si è sempre dichiarato «not guilty»). Infine lascerà il tribunale, probabilmente senza cauzione, dal momento che si tratta di reati non violenti.
L’incriminazione non potrà comunque intralciare formalmente la corsa di Trump alle presidenziali del 2024, poiché la Costituzione americana non richiede ai candidati di avere la fedina penale pulita. Trump d’altra parte appare intenzionato a cercare di utilizzare politicamente a proprio favore il caso. Già dalle scorse settimane Trump – non è affatto una novità – ha denunciato la persecuzione politica: «Hanno portato questa accusa falsa, corrotta e vergognosa contro di me – ha scritto su Truth Social l’ex Presidente – solo perché sto con il popolo americano». Riferendosi al procuratore Bragg, Trump ha sostenuto che «invece di fermare l’ondata di criminalità senza precedenti che ha travolto New York, sta facendo il lavoro sporco di Joe Biden, ignorando gli omicidi, i furti con scasso e le aggressioni su cui dovrebbe concentrarsi». Una narrazione non troppo diversa a quella in cui ci eravamo abituati in Italia negli anni di Berlusconi.
Nel frattempo, Trump resta sotto inchiesta anche per altre vicende. Due indagini federali sono guidate da un procuratore speciale: la prima riguarda i presunti incitamenti di Trump ai suoi supporters nella cornice del cosiddetto Assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, che potrebbe tradursi in un’incriminazione per cospirazione; l’altra concerne invece il ritrovamento di documenti segreti, che avrebbero dovuto essere consegnati da Trump al National Archive, nel suo resort in Florida. In Georgia è poi aperta un’altra inchiesta, che si basa sul contenuto di una conversazione telefonica del 2020 – a margine dello spoglio elettorale delle presidenziali perse da Trump – in cui il tycoon chiedeva al Segretario di Stato georgiano Brad Raffensperger di ribaltare il risultato. In Georgia, i democratici trionfarono con un margine di 11779 voti: Trump, denunciando brogli, ne reclamava «11780, uno in più di quelli che abbiamo, perché abbiamo vinto lo Stato».
[di Stefano Baudino]
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