lunedì 27 marzo 2023

“Di quale CGT abbiamo bisogno?”. Il sindacato al bivio in Francia.

 

Pubblichiamo questo interessante e corposo contributo di Jean-Pierre Page, ex membro della Commissione esecutiva confederale della CGT dal 1982 al 2000 e responsabile del Dipartimento internazionale della CGT dal 1991 al 2000, autore di diversi libri, tra cui “Camarades, je demande la parole”, sui passaggi e le discussioni interne al 53° Congresso della CGT.

Congresso che arriva proprio nel bel mezzo della gigantesca mobilitazione contro la riforma delle pensioni di Macron e a seguito di un “salto di qualità” nell’organizzazione e nell’opposizione a questa contro-riforma dopo il ricorso all’articolo 49-3 da parte del governo per imporre tale progetto senza il voto all’Assemblée Nationale.

Da diverse settimane, alcune federazioni della CGT più combattive e, in particolare, quelle affiliate alla FSU-WFTU (in Francia ogni federazione può scegliere il riferimento internazionale che preferisce) fanno appello allo “sciopero generale ad oltranza”, con picchetti e azioni di bloccaggio, resistendo alle precettazioni e alle violenze della polizia, mentre si estendono e si radicalizzano le mobilitazioni anche grazie al sostegno dei giovani studenti e lavoratori precari.

È sotto gli occhi di tutti – ancor più dei delegati che parteciperanno al Congresso – il ruolo fondamentale di queste federazioni, la loro capacità di tenuta e offensiva sindacale e politica, che è stata capace di mettere in atto e portare avanti un rapporto di forza nei settori industriali strategici per “bloccare l’economia del Paese”.

In questo contesto di mobilitazione generale, le sfide per la costruzione di un sindacalismo conflittuale, di classe e autonomo hanno una portata ancor più rilevante.

Buona lettura.

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Dal 27 al 31 marzo 2023 si terrà a Clermont-Ferrand il 53° Congresso della CGT. Si svolgerà nel mezzo di un movimento senza precedenti di insubordinazione popolare, protesta sociale e contestazione politica, che si alimentano a vicenda.

Giustizia sociale e democrazia sono le due principali richieste che si sono cristallizzate attraverso il rifiuto della riforma pensionistica che l’oligarchia sta cinicamente cercando di imporre attraverso una repressione violenta e cieca.

La borghesia che lavora solo per sé stessa, che sfrutta solo per sé stessa, deve far credere che lavora, che sfrutta, che massacra per il bene finale dell’umanità. Deve far credere che è giusta. E lei stessa deve crederci” (Paul Nizan, “I cani da guardia”).

La Storia non è mai scritta in anticipo

 

Da più di due mesi, i lavoratori hanno deciso di raccogliere questa sfida! L’indignazione generale provocata dalla decisione del governo di sottrarsi al voto sulla legge e di ricorrere a un colpo di forza ha provocato un’indignazione generale e una rabbia legittima che molti giovani hanno espresso con un impegno combattivo.

È chiaro che ora c’è un prima e un dopo l’articolo 49-3. Contrariamente a quanto Macron cerca di credere e di far credere contro ogni evidenza, la questione delle pensioni non è risolta. La piazza è ora di fronte al potere. La storia non è mai scritta in anticipo. Macron deve impararlo a sue spese. È il momento del riscatto.

Per vincere, la CGT deve contribuire a consolidare e ampliare l’attuale rapporto di forza, sapendo utilizzare al meglio le proprie forze attraverso una strategia portata avanti da tutta l’organizzazione. Deve lottare per dare un senso al suo rapporto con il mondo del lavoro, così com’è e non come lo immaginiamo.

La lotta deve essere considerata a lungo termine. Deve essere portata avanti in modo offensivo e nulla può giustificare una riduzione della determinazione.

Non c’è quindi altra scelta se non quella di resistere generalizzando lo sciopero, attraverso le azioni di bloccaggio, cioè bloccando l’economia, articolando l’azione tra tutti i lavoratori, sia nel settore pubblico che in quello privato, e contribuendo a un maggiore coinvolgimento di tutte le organizzazioni della CGT accanto ai pensionati, ai giovani, ai disoccupati e ai lavoratori precari, molti dei quali sono già mobilitati, ma la cui partecipazione all’azione deve essere rafforzata.

Questo è ciò che sarà decisivo! Di conseguenza, il 53° Congresso deve mettere sul tavolo lo “sciopero generale” e il suo carattere ad oltranza, non lo sciopero una volta tanto, ma quello costruito con tenacia e determinazione. Questo può essere fatto tanto meglio se non si parte da zero!

Di fronte a questa situazione e con la sua solita arroganza, Macron è altrove, insulta i francesi e persiste in un’ostinazione che non vede come un problema. Per lui la questione delle pensioni è finita ed è ora di andare avanti. Come al solito, dà lezioni al mondo intero.

A detta di tutti e di molti osservatori internazionali, la sua perdita del senso della realtà è tipica di un tratto caratteriale che i clinici chiamano “sindrome di Hubris”. Il suo governo, seguendo il suo esempio e in perfetta imitazione, è ostinatamente caricaturale. Bertolt Brecht disse: “Poiché il popolo vota contro il governo, il popolo deve essere sciolto”.

Questo si applica perfettamente alla situazione francese.

È intollerabile che il mondo del lavoro venga disprezzato e umiliato a tal punto. L’oblio, le menzogne e l’arroganza delle autorità richiedono una risposta. Molti dicono che prima o poi dovranno pagare per tutto questo.

Per il momento, è urgente darsi i mezzi concreti per farsi rispettare, organizzando la lotta ovunque e in tutte le forme possibili. Non ci sono piccole battaglie.

In queste condizioni, il 53° congresso della CGT è un’opportunità. Deve essere l’espressione concreta di questa volontà e contribuire con le sue decisioni a questa ripresa su larga scala. Questa è la sua priorità!

Non ci sono piccole battaglie

 

Come spesso accade, la lotta ha virtù pedagogiche, permette di chiarire le cose. Ciò che conferisce a questa azione di massa, unificante e popolare, è una strategia basata sulla capacità di iniziativa dei sindacati aziendali, dal basso, su una flessibilità, una capacità di adattarsi in modo permanente alle condizioni in cui ci troviamo, senza dirigismo, senza istruzioni e persino senza promemoria.

Attuato attraverso l’intelligenza collettiva che i lavoratori sanno dimostrare, incoraggia la fiducia e l’assunzione di responsabilità rendendo ogni persona un attore consapevole, un decisore. Ci permette di riunire il maggior numero di persone possibile e di non esaurirci.

Il movimento è in corso da più di due mesi e per i raffinatori dell’industria petrolifera anche da più tempo. Sono stati in prima linea in questo movimento e il loro esempio è stato decisivo. Ecco perché nel suo svolgimento questa azione non è paragonabile a nessun’altra.

Gli scioperi, coordinandosi e sostenendosi a vicenda, hanno permesso di mantenere un alto livello di mobilitazione. Questo è dunque possibile! Siamo tornati alle grandi manifestazioni che hanno fatto la storia del movimento operaio francese.

Dopo due mesi di lotta, è notevole vedere il 23 marzo quasi 800.000 manifestanti a Parigi, 280.000 a Marsiglia, 150.000 a Tolosa, 30.000 a Brest, 80.000 a Nantes, 60.000 a Montpellier, 5.900 a Gap.

È questo orientamento combattivo e anticipatore che ha dato i suoi frutti e che si è articolato con gli slogan delle giornate d’azione nazionali e delle centinaia di manifestazioni decentrate decise dall’Intersindacale.

Combinando tutte queste forme di azione, adattandosi al livello di coscienza di ciascuno, tenendo conto della disponibilità di tutti ed essendo flessibile, l’azione è stata permanentemente posta sotto la responsabilità dei lavoratori stessi. Questa è la cosa più importante.

Questo ha permesso di entrare in contatto con tutta la popolazione, soprattutto con i giovani, e si è tradotto in un ampio sostegno popolare che non si è esaurito nonostante le provocazioni e la violenza deliberata delle autorità.

Avanzando a testa alta in questo modo, abbiamo contribuito a porre fine ai tentennamenti, alle esitazioni, all’immobilismo che ieri alcuni giustificavano con “non ci sono le condizioni” o “non siamo pronti”, temendo il più delle volte di prendere le decisioni che avrebbero permesso la convergenza delle lotte. Questa volta, aver osato e crederci aiuta a costruire la fiducia. “La prova del budino sta nel mangiarlo”.

Come possiamo vedere, l’alto livello di mobilitazione, la fermezza, il rifiuto dell’autocompiacimento e dei compromessi di circostanza ci hanno permesso di passare al lavoro pratico in grande formato attraverso un rinnovato ed efficace approccio rivendicativo.

La fine delle concessioni alle giornate di azione, il più delle volte fonte di scoraggiamento, ha permesso la moltiplicazione delle iniziative e ha favorito un alto livello di resistenza. Questo ha permesso di esprimere una combattività illustrata da una moltiplicazione di azioni molto diverse tra loro, in prima linea i netturbini, i lavoratori dell’energia, i raffinatori, i portuali e i dockers, i ferrovieri, i lavoratori della grande distribuzione e molti altri.

È la capacità dei lavoratori con il loro sindacato CGT di innovare le forme di lotta decise democraticamente e di non essere prigionieri di alcun ordine dall’alto che ci ha permesso di arrivare a questo punto. Non subire, ma condurre la lotta di classe fino in fondo. Questo è diventato l’imperativo!

Si dimostra così che per impegnarsi in massa i lavoratori hanno bisogno di uno slogan unificante e della volontà politica di coloro che hanno la responsabilità di guidare e organizzare l’azione. La lotta è sempre rivelatrice della qualità di coloro che sono in grado di incarnare al meglio le scelte dei lavoratori stessi.

È questa costruzione dal basso, soprattutto attraverso l’articolazione di settori professionali strategici e grazie all’appello decisivo di cinque federazioni CGT (Chimica, Energia, Ferrovie, Vetro e Ceramica, Porti e Bacini) che ci ha permesso di dare questo slancio alla lotta.

In proporzione, le piccole città e le periferie che si sono mobilitate durante il movimento dei Gilet gialli sono particolarmente attive. Hanno la particolarità di riunire nello stesso luogo operai, contadini, disoccupati, lavoratori precari, giovani e pensionati.

Il risveglio e la partecipazione di questa Francia testimoniano da soli la profondità e il radicamento dell’azione e quindi un salto di qualità. Infine, come ignorare l’enorme solidarietà internazionale delle organizzazioni della Federazione Mondiale dei Sindacati (WFTU), che si esprime attraverso manifestazioni e sostegno attivo, come in Grecia, Italia e Spagna…

L’agenda macronista

 

Ecco perché è importante prendere la giusta misura di questa nuova fase, che non ha precedenti e non ha nulla a che vedere con un fulmine in un cielo sereno.

Per il momento, l’oligarchia macronista è determinata a portare avanti il suo programma di regressione sociale, vuole mettere la museruola a tutti i lavoratori senza eccezioni, se necessario con la violenza. Ritiene in modo del tutto irresponsabile che si sia voltata la pagina del dossier pensioni.

Seguendo la sua tabella di marcia reazionaria, il governo vuole attaccare l’intero popolo e non ha intenzione di limitarsi alla liquidazione del nostro sistema pensionistico a ripartizione.

Vuole stravolgere il Codice del lavoro, imporre una legge di trasformazione del mercato del lavoro, discutere la condivisione del valore, le riconversioni, emarginare gli indigenti, attaccare l’immigrazione, abolire e condizionare gli aiuti sociali, continuare l’eccessivo sfruttamento dei lavoratori degradando ulteriormente le condizioni di lavoro, la salute e la sicurezza, mettendo in discussione la settimana lavorativa di 35 ore, creando una precarietà illimitata, adattando il sistema di impiego per gli anziani, mettendo in discussione il diritto di sciopero e di manifestazione, generalizzando il sistema illegale delle precettazioni!

Emmanuel Macron vuole dettare in modo autoritario nuove regole che saranno doveri senza alcun diritto e vuole imporle a tutti. La sua scelta di società è quella di passare da una società di poveri senza lavoro a una società di poveri con lavoro. Si tratta quindi di una guerra di classe.

Macron intende condurla a qualunque costo. Vuole farlo anche a causa della sua sottomissione agli interessi imperialisti dell’altra sponda dell’Atlantico di cui rimane vassallo. Attraverso il suo coinvolgimento militare e finanziario nella guerra contro la Russia e i preparativi per il confronto con la Cina, vuole sostenere il settore militare-industriale proprio come avviene negli Stati Uniti.

Intende continuare a fare regali alle aziende, a permettere sgravi fiscali, a sostenere le centinaia di miliardi di evasione fiscale che portano a un deficit pubblico che sta raggiungendo nuove vette, così come l’inflazione, e a permettere l’osceno aumento dei dividendi degli azionisti attraverso le società del CAC40. Macron difende gli interessi della sua classe con cinismo e brutalità.

Macron è infatti un borghese nel senso di Paul Nizan ne “I cani da guardia”: “Il borghese è un uomo solitario. Il suo universo è un mondo astratto di macchine, di relazioni economiche, giuridiche e morali. Non ha contatti con oggetti reali, non ha relazioni dirette con gli uomini. La sua proprietà è astratta. È lontano dagli eventi. È nel suo ufficio, nella sua stanza, con la piccola truppa di oggetti del suo consumo: sua moglie, il suo letto, il suo tavolo, le sue carte, i suoi libri”.

Una casta alle strette

 

La casta al potere vuole attuare con urgenza il suo programma di regressione sociale e Macron ha dato istruzioni in tal senso. Per il suo bene, il popolo deve pagare il conto!

Questo è ciò che ha appena confermato nel suo discorso del 22 marzo in cui ha giustificato il metodo del suo governo, cioè la menzogna e la giustificazione del passaggio con la forza della violenza contro il Parlamento e l’uso dell’articolo 49-3, fino a negare le proposte che gli erano state fatte dai sindacati.

Questo arcaismo è inserito in una Costituzione che di per sé si fa beffe della democrazia. In realtà, la sua febbre è indicativa di un sistema che è sull’orlo del collasso. È per questo che non intende lasciare le cose come stanno!

La repressione, la violenza e le provocazioni che egli provoca e decide si rafforzeranno ancora di più, illustrando il totalitarismo di un intero sistema basato sull’arbitrio.

Ha assimilato il movimento popolare a “faziosi” di sinistra memoria: ricordiamo i perfidi generali dell’OSA durante la guerra d’Algeria. In realtà, il governo cerca di impressionare, di spaventare, è un metodo vecchio e spesso illusorio, soprattutto quando la rabbia e l’esasperazione sono al massimo.

Solo il 22 marzo sono stati effettuati 457 arresti, centinaia di manifestanti sono stati feriti, alcuni in modo grave, e il numero di accuse contro gli attivisti della CGT e i loro rinvii a giudizio si sono moltiplicati in concomitanza con gli attacchi fisici ai picchetti e alle manifestazioni da parte di giovani liceali.

Di fronte alla violenza indiscriminata delle brigate d’intervento motorizzate (BRAV-M), abbiamo visto le forze di gendarmeria interporsi.

Macron vuole imporre le sue regole e sottrarre il nostro sistema pensionistico a ripartizione al controllo sociale di coloro che sono gli unici produttori di ricchezza.

Va ricordato che la previdenza sociale non appartiene allo Stato ma ai suoi contribuenti, e in primo luogo ai lavoratori stessi, e che è l’opera principale del Consiglio Nazionale della Resistenza e del ministro comunista Ambroise Croizat all’indomani della Seconda guerra mondiale.

Per questo motivo è notevole, in un periodo di confronto sociale come questo, che il padronato e l’Unione Europea siano accuratamente tenuti fuori dai commenti e dai dibattiti dei media, mentre questa riforma ha ottenuto da tempo il loro via libera e il sostegno incondizionato del MEDEF e della Commissione di Bruxelles, che pure richiedono questa riforma.

Ciò che forse è ancora più notevole è il silenzio delle confederazioni sindacali su questo tema, come se la lotta si riducesse a un confronto con il solo governo.

È vero che la Confederazione europea dei sindacati (CES, quella cui aderiscono Cgil-Cisl-Uil, ndr), presieduta da Laurent Berger della CFDT, non ha nulla da dire al riguardo, senza dubbio perché è ancora alle prese con la vicenda di corruzione del suo ex segretario generale, costretto a dimettersi dalla carica di segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati (ITUC).

Macron ha scelto il caos, l’approccio “make or break”, e la sua ossessione reazionaria sta diventando implacabile. È necessario ridurre la spesa pubblica in ogni modo possibile, attaccando il lavoro, la sanità, l’istruzione e la cultura.

Ai suoi occhi, il sistema pensionistico alla francese è un grande ostacolo. Bisogna normalizzarlo e porre fine all’eccezionalità dei suoi principi. Uno studio dell’Unione Europea aveva a sua volta dimostrato che l’indice di povertà dei pensionati in Francia era due volte più basso della media europea o degli Stati Uniti.

Blackrock e i veri mandanti

La fine del sistema pensionistico a ripartizione non è quindi una novità. Macron, come i suoi predecessori, ha la missione di smantellarlo, per sottoporre il popolo e i lavoratori alla pressione illimitata dei padroni e dei ricchi.

Tutto questo avviene come a Vichy, attraverso una politica di abbandono e sottomissione nazionale che svende la sovranità. A tal fine, la scelta partitica è quella di sottomettersi a ciò che chiedono i mandanti: le istituzioni di Bruxelles, la Banca Centrale Europea, la finanza internazionale, compreso il FMI, tutti al servizio delle banche minacciate da un nuovo crollo, transnazionali come il gestore di attivi finanziari statunitense Blackrock.

Blackrock è il perno e l’anima di questo piano contro il popolo francese. Il patrimonio totale gestito da questo gruppo equivale a due volte e mezzo il PIL della Francia, ossia 7.000 miliardi di dollari.

Blackrock ha pubblicato nel giugno 2019 un appello che chiede molto chiaramente al governo francese di sviluppare il “terzo pilastro” dei regimi pensionistici: la capitalizzazione, ossia l’affidamento a società finanziarie private della gestione di parte della “previdenza”. Il documento si chiama “La loi pacte: le bon plan retraite”.

La legge sul patto è sostenuta da Bruno Le Maire ed è stata approvata dal governo. A livello europeo, il “Gruppo dei 30”, un think-tank neoliberista di cui fa parte Blackrock, ha raccomandato di estendere l’età pensionabile, di aumentare il risparmio privato e di ridurre i tassi di sostituzione del reddito delle pensioni (la percentuale di stipendio che sarà poi versata come pensione). Siamo quindi a posto!

Il problema per Macron è che deve affrontare un movimento senza precedenti, una ribellione sociale e democratica che è in linea con i grandi scontri di classe che la Francia ha vissuto nel 1936, 1968, 1995, 2016 con il CPE e 2019 con i Gilet gialli. Non è il momento di acquietarsi.

Inoltre, non possiamo limitarci a contestare i 64 anni per la pensione quando dobbiamo mantenere i principi su cui si basa il nostro sistema e imporre 60 anni e 37 anni e mezzo di contributi per una pensione piena e completa che tenga conto dei 10 anni migliori e che abbia i mezzi per vivere dignitosamente.

In altre parole, non dobbiamo cedere sui salari e sul potere d’acquisto sia per i lavoratori che per i pensionati.

Il nostro sistema di protezione sociale nei suoi principi non è una reliquia del passato che dovrebbe essere liquidata o riformata come proposto dal governo e anche da alcuni sindacati, ma è un progresso sociale moderno che deve essere difeso per il presente e il futuro.

In un certo senso, prefigura una società emancipatrice basata sulla giustizia sociale e sulla solidarietà. Di conseguenza, questa lotta non può essere condotta con le spalle al muro, si tratta di passare all’offensiva, non ci sono altre scelte possibili.

Per questo i delegati del 53° congresso della CGT faranno la scelta di mettere in campo tutte le forze della CGT, senza eccezioni.

Sia chiaro che ciò richiede una rottura con le vecchie pratiche e ambizioni di circostanza, nonché con il conformismo all’origine di molte battute d’arresto e sconfitte.

Questo salto di qualità è possibile, è indispensabile perché la CGT svolga appieno il suo ruolo in questa lotta che si dice essere la madre di tutte le battaglie e affinché la CGT recuperi una credibilità danneggiata da troppi anni di impotenza.

La questione sindacale come nuovo argomento di interesse

In questo contesto, non è innocente che la questione sindacale sia oggetto di molti commenti, e non solo per il sovrano disprezzo di Macron per i sindacati, che non è una novità ma corrisponde al suo stile monarchico di gestire gli affari di Stato.

Ciò che è del tutto inaspettato è che i media e i politici hanno cercato per diverse settimane di presentare le confederazioni sindacali attraverso un’immagine morbida di organizzazioni dignitose e responsabili che sono state troppo trascurate dalle autorità.

Per completare il quadro, hanno cercato di fonderle in un’Intersindacale inodore e insapore, le cui differenze sono state appianate. Si sostiene addirittura che sarebbe stata segnata da una luna di miele tra Laurent Berger e Philippe Martinez, il che francamente non è una scoperta quando sappiamo quanto siano vicine le loro posizioni su molti temi, in particolare sull’UE.

Questa presentazione soft contrasta con i discorsi duri che mettono in guardia quotidianamente e a tutte le ore sulla tendenza alla radicalizzazione delle azioni, alle manifestazioni selvagge, alla violenza e persino all’apocalisse quando lo sciopero si estende ad altri settori, quando prende la forma di blocchi stradali, cumuli di cassonetti in fiamme, azioni “Robin Hood” che impongono la “sobrietà energetica” per alcuni deputati e senatori, o quando i lavoratori di Mer-sur-Fos resistono fisicamente e coraggiosamente alla brutalità delle forze dell’ordine.

La sollecitudine dei media per la CGT

È in questo clima che i media e i politici di tutti gli schieramenti hanno scelto di schierarsi sulla questione del prossimo congresso della CGT. Stanno dimostrando una sollecitudine inaspettata. Secondo i loro numerosi commenti, esso si ridurrebbe all’elezione di un nuovo segretario generale.

Per questo motivo, prestano molta attenzione ad alcuni candidati come Marie Buisson, sostenuta da Philippe Martinez, o Céline Verzeletti, che non si è dichiarata.

Per quanto riguarda i media, la loro scelta è Marie Buisson, per la quale mostrano compiacimento e sollecitudine moltiplicando le interviste, valorizzando i reportage, l’ombra di Philippe Martinez nelle manifestazioni.

Tutto questo non è innocente e mira a fare pressione sui delegati al congresso presentando loro l’elezione del segretario generale della CGT come un risultato scontato. L’intera dirigenza della CGT sta permettendo che ciò avvenga, compresa la partecipazione permanente di Marie Buisson alle riunioni del consiglio confederale, di cui non è membro, in contraddizione con gli statuti della CGT.

Ma alcuni considerano tutto questo insufficiente. Così abbiamo visto il quotidiano Les Echos moltiplicare gli articoli favorevoli a Marie Buisson sulla base di confidenze comunicate dalla segreteria di Philippe Martinez per meglio orchestrare la comunicazione sui progetti del segretario generale della CGT a favore della sua sostituzione.

Questo modo di fare, inaccettabile, ha suscitato molte reazioni nella CGT e tra i militanti che hanno la sensazione di essere messi di fronte al fatto compiuto. Tutto questo viene ignorato con condiscendenza!

Per Olivier Mateu, il combattivo e popolare segretario generale della CGT di Bouches-du-Rhône, la situazione è invece diversa. La sua candidatura, che rispetta gli statuti della CGT, è sostenuta dal sindacato dipartimentale della CGT di Bouches-du-Rhône e ha ricevuto l’incoraggiamento e il sostegno di importanti federazioni, sindacati dipartimentali, sindacati locali e sindacati aziendali.

La sua libertà di parola, il suo coinvolgimento nella conduzione dello sciopero e la sua presenza attiva sul territorio corrispondono nella sostanza e nella forma a molte aspettative dei lavoratori e dei militanti della CGT. Hanno trovato la CGT che si aspettavano.

Per i media è quindi rivelatore e significativo che a questa realtà indiscutibile debba essere messo fine. In questo modo è stato classificato unilateralmente tra gli “integralisti della CGT”.

In modo caricaturale, vengono messi in discussione il suo operaismo e il suo radicalismo, viene fatto passare per uno “stalinista” che si rifiuta di “scegliere tra Putin e Zelensky” o per un “rosso acceso”, ignorando deliberatamente le sue reali posizioni, che sono comunque illustrate dalla sua intervista con la sociologa Monique Pinçon-Charlot.

Una cosa è certa: dalle risposte che i delegati del 53° congresso daranno a queste campagne mediatiche dipenderà in larga misura il futuro della CGT nella sua concezione, il suo tipo di organizzazione, i principi che determineranno i suoi orientamenti e di conseguenza il tipo di sindacalismo della CGT.

La scelta tra due orientamenti

 

In realtà, si presentano due orientamenti distinti, per cui sarà necessario scegliere l’uno o l’altro, fermo restando che non può esistere una terza via sotto forma di rivoluzione di palazzo, nonostante tutto ciò che viene sostenuto da alcune federazioni, mentre si tratta in realtà di rivoluzionare gli orientamenti strategici della CGT.

Si tratta di prendere decisioni che tengano conto dell’inasprimento senza precedenti della contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro.

Quali sono questi approcci radicalmente diversi? Riguardano gli obiettivi delle rivendicazioni, le priorità, la strategia delle lotte, il rapporto con l’Europa o con il mondo, e quindi con la guerra e la pace, l’unità sindacale, la concezione militante o professionale dell’organizzazione o il contenuto della scelta della società per cui agire. Tanti temi decisivi che devono essere discussi.

Non possiamo quindi ridurre questo 53° Congresso alla sola scelta del futuro segretario generale, quando si tratta di una questione di orientamento.

Per questo è indispensabile e legittimo iniziare mettendo tutto sul tavolo, fare un bilancio con coraggio e lucidità, una valutazione reale della situazione e non solo una questione di circostanze. Non si tratta di farsi sopraffare, ma di aiutare a trarre le conseguenze di un lungo periodo da cui bisogna trarre insegnamento.

I delegati dovranno discutere gli orientamenti da cui dipendono le diverse candidature per la futura leadership della CGT!

Uno di loro propone di continuare sulla strada dell’adattamento della CGT a un sindacalismo istituzionalizzato ed eurocompatibile che pensa di risolvere la sua crisi ricomponendosi in una deriva societaria.

Questo orientamento fa la scelta di perseguire e accelerare una mutazione la cui strategia è quella di confluire in un quadro organizzato che associa ONG e sindacati.

Sia chiaro che questo andrebbe a scapito del sindacato aziendale sostituendolo con strutture esterne all’azienda e avrebbe come conseguenza la rinuncia a una lotta di classe più impegnativa, porterebbe a svendere l’indipendenza della CGT, facendola rinunciare a posizioni di principio, per farla dipendere da alleanze di circostanza o da obiettivi nell’aria del tempo.

Senza che questo sia un giudizio di valore, cosa hanno in comune Greenpeace e la CGT? È comunque la scelta di Marie Buisson e, in altra misura, di Céline Verzeletti che, pur non essendosi ancora dichiarata, ha approvato come membro della direzione confederale il coinvolgimento della CGT nella squadra del “mai più”, cioè, in sostanza, la proposta di Philippe Martinez senza mai esprimere realmente un parere contrario all’interno della CGT.

Continuare su questa strada significherebbe assoggettare la CGT all’agenda del capitale e a quella delle istituzioni europee, come ha dimostrato la dichiarazione intersindacale, che include la CGT, e senza discussioni con i datori di lavoro a favore di una “alleanza economica per un’Europa verde”.

Ciò significherebbe perseverare in un’impasse derivante dalla mutazione strategica intrapresa dopo il 45° Congresso (1995), che ha portato alla depoliticizzazione della CGT e alla sua affiliazione alla CES e alla ITUC.

I delegati dovranno anche decidere sugli orientamenti rischiosi del gruppo “mai più”, nonché sulla prospettiva degli “Stati generali del sindacalismo di trasformazione sociale”, proposta sostenuta dai leader della FSU. In modo inedito, questi ultimi hanno anche annunciato il loro sostegno al documento di orientamento del congresso della CGT, schierandosi apertamente con la candidatura di Marie Buisson.

Infine, rifiutando di rompere con le vecchie pratiche, favorendo un’attività sindacale professionalizzata e istituzionalizzata, come porremo rimedio al declino pluriennale della capacità dei militanti di condurre la battaglia delle idee sui contenuti?

Nessuno dei due candidati dichiarati o presunti si è espresso su questo tema. Non sacrificheremo la forma alla sostanza?

Tuttavia, abbiamo fatto i conti con il declino dei contenuti della formazione sindacale, con l’abbandono della ricerca, con il cronico indebolimento della stampa della CGT, all’unisono con la crisi del sindacalismo, compreso quello della CGT, che continua senza che questo sembri suscitare reazioni salutari da parte di questi due candidati.

L’altro rappresenta un’alternativa a 25 anni di sconfitte sociali e al declino dell’influenza della CGT tra i lavoratori. Ha come obiettivo principale una visione che incoraggi i sindacalisti e gli attivisti a riappropriarsi dell’azione e del ruolo della CGT a tutti i livelli, dal luogo di lavoro, dove tutto è decisivo, fino alla Confederazione.

È questo il modo per dare un senso alla confederalizzazione collegando il professionale e l’interprofessionale, in particolare rivalutando il ruolo delle Unioni locali.

Questo è il modo per contribuire a federare ciò che è complementare e a far convergere tutte le strutture della CGT per la lotta attraverso il dibattito, la fraternità e la solidarietà.

A tal fine, è necessario porre fine alle separazioni stagne che sono state erette tra la confederazione e tutte le sue organizzazioni. Rivendicare i principi di classe significa anche applicarli ai principi organizzativi, il che significa orientare le risorse umane e materiali verso l’azienda.

Che senso avrebbe parlare di lotta di classe se si operasse secondo le regole del sindacalismo riformista? L’utilità, l’efficacia e la modernità del sindacalismo di lotta di classe risiedono in una diversa qualità del rapporto con i lavoratori.

Questo approccio, attuato con successo nell’UD CGT del Bouches-du-Rhône, ha contribuito a rafforzare la coesione e l’unità dell’organizzazione, ha permesso di ottenere importanti risultati in termini di rivendicazioni, come nel caso della centrale di Gardanne, e ha migliorato significativamente l’influenza e la forza organizzata della CGT.

Questo orientamento, sostenuto da Olivier Mateu, è evidenziato nell’opuscolo “Di quale CGT abbiamo bisogno?” Questo approccio tiene conto anche della necessità di rinnovamento del sindacalismo internazionale, chiarendo i vicoli ciechi difesi dal sindacalismo sostenuto dalla CES e dalla ITUC, che si sono riversati sulla CGT.

Infine, come afferma Olivier Mateu, “il doppio compito deve ritrovare la sua ambizione primaria, ossia l’emancipazione di tutti”. L’alternativa quindi c’è, può aprire uno sbocco.

Non partiamo dal nulla, d’ora in poi esistiamo!

Questo approccio non parte dal nulla, ma è stato costruito per anni dalla volontà di diverse organizzazioni rappresentative della CGT che hanno scelto, attraverso proposte e azioni concrete, un cambiamento di direzione indipendentemente dall’approccio ispirato dalla leadership della CGT.

Ciò è tanto più rappresentativo e indiscutibile in quanto si tratta di organizzazioni tra le più combattive della CGT. Questo si è concretizzato con un “Appello all’unità d’azione dei lavoratori e del popolo per nuove conquiste e per cambiare la società” e successivamente con importanti assemblee nazionali interprofessionali di attivisti come quella di Gardanne del maggio 2021 e con decisioni di azione, come le marce per l’occupazione del 2020, o attraverso incontri internazionali su temi diversi come la pace, o il co-sviluppo del bacino del Mediterraneo, la solidarietà con la Palestina, spesso in relazione con le iniziative della WFTU, che hanno portato alcune organizzazioni ad affiliarsi ad essa.

Questo è un modo per dare vita alla decisione dei delegati del 52° Congresso di vedere la CGT mantenere relazioni senza esclusività con l’intero movimento sindacale mondiale. La dirigenza della CGT si è rifiutata di attuare questa decisione.

La CGT con le spalle al muro dovrà scegliere!

Su queste due diverse opzioni, bisogna ammettere che Philippe Martinez non contribuisce alla serenità delle discussioni. Come ha sottolineato in un’intervista al quotidiano Le Monde, c’è un solo modo di vedere le cose, il suo. O si è con lui o contro di lui.

Pertanto, criticare la sua posizione sull’alleanza “mai più”, come ha fatto il Comitato confederale nazionale della CGT, equivale a dichiararsi “scettici sulla situazione”. Proporre candidati diversi da quello da lui proposto alla guida della CGT significa voler “rivoltare la CGT come un calzino” e “posizionarsi in base alle appartenenze politiche”. A questo proposito, si sarebbe tentati di chiedergli di dire le cose chiaramente?

Inoltre, non è senza significato che alla vigilia del 53° Congresso Laurent Berger faccia la proposta di una rottura! Cosa dire in un momento in cui è necessario dare un ulteriore impulso all’azione?

Si tratta di tornare al tavolo da disegno, poiché egli propone di rimettere tutto sul tavolo e di concederci sei mesi di discussioni. Su cosa e perché? Cosa dobbiamo pensare in un momento in cui Macron propone di andare oltre la riforma delle pensioni per discutere di qualcos’altro con lo stesso metodo delle pensioni? Ovvero “io decido e voi approvate”, “andiamo avanti, non c’è niente da vedere”.

A favore del quale la porta sarebbe aperta all’intersindacale. Cosa dovrebbe dire la CGT, quando questo dimostra i limiti dell’intersindacale.

Come si può parlare di una pausa o addirittura di un referendum, o ancora subordinare tutto alla decisione del Consiglio Costituzionale, quando l’obiettivo sostenuto da milioni di lavoratori è quello di porre radicalmente fine a questa riforma disumana e brutale, ora?

È necessario discutere di punti e virgole quando è la logica stessa di questa riforma a dover essere messa in discussione? Non è forse la CFDT e l’impotenza del sindacalismo unitario che sembra costringere la dirigenza della CGT a tacere?

“Chi non ha obiettivi non può raggiungerli”

Il 53° Congresso deve discutere e decidere quale sarà l’orientamento della CGT per gli anni a venire, ma anche quale CGT nella sua finalizzazione.

Il suo orientamento generale implica che la CGT si ponga al più alto livello di rivendicazione sociale e politica per dotarsi dei mezzi militanti e materiali per “condurre le lotte di classe fino in fondo”. Ciò richiede che la CGT assuma pienamente ciò che è, cioè la sua identità, la sua libertà di parola, le sue responsabilità di orientamento, la sua indipendenza di decisioni che sono le condizioni che permettono la coesione e l’unità.

Ciò dimostra quanto siano importanti le decisioni di questo congresso, perché toccano ciò che rende unico il sindacalismo della CGT, il suo rapporto con il ricco patrimonio di valori del movimento operaio francese e internazionale.

È senza dubbio anche per questo che nella sua singolarità rimane una sorta di anomalia agli occhi di istituzioni, governi, sindacalisti e politici, fedele alla storia e all’immagine di questo popolo ribelle che rimane tale. “La Francia non è forse il Paese in cui le lotte di classe si combattono fino in fondo?”.

È quindi necessario combinare questa formidabile mobilitazione sociale di oggi con i dibattiti del 53° Congresso. Tanto più che molti lavoratori e giovani vogliono capire, conoscere, discutere, responsabilizzarsi per meglio assumere le proprie responsabilità nella lotta.

In questo contesto, dobbiamo incoraggiare il rafforzamento della CGT e di tutta questa generazione di giovani militanti e dirigenti della CGT, la cui combattività e lucidità sono impressionanti.

Ci sono delle aspettative, delle disponibilità, a cui dobbiamo rispondere per chiarire meglio gli obiettivi di una lotta che ha tutto a che fare, nella sua radicalità, con quella che deve essere la strategia indipendente di un’organizzazione sindacale di lotta di classe come deve rimanere la CGT.

Questo dimostra l’ampiezza del compito che i delegati del 53° Congresso della CGT dovranno assumersi. Se ci sono rischi e ostacoli, ci sono anche opportunità, soprattutto in un mondo in rapida evoluzione! L’alternativa esiste!

Deve esserci anche un’ambizione per un sindacato come la CGT, che deve conservare le sue regole di vita fraterna, di cui dobbiamo essere orgogliosi. Il periodo attuale è una lezione formidabile, dimostra che non si può fare nulla senza i lavoratori, sia nella loro vita professionale, perché sono gli unici produttori di ricchezza, sia nelle loro lotte, perché sono gli unici in ultima analisi in grado di dirigere la lotta secondo gli interessi del maggior numero, gli unici anche in grado di aprire un’alternativa a favore dell’emancipazione di tutto il popolo.

È per tutte queste ragioni che hanno bisogno di una CGT fedele ai suoi principi di classe.

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