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Tensione alle stelle fra Serbia e Kosovo (la prima filorussa, il secondo sostanzialmente un protettorato NATO) con barricate in strada e addirittura spari mentre Nancy Pelosi, terza carica dello Stato negli Usa, davvero a quanto pare va a Taiwan, dove la Cina la attende col fucile puntato in un senso non esattamente metaforico.
Nelle ultime ore ci sono segni preoccupanti dell’allargamento in Europa e in Estremo oriente del conflitto che ora apparentemente è in corso solo in Ucraina. Apparentemente, perché di fatto in Ucraina si confrontano da una parte il blocco cosiddetto occidentale a trazione statunitense e dall’altro la Russia, che gode dell’appoggio (sebbene non militare) della Cina.
Vengono le vertigini, a immaginare cosa può accadere se arrivano contemporaneamente al pettine tutti i nodi delle tensioni planetarie. Il pensiero di una terza guerra mondiale è pesante e grave. E sullo sfondo campeggia una domanda: perché.
Innanzitutto, c’è da chiedersi perché gli Stati Uniti si dimostrano allergici a una seria trattativa diplomatica, a una Yalta bis che divida il mondo in sfere di influenza. Non sono mica bestemmie, le sfere di influenza delle grandi potenze disegnate in modo da tenere conto dei rispettivi interessi. Roosevelt e Stalin, insieme a Churchill, si sono spartiti il mondo prima ancora che finisse la Seconda guerra mondiale. Però, con la caduta dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti sono diventati – o si sono sentiti – Unica Grande Potenza Mondiale, e pare non vogliano rinunciare al ruolo.
E poi, bisogna domandarsi perché il conflitto dell’Ucraina rischia di allargarsi e di tracimare proprio ora. Forse perché l’Occidente non è riuscito né a piegare l’economia russa con le sanzioni (che tanto danneggiano l’Europa) né ad isolare diplomaticamente la Russia? E allora l’unico modo per cercare di riuscirci è tagliare in due il mappamondo con un colpo di spada?
L’impressione è che in queste ore il mondo davvero stia ballando sull’orlo di un vulcano, come nel 1962 ai tempi della crisi dei missili di Cuba. L’unico segno di speranza viene dai Balcani.
Il Kosovo infatti ha rimandato di un mese (rimandato, però: non cancellato) le nuove norme sui documenti dei kosovari di etnia serba. Queste norme hanno suscitato le ire sia della Serbia sia della minoranza serba del Kosovo e hanno fatto riesplodere vecchi rancori mai sopiti. Infatti nel momento peggiore della crisi la NATO ha minacciato di intervenire a difesa dell’ordine: i carabinieri della missione italiana in Kosovo erano già schierati. Poi tutto è finito in freezer, se non altro fino al primo settembre.
Inoltre sull’appoggio al Kosovo l’Occidente non è così granitico, o almeno non lo è l’Europa. La Spagna, ad esempio, non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia. Ha già i suoi guai con gli indipendentisti catalani e a certe cose non può mica dare spago.
Però se una botta tardiva di buonsenso non la salva (e non ci salva tutti quanti) domani sera, martedì 2 agosto, Nancy Pelosi sarà a Taiwan – l’isola difesa dagli Stati Uniti che la Cina rivendica come sua – e vi trascorrerà la notte. L’esercito cinese ha ulteriormente ribadito che non starà a guardare.
GIULIA BURGAZZI
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