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L’ambasciata degli Stati Uniti a Kiev ha esortato i cittadini americani a lasciare l’Ucraina. La sollecitazione è stata motivata dal timore che i russi intensifichino gli attacchi. È la prima volta che la sede diplomatica statunitense dirama un avviso tanto stringente, da cui l’allarme.
In realtà i russi non hanno alcun interesse ad alzare il tiro, dal
momento che le loro operazioni militari stanno andando a buon fine,
lentamente ma inesorabilmente.
L’allarme Usa e la situazione in Ucraina
Tale sviluppo viene tacitato dai media mainstream, che però non possono non registrare che la vittoria ucraina, predetta con sicurezza da analisti e politici, è uscita dall’orizzonte delle possibilità – come riferiscono anche oggi The Hill e il Washington Examiner – e che le armi Nato sono servite al massimo a creare una situazione di stallo.
Una raffigurazione della realtà che contrasta con quanto scrive Melkulangara Bhadrakumar su Indian Punchline: “Entro questa settimana, le forze russe avranno accerchiato il fulcro delle linee di difesa ucraine, la città di Bakhmut, che è un hub di comunicazione per il movimento delle truppe e della logistica dei rifornimenti del Donbass. Le forze russe hanno raggiunto la periferia della città da nord, est e sud. La caduta di Bakhmut sarà una sconfitta schiacciante per Zelensky”.
Ed è forse proprio per evitare tale debacle che Kiev e i suoi sponsor devono prendere un’iniziativa eclatante, tale da rovesciare il tavolo, come annota lo stesso Bhadrakumar, il che spiegherebbe l’allarme improvviso, dopo sei mesi di guerra, dell’ambasciata Usa.
Potrebbe essere un’escalation o qualcosa in stile Bucha, il massacro, vero o inscenato che sia,
attribuito ai militari russi che allora fece collassare il negoziato
tra Kiev e Mosca avviato dalla Turchia (a proposito di Turchia, si
segnala che subito dopo la visita di Erdogan in Ucraina, nel corso della
quale il sultano ha riproposto vie di pace, il suo Paese ha registrato
due indicenti massivi nel giro di 24 ore, che hanno causato 31 vittime; evidentemente il viaggio non ha portato fortuna al suo Paese).
I soldi al complesso militar industriale
Al di là degli eventuali sviluppi della guerra, ci sembra di interesse quanto scrive Ron Paul sugli aiuti all’Ucraina: “C’è un video che sta facendo il giro del web che mostra il presidente Biden che parla a un recente vertice della NATO sui sette miliardi di dollari che il governo degli Stati Uniti aveva – in quel momento – fornito all’Ucraina”.
“Allegato a questo filmato c’è un’altra clip che mostra il degrado di alcune grandi città degli Stati Uniti, in Pennsylvania, California e Ohio. Il video delle città americane è sconvolgente: paesaggi infiniti di sudiciume, spazzatura, senzatetto, fuochi accesi per strada, zombie tossicodipendenti. Non sembra l’America che molti di noi ricordano”.
“Guardare Biden vantarsi di aver inviato miliardi di dollari a leader corrotti all’estero e vedere le città americane che sembrano l’Iraq o la Libia dopo i bombardamenti è la fotografia della politica estera degli Stati Uniti. Le élite di Washington dicono al resto d’America che devono ‘promuovere la democrazia’ in qualche terra lontana. Chiunque obietta è considerato in combutta con il nemico designato del giorno. Una volta era Saddam, poi Assad e Gheddafi. Ora è Putin. Il gioco è lo stesso, cambiano solo i nomi”.
Quindi parlando dei miliardi spesi per Kiev, commenta: “I sostenitori di questa guerra per procura [contro la Russia] possono lodare gli aiuti all’Ucraina, ma la realtà è che tutto ciò non è affatto un aiuto diretto all’Ucraina. Non è così che funziona il sistema. È denaro creato dal nulla dalla Fed e stanziato dal Congresso per sostenere il complesso militare-industriale connesso alla politica. È un grosso assegno staccato dall’America in favore dei ricchi che gestiscono la Raytheon e la Lockheed Martin. Gli americani guardano il loro budget eroso al limite mentre i grassi gatti della Beltway allentano le loro cinture per continuare a godere della loro opulenza” (sul punto rimandiamo a Piccolenote).
Tutto ciò mentre l’inflazione galoppa. Così, “mentre Washington ha l’acquolina in bocca grazie alla guerra contro la Russia in Ucraina, il resto dell’America si sente come se stessimo diventando lo Zimbabwe. Quanto tempo ci vorrà prima che si arrivi a spendere un trilione di dollari per una pagnotta? Ci sarà una corsa con le carriole [piene di dollari]?” il rimando finale è alle carriole piene di marchi che hanno reso famosa la tragica svalutazione della moneta al tempo della repubblica di Weimar.
Questa la situazione americana, ma l’Europa non è certo in una condizione diversa. Il punto è che chi sta gestendo questa guerra sa perfettamente che le restrizioni imposte ai cittadini d’Occidente stanno creando malumore diffuso e a rischio disordini.
E si sono certamente preparati a gestirli, nei modi e nelle forme con cui si gestiscono certe criticità, come sa bene l’Italia che ha dovuto convivere per decenni con la strategia della tensione. Anche questo è un incentivo a chiudere in fretta questa maledetta guerra aprendo spazi reali alla diplomazia.
Ps. Ieri avevamo scritto che l’intelligence russa non aveva ancora fornito dettagli sull’omicidio di Darya, figlia dell’ideologo russo Aleksandr Dugin. Poco dopo, però, l’Fsb ha dato un volto all’assassina, affiliata al battaglione Azov. Non poteva certo fare da sola, ma la Russia ha preferito circoscrivere piuttosto che tirare in ballo la Cia o l’MI6 (nomi che facciamo a caso, ovviamente). Resta lo sconcerto per come i media d’Occidente hanno riportato la notizia: nessuna condanna per l’omicidio intenzionale della ragazza, nessun cenno di umana pietà. Solo analisi anti-russe. Ulteriore fotografia della tragica follia di questo sanguinario interventismo.
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