sabato 27 agosto 2022

I fondi internazionali stanno scommettendo miliardi contro il debito pubblico italiano

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I fondi d’investimento internazionali – i cosiddetti hedge funds – hanno scommesso contro il debito pubblico italiano, effettuando la più grande speculazione al ribasso dal 2008: hanno, infatti, preso in prestito obbligazioni italiane per un valore complessivo di 39 miliardi di euro, vendendole allo scoperto (short selling) e puntando a ricomprarle ad un prezzo minore, lucrando così sulla differenza tra il prezzo di vendita e quello d’acquisto. Lo rende noto il Financial Times (FT) in un articolo dal titolo inequivocabile: «Dagli hedge fund la più grande scommessa contro il debito italiano dal 2008». L’autorevole quotidiano britannico cita i dati di S&P global market intelligence, secondo cui il valore totale delle obbligazioni prese in prestito dagli investitori nel mese di agosto sarebbe il più alto dal gennaio 2008.

Le motivazioni che stanno dietro alla speculazione ribassista riguardano la crescente instabilità politica del Paese in vista delle elezioni e la crisi energetica: «La corsa agli investitori a scommettere contro l’Italia arriva mentre il Paese deve far fronte a crescenti venti economici contrari a causa dell’aumento dei prezzi del gas naturale europeo provocato dai tagli alle forniture della Russia e da un clima politico teso con le elezioni che incombono a settembre», si legge nell’articolo del FT. Allo stesso tempo, Mark Dowding, chief investment officer di BlueBay Asset Management, ha affermato che l’Italia «È il paese più esposto in termini di ciò che accade ai prezzi del gas e la politica è impegnativa». Dowding gestisce circa 106 miliardi di dollari di asset e sta vendendo allo scoperto obbligazioni italiane a 10 anni utilizzando i derivati futures.

L’articolo del FT è uscito a brevissima distanza temporale rispetto al discorso pronunciato da Draghi al Meeting di Rimini mercoledì: in quell’occasione l’ex Premier italiano aveva affermato che «L’Italia ce la farà anche questa volta, qualunque partito vinca le elezioni», invitando poi tutti i partiti a rispettare gli impegni di riforma finanziaria dell’Italia, in quanto «la credibilità interna va di pari passo con la credibilità internazionale». Nonostante l’ottimismo di Draghi, le recenti speculazioni finanziarie fanno presagire uno scenario fosco per il Belpaese, in linea con quanto anticipato nei mesi scorsi dal FMI, secondo il quale l’embargo sul gas russo avrebbe portato ad una contrazione economica di oltre il 5% in Italia e in altri tre Paesi. Roma, inoltre, è considerata particolarmente vulnerabile a causa dell’interruzione del programma di acquisto dei titoli da parte della BCE e dell’aumento dei tassi di interesse.

Tuttavia, dietro le motivazioni di facciata relative alla tenuta economico-istituzionale italiana, la mossa dei fondi d’investimento risulta un chiaro avvertimento a Roma in vista delle future elezioni politiche: il partito eletto, infatti, dovrà “rassicurare” i mercati garantendo di mettere in atto le riforme imposte dall’Unione Europea che vanno più incontro agli interessi e alle esigenze della finanza internazionale piuttosto che a quelle dei cittadini, confermando così la superiorità soverchiante della sfera economica su quella politica e sugli Stati. La conferma di ciò arriva direttamente dalle dichiarazioni della leader di FdI, Giorgia Meloni, considerata la favorita per il ruolo di Primo ministro nella prossima legislatura, considerato che per ora è in testa nelle classifiche elettorali: la Meloni è corsa ai ripari rassicurando gli speculatori che «la prima cosa che dobbiamo fare è la legge di bilancio e abbiamo chiaramente intenzione di farla entro i parametri richiesti», ha dichiarato la candidata in un’intervista all’agenzia inglese Reuters.

Le speculazioni non rappresentano affatto un elemento “normale” nel processo di finanziamento degli Stati sovrani, ma al contrario sono rese possibili da un’architettura economico-finanziaria disfunzionale per cui i governi – privati della possibilità di gestire direttamente la propria politica monetaria – non possono garantire per mezzo della banca centrale i propri titoli di debito, favorendo così l’impennata dello spread, ossia la differenza di rendimento tra i titoli tedeschi e quelli italiani. Per evitare tutto ciò basterebbe la garanzia della banca centrale, tant’è che Draghi, attraverso l’ormai leggendario “whatever it takes”, ha fermato la speculazione proprio garantendo l’acquisto dei titoli del debito pubblico italiano e mettendo in atto quindi una misura di politica monetaria non convenzionale di tipo espansivo. Le pratiche lucrative della finanza, dunque, lungi dall’essere inevitabili, sono permesse dalle scelte politiche ed economiche della Banca Centrale Europea, sulla quale pesano anche le posizioni degli stati membri, considerato, per esempio, che i cosiddetti “falchi” dei Paesi nordici sono fortemente contrari agli interventi della Banca centrale specie in favore dei cosiddetti “PIIGS”, di cui l’Italia è parte.

Dopo avere interrotto il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program), il programma d’acquisto dei titoli finalizzato a sostenere l’economia dell’Eurozona travolta dal coronavirus, la BCE ha recentemente approvato un nuovo strumento anti-frammentazione teso ad appianare le differenze di rendimento tra Bund e BTP: si tratta del TPI (Transmission Protection Instrument) che però non è ancora stato attivato. Al riguardo, gli speculatori internazionali come Dowding hanno già messo le mani avanti, dichiarando che «la BCE non può semplicemente comprare l’Italia», in quanto in questo modo fornirebbe sostegno ai Paesi che non hanno vincoli fiscali.

In sintesi, mentre migliaia di imprese italiane rischiano la chiusura a causa della crisi energetica e dell’impennata dei prezzi del gas e l’inflazione è ai massimi storici con conseguenze devastanti per famiglie e imprese, i fondi d’investimento internazionali e le persone che vi stanno dietro si arricchiscono enormemente grazie alle crisi, ma soprattutto grazie alla complicità delle politiche della BCE che se non sostiene direttamente la speculazione, sembra quantomeno tollerarla tacitamente, intervenendo solo quando strettamente necessario e favorendo così il potere dei mercati sulle politiche degli Stati che hanno abdicato alla loro sovranità.

[di Giorgia Audiello]

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