Mai come in questi giorni, in quella che ormai si definisce la più brutta campagna elettorale di sempre (ma consiglio di dare un’occhiata ai titoli che riguardano quella del 2008), si attribuisce il processo di disumanizzazione della società alla Destra, al gran buzzurro, all’infame tracotante e ignorante che si è assunto l’incarico di dare forma di legge all’emarginazione, al rifiuto, alla repressione ai danni degli ultimi in modo da rassicurare i primi e i penultimi.
Simplicissimus Anna Lombroso
E quindi ai diversi, agli stranieri costretti a farsi invisibili, pericolosi e fuorilegge fin dal loro ingresso, dopo fortunosi naufragi, a quelle vite nude senza identità, documenti e futuro, certo, ma anche ai poveracci destinati comunque a essere “deviati”, trasgressori, punibili con strumenti amministrativi o repressivi, criminali già all’origine.
Contro questa deriva oggi si candida sempre lo stesso fronte che rivendica la messa in pratica dell’antifascismo declinato come antirazzismo, anti-xenofobia, esercitato nelle forme di una pia accoglienza, di una carità che dimostrerebbe l’ indole all’accoglienza, all’integrazione, ispirato da una visione benevola del nostro nuovo mondo come di un pianeta generoso che rifiuta confini, muri, steccati e dove a ognuno deve essere garantito un posto, un minimo di benessere e appagamento di bisogni e desideri. Un fronte che di autodefinisce progressista, riformista ma che ogni giorno e con ogni parola, atto e fatto vuole dimostrarci di aver spezzato antichi legami e riferimenti arcaici con la sinistra antisistema, con quella litigiosa accozzaglia tenuta insieme solo da slogan ideologizzati avulsi dalla realtà, incapace di mettersi in gioco e dunque immeritevole di cogliere le opportunità della modernità- e già sarebbe grave- ma anche di impegnarsi per contribuire a uscire dal susseguirsi di crisi imprevedibili che hanno assunto il carattere di emergenze tali da richiedere incrollabili convinzioni e elevato senso di responsabilità pubblica e individuale.
Ben prima della celebrazione della sua rifondazione nei locali dell’antica fabbrica del Lingotto, un santuario del lavoro promosso a location dell’archistar in una società che i valori, il potenziale di riscatto, i diritti del Lavoro ha cancellato, quel fronte e il suo personale dirigente si erano premurati di rappresentarsi come l’incarnazione dell’italiano brava gente.
Il suo leader – simpaticamente chiamato l’amerikano o er coca cola per via della sua compulsione a riconfermare in agni atto e esternazione la sua subalternità culturale, morale e psicologica allo stile di vita americano, il migliore possibile, da emulare fino al ridicolo in uno che non spiccicava una parola nell’idioma di rifermento, ma che invece chiudeva i fori per permettere una visita esclusiva all’attore dei film d’azione accompagnato dalle sue rampolle in rappresentanza della città o il Colosseo per godersi il concertone di Elton perso nella fanciullezza di orfanello – interpretava alla perfezione l’integralismo della realtà, il primato della realpolitik, impegnato a cancellare qualsiasi cultura politica che prevedesse la critica, ogni traccia di memoria che non rientrasse nei canoni della spettacolarizzazione dello spazio pubblico, considerando una virtù irrinunciabile del politico escludere e mettere ai margini qualsiasi soggetto sociale che non si dimostrasse disposto a completare la sua identità di cittadino.
Si trattava del prototipo dell’italiano medio, borghese piccolo piccolo, ma equipaggiato di buoni sentimenti, positive inclinazioni, che lo rendono superiore anche grazie a una cassetta degli attrezzi, film, canzonette, libri confezionati per ogni occasione, appuntamenti in adeguate piazze affollate dei target di eccellenza, insegnanti, bella gioventù, operatori culturali, minoranze che preferivano l’emancipazione alla liberazione, arcobaleni.
Era il giugno 2007, quando Veltroni salì sul palco con 33 cartelle dattiloscritte, il suo discorso di candidatura alle primarie, un manifesto politico con cui l’allora sindaco di Roma tracciava la rotta del Partito Democratico che stava per nascere: “un partito di centrosinistra, attento alla giustizia sociale e ai diritti e che mettesse in soffitta le litigiose alleanze dell’Unione prodiana”, ma il giorno prima si era premurato in un’intervista a un quotidiano spagnolo di rivendicare la rottura con la sinistra tradizionale per coagulare forze e pubblici moderati, cattolici, intorno a parole d’ordine e bandiere inequivocabilmente intrise dei canoni del liberismo, considerato la strada senza ritorno e senza alternative per godere delle opportunità e die benefici della modernità, ben consapevole che questo cammino comportasse l’abiura a principi e valori e le concessioni a un tanto obbligatorio di cinismo, arrivismo, spregiudicatezza necessari a entrare nella Grande Competizione, con il permesso di tirar fuori da dentro sentimenti inconfessati, paure riabilitate.
Vien buona questa pratica dello sdoganamento dei sentimenti riposti, inconfessabili, quando il sindaco ( da tre giorni vincitore della primarie) in occasione del barbaro assassinio di una giovane donna, 30 ottobre 2007) per mano di uno “zingaro” in veste di mai abbastanza rimpianto podestà, orchestra la persecuzione e la repressione contro rom, sinti, zingari, la maggior parte stanziali e di cittadinanza italiana, on tanto di pogrom, rappresaglie, incursioni nei campi e accampamenti e l’impossibilità per i marrani di tornare alle abitudini, al lavoro regolare delle donne, ai mestieri ritrovati degli uomini, alle scuole.
Ma ricordiamolo bene, non era una novità: favorito dalla legge fotocopia della Bossi Fini firmata Turco Napolitano, il sindaco di Firenze Domenici eletto da una compagine di “centro sinistra” aveva firmato l’ordinanza per mettere al bando i lavavetri, offensivi del decoro e dell’onorabilità del Giglio: chiunque venisse colto sul fatto dalle forze dell’ordine sguinzagliate per le vie cittadine ai semafori finiva davanti al giudice e rischiava, oltre al sequestro degli attrezzi, una pena fino a tre mesi d’arresto o una multa da 206 euro, macchiato di svolgere un “mestiere girovago” e “costituente intralcio alla circolazione, nocumento all’igiene delle strade e autore di episodi di molestie e del pericolo di conflitto sociale“. Il giorno dopo il Ministro dell’Interno Amato liquida i piagnoni buonisti con l’annuncio: “voglio imprimere un giro di vite contro l’illegalità diffusa sul territorio” con un piano Sicurezza che viene redatto sotto l’occhiuta sorveglianza dell’onorevole Minniti, quello che da ministro predispone anni dopo il canovaccio dei decreti che recheranno la firma di Salvini. È il suo modo di contrastare con gli intellettuali dei suoi stivali macchiati dalla tara culturale di baloccarsi con Beccaria e sdottoreggiano sull’uomo buono rovinato dalla società
Libero tira un sospiro di sollievo e titola Finalmente cattivi, comprendendo tra i reprobi i “naturalmente trasgressori”, immigrati e indigeni, ma anche la gente infine autorizzata a dismettere la finzione della generosità e della bontà. Comincia così una vera e propria catastrofe umanitaria, come la definisce la stampa estera che dà stura alla repressione non solo amministrativa, ma anche a episodi di intolleranza e violenza.
E se è vero che poi il piano sicurezza nell’iter parlamentare perde parte della sua carica bestiale, i danni sono fatti, perché stabilisce che gli altri costituiscono un rischio, che è meglio contrastare, che c’è qualcuno autorizzato a distinguere persone e “gente- oggetto” o merce, tanto da sentire l’impegno a scegliere chi difendere, l’automobilista molestato o la vittima del racket della strada per pochi spiccioli. E tutto per il loro bene, rieducarli, distoglierli dal vagabondaggio o dal pericolo di diventare manovalanza della malavita.
Inutile dire che è da questo clima che scaturirà l’impensabile mattatoio del G8 di Genova, le torture di Bolzaneto, la convinzione diffusa imposta dalla comunicazione politica e dai media che bisogna difendersi in armi con chi attenta alla stabilità, siano straccioni ai semafori, ragazzotti in total black che arrivano da fuori, pezzenti dei centri sociali che fanno del disturbo e della violenza la loro ideologia e pure la loro prassi.
Il fatto è che una volta legittimato il sopruso, una volta autorizzata l’indegnità, non si torna più indietro.
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