martedì 26 luglio 2022

Con il nuovo scudo anti-spread la BCE reintroduce la Troika

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La Banca Centrale Europea (BCE) ha presentato il nuovo scudo anti-spread, il Transmission Protection Instrument (TPI), con l’obiettivo di sostenere la propria politica monetaria e di ridurre la differenza tra i rendimenti dei titoli di stato nazionali – BTP a dieci anni in Italia – e gli omologhi tedeschi, i cosiddetti bund. Si tratta, in effetti, di un programma di acquisto di titoli pubblici attivabile su richiesta degli Stati ma vincolato a delle riforme, in particolare a quelle contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ricorda la Troika, l’organismo nato in seguito alla grande recessione. Così, mentre l’Italia affronta il post-Draghi ed è alle prese con la campagna elettorale per il prossimo 25 settembre, la BCE detta l’agenda economica, influenzando inevitabilmente anche quella politica. Un Paese potrà ricorrere alla vendita di titoli di stato alla Banca Centrale Europea per far fronte al debito pubblico soltanto dopo aver rispettato linee guida precise e, in caso di necessità, essersi adeguato all’austerity, con buona pace dello stato sociale.

Le riforme richieste sono contenute nei piani nazionali per la ripresa e nelle raccomandazioni comunitarie rivolte ai singoli Paesi membri, a cui si aggiungono le regole di bilancio UE. Per poter accedere allo scudo anti-spread, il nuovo esecutivo che guiderà l’Italia dal prossimo autunno dovrà, dunque, raggiungere entro la fine dell’anno i 55 obiettivi/vincoli previsti dal PNRR, continuando sulla strada tracciata da Mario Draghi e accolta con favore da Bruxelles, che ora teme la non aderenza del prossimo governo italiano al piano economico. Il meccanismo europeo, in particolare nel criterio riguardante la sostenibilità delle finanze pubbliche anche a costo di politiche di riduzione del debito effettive e quindi di austerity, ricorda la Troika, un istituto che in seguito alla grande recessione (il periodo successivo alla crisi finanziaria del 2007-2008) si è occupato di formulare dei piani di intervento rivolti a Paesi in crisi e, dunque, alle prese con un debito pubblico elevato. Il do ut des era semplice: prestiti in cambio di politiche di austerità, quindi limitazione dei consumi privati e delle spese pubbliche.

L’acquisto di titoli di stato non è altro che un prestito concesso ai Paesi, con questi ultimi che si impegnano a restituire la cifra ai creditori arricchita di un interesse (rendimento), il quale risponde a un rischio: più il rischio è elevato e più deve essere remunerato con un interesse maggiore. Alti rendimenti si traducono così in costi più sostenuti per lo Stato, che deve far fronte agli interessi maturati a favore dei risparmiatori. Un Paese affidabile dal punto di vista economico emetterà titoli di debito con bassi rendimenti perché rappresenteranno un rischio contenuto per i creditori. Viceversa, uno Stato con un elevato debito pubblico dovrà “pagare” di più per convincere i risparmiatori a rischiare e, dunque, finanziarlo. In Italia, il debito pubblico ha raggiunto a maggio i 2.756 miliardi di euro, +4% rispetto a marzo 2021 (2.650 miliardi), poche settimane dopo l’insediamento del governo dei migliori.

[di Salvatore Toscano]

 

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