domenica 31 luglio 2022

Anna Lombroso. Emigranti in patria.

“ In ragione di motivazioni attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” la più inamovibile -insieme a Speranza – ministra dei governi di emergenza ha firmato un decreto che dichiara  “inaccessibili” gli atti relativi alla “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, nonché tutti gli atti riguardanti l’attività di Frontex (l’Agenzia europea per il controllo dei confini), rimuovendo “eccezionalmente” criteri e requisiti di trasparenza degli atti della pubblica amministrazione in materia di circolazione e accoglienza di essere umani, rifugiati compresi.

 

(il Simplicissimus Anna Lombroso)

Pare proprio che uno dei primi effetti del Grande Reset sia la revisione fino alla negazione, di una delle grandi narrazioni politiche e culturali del secolo, quello di una società globale interconnessa ma aperta, senza muri e confini,  come esige l’opportunità accertata della libera circolazione di merci, prodotti, lavoratori, eserciti, valori e idee a sostegno di un sistema ideale nel quale a dettare le regole sono pochi saggi che agiscono per il nostro interesse di cittadini del mondo.

Eh si, adesso grazie a un susseguirsi di incidenti imprevedibili e straordinari che hanno dovuto sospendere atti, protocolli, misure intese a permettere il superamento di ostacoli amministrativi e burocratici in modo da favorire un progetto di sviluppo “omogeneo” quanto è desiderabile per la cerchia finanziaria e delle multinazionali a cominciare da quelle digitali e del commercio online, è diventato più difficile entrare in un paese dal quale ci si attende uno stile di vita più dignitoso. Ma anche uscirne.

Uniti dallo stesso destino quelli che si affacciano dai margini dell’impero di Occidente – secondo Frontex sono intanto le tre navi delle ong operative nel Mediterraneo che chiedono un porto di sbarco all’Italia per oltre 1400 migranti – così come quelli che pensano di cercar fortuna fuori dal suolo patrio nazionale, sono ugualmente condannati a esilio, clandestinità, umiliazione fino a diventare da molesti a invisibili.

Per quanto ci riguarda a questo servono di sicuro gli sviluppi del green pass promosso a certificato a punti di cittadinanza che ti permette di guadagnare meriti sociali, professionali, morali per accedere ai benefici della cittadinanza, mentre sono già segnati da anni i reprobi, chi rifiuta gli strumenti concreti e ideali del controllo sociale, sfugge alla medicalizzazione che assimila tutti nella cerchia dei potenziali patenti. Ma soprattutto chi non si prodiga per lo sviluppo “uniforme” della società accettando salari da fame, contratti capestro, intimidazioni e ricatti.

Lo avevano capito prima di noi persone che avevano scelto di non credere alle promesse recate in dono dall’appartenenza all’Europa. Ma forse vale ricordare che erano oltre 2,5 milioni i lavoratori stranieri sottopagati e marginali, chiamati Gasterbeiter, che faticavano in Germania quando nel 1973 Willy Brandt interruppe a forza il flusso. Oggi coi tempi che corrono verrebbe automaticamente messo in compagnia di Le Pen, Salvini, ricordando i precedenti del Paese quando i nazisti risolsero i problemi del lavoro servile deportando 8 milioni di civili da Polonia e Unione Sovietica e aggiungendoli ai 2 milioni di prigionieri di guerra addetti alle fornaci, alle fabbriche di armi e ai campi del Terzo Reich.

E tra il 1845 e il 1914 nella culla della democrazia secondo Tocqueville furono gli immigrati europei a fornire “personale” all’industria statunitense e a garantire l’opportunità di mantenere bassi i salari. Mentre nel trentennio della Belle époque prima del primo conflitto mondiale circa 3,5 milioni di polacchi lasciarono il Paese per andare a estrarre carbone nella Ruhr o raccogliere patate in Prussia.

Costavano meno, lavoravano sodo. Il record del rapporto tra immigrazione, riduzione dei diritti e salari bassi per locali e nuovi arrivati si è registrato – pare – in Gb, dove un mercato del lavoro privo di regolamentazioni nel 2016, per esempio, i forestieri occupavano il 15 % delle occupazioni meno qualificate, e il 43% costituiva la forza lavoro delle aziende di imbottigliamento e imballaggio, scendendo al 33% nei posti della produzione vera e propria con salari più accettabili.

A lasciare i Paesi dell’Est negli ultimi vent’anni sarebbero stati 20 milioni di persona che hanno approfittato dell’opportunità offerta dall’adesione all’Europa, perlopiù nella fascia di età tra i venti e i 45 anni, bulgari, Lettoni, romeni, lituani, polacchi. Pronti a costare poco anche loro, lavorare sodo e lasciare sguarniti (vi ricorda qualcosa?) occupazioni strategiche per il posizionamento del loro Paese: in Bulgaria, in Romani ospedali e ambulatori via via sono stati costretti alla chiusura per mancanza di personale qualificato e in altri si ricorre all’assunzione di sanitari che arrivano dalle Filippine e dal Myanmar.

Cosa è cambiato? Intanto il rischio che dalle maglie della fame, della sete, della disperazione sfugga qualche profugo climatico, economico, bellico, con un bagaglio di collera  alimentato dalle prove tremende cui sono sopravvissuti in Turchia, Giordania, Palestina, Libano, Siria e tutti i set del film della guerra e della sopraffazione allestito dalla Nato.

Poi l’Ue non è in condizione di accogliere gli oltre 60 milioni che si affacciano e cui minacciato di aggiungersi migranti interni, cervelli in fuga che optano per la pizzeria malvisti dagli indigeni che cominciano a riadattarsi a mansioni esecutive, a colletti blu il cui ruolo di aristocrazia del lavoro è stato retrocessa a mansioni ripetitive quanto precarie.

E poi perché non ricorrere a schiavi già persuasi della fortuna di non avere dovuto lasciare il paesello natio e pronti a rinunce necessarie, a una competizione feroce interna che anima generazioni e formazioni a confronto? Perché mettersi in casa gente rabbiosa e avida di vedere appagata qualche aspettativa quando i connazionali hanno dimostrato lealtà, obbedienza e assoggettamento? E per quelli ostinati che proprio non ci stanno, funzionano le misure ripetibili, quelle della emarginazione, dell’ostracismo, della condanna morale per diserzione, con qualcosa di più ipocrita ed empio, far pensare che l’arroccamento difensivo e offensivo sia il rischio del  consolidamento della destra al potere, quella rozza, becera, ignorante contro quell’educato progressismo che ci vuole tutti uguali, tutti servi che così è il suo superamento delle differenze.

E d’altra parte, cosa cambia se siamo già stranieri in patria?

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