É nata l’Unione Popolare, e dopo avere raccolto circa 30 mila firme in poche settimane, si presenterà alle elezioni.
L’accelerazione di questo percorso in gestazione da mesi dovrebbe costituire una ginnastica propedeutica per i tempi che ci aspettano.
Tempi in cui l’accelerazione delle dinamiche storiche sarà la cifra di un epoca in cui l’ordinaria amministrazione sarà solo un vago ricordo.
Una velocizzazione data dalla contingenza delle dimissioni di Draghi che ci “costringe”, per così dire, a tappe forzate ad un processo di unificazione delle forze che avevamo supposto potesse avvenire in un arco di tempo maggiore e che dev’essere visto più come una opportunità, più che come un handicap.
Ora trova la forma contingente della coalizione elettorale ma ha in sé i germi progettuali di una forza politica più avanzata se riuscirà ad andare (il prima possibile) oltre i perimetri dei suoi risoluti promotori, in termini di partecipazione reale e non solo di inclusione del corpo politico residuale della sinistra radicale,.
Questo, soprattutto se lo scenario di un Autunno Caldo prenderà forma per articolare un programma più complessivo attorno ad alcune linee guida che sono già ora le idee-forza che hanno fatto convergere queste forze.
E l’esistenza dell’Unione Popolare anche se non è garanzia dell’innalzamento della temperatura sociale nei mesi a venire, ne è in parte una precondizione necessaria per un suo sbocco politico fruttuoso ed tentativo di argine a quel golpe strisciante verso un regime che di democratico ha ben poco.
Qualcuno potrebbe obiettare – più o meno legittimamente – che ci troviamo di fronte ad una sorta di coazione a ripetersi tipica del cretinismo parlamentare di una sinistra radicale orfana di una sua rappresentanza in parlamento da quasi 15 anni masochisticamente propensa a sbattere di nuovo la testa contro il muro, ma la situazione che sta maturando è alquanto diversa, così come è differente la funzione politica che può svolgere l’Unione Popolare e le premesse del suo sviluppo.
Le storture sistemiche di questo modo di produzione ed il loro intrecci stanno producendo una crisi di governance e le, non particolarmente brillanti, élite politiche occidentali non sanno come risolverle tranne riproporre le vetuste forme del neo-liberismo in politica interna e dell’imperialismo in politica estera, giocando come apprendisti stregoni sulla nostra pelle.
Di statisti all’orizzonte non se ne vede traccia in tutto il Continente, Italia compresa.
Anche il governo dei migliori, nonostante la larga maggioranza di cui godeva, ne ha fatto le spese. Prima che la barca affondasse in ben più insidiosi marosi ha abbandonato la nave: “nella peggiore delle ipotesi ci penseranno Bruxelles e Washington”, da remoto, a rimetterci in riga, deve avere pensato l’ex capo della BCE ed il suo cerchio magico.
La crisi pandemica non è stata risolta, quella climatica appare in tutta la sua drammaticità anche in Occidente, la recessione è alle porte – ce lo dice il FMI e non qualche marxista incallito – , la stagflazione avanza, e si moltiplicano le linee di faglia lungo un arco di instabilità geopolitica con un conflitto alle porte d’Europa che non sembra destinato a terminare né a delimitarsi.
Last but not least: sta prendendo forma un mondo effettivamente multipolare dove forze simmetriche si affrontano fluidificando quello che sembrava un sempiterno stallo dei rapporti di forza tra i blocchi.
L’elenco potrebbe continuare…
Di fronte a questo la peggior classe politica della storia repubblicana non ha formule, se non ribadire con demente entusiasmo, la propria fede euro-atlantica e quella nell’edificio politico europeo, per battibeccarsi su chi ha fatto cadere il governo che entrambi sostenevano rifacendosi al suo programma.
L’Unione Europea, è un edificio politico che sta mettendo a punto un ancora più micidiale “collare a strozzo” dai tratti in parte opachi nelle misure che adotterà, ma chiarissimo nei fini, e assolutamente intenzionato a percorrere l’ultimo miglio per la sua integrazione politica, economica e militare.
Rifuggiamo qualsiasi idiota teoria del complotto ma è chiaro che quando la scarsa trasparenza nell’azione dell’establishment viene a galla, come nello scandalo di Uber o di Pegasus, anche l’assolutamente negativa rappresentazione delle classi dirigenti si dimostra comunque una sovra-valutazione di questa banda di criminali.
D’altronde l’iper-competività di cui parlava l’anno scorso la Von Der Leyen si è trasformata in guerra economica tout court sia contro i competitor esterni che contro le classi subalterne, e quindi gli strumenti per combatterla devono essere resi segreti, un po’ come le tipologie di armi che forniamo all’Ucraina e nessuno deve provare a sollevare la minima obiezione.
Un cappio, anzi una pluralità di cappi, che detteranno le scelte politiche di fondo, almeno che non intervenga una rottura, dei paesi europei.
E l’Unione Popolare in prospettiva è tutto questo: rottura di uno status quo politico in cui la delegittimazione delle élite diffusa tra le classi popolari deve incubare la prospettiva di una alternativa di sistema dentro il conflitto di classe per il nostro blocco sociale.
Il deficit di democrazia riscontrabile da tempo nei sistemi politici continentali si è trasformato anche in Italia in una blindatura della rappresentanza che è la naturale conseguenza di un “commissariamento” politico precedente avvenuto prima con Monti e poi con Draghi, e domani non si sa quale altro tecnocrate potrà prendere il loro posto.
Torna un bi-polarismo di facciata in cui tertium non datur, dove cioè è a mala pena tollerata l’innocua variabile populista di ciò che rimane del Movimento 5 Stelle e bandita la sinistra radicale, cioè quella non subordinata al PD, come i Verdi e Sinistra Italiana, per intenderci. L’estrema destra è stata riassorbita da tempo dentro i giochi della politica che conta, e come sempre non è mai stata una “variabile indipendente” nel quadro politico italiano capace di una sua azione indipendente da i suoi burattini a parte qualche scheggia impazzita.
Un bipolarismo dove i due poli sono speculari e dove scoprire le differenze è più un passatempo da Settimana Enigmistica in cui solo uno studio attento dei particolari fa scorgere insignificanti modifiche della stessa matrice.
Due poli speculari, e complementari, in quanto rappresentano una contrapposizione fittizia in un rapporto di implicazione reciproca.
Letta ha bisogno della Meloni, e vice versa.
Naturalmente la partita si gioca, per noi, sul fatto che il Paese Legale non è affatto il Paese Reale e sullo iato tra i legittimi bisogni delle classi subalterne e l’inesistenza di un’offerta politica adeguata.
Bisogni anche “traditi” nelle loro aspettative dalle formazioni cui avevano maggiormente consegnato il voto alle politiche precedenti – M5S ed in parte la Lega di Salvini – incapaci non solo di portare avanti i progetti che più gli avevano garantito il successo elettorale, ma che non ci hanno nemmeno provato.
“Quota 100” e Reddito di Cittadinanza, così come sono stati realizzati – e comunque ora messi in discussione – saranno superati in una ulteriore contro-riforma pensionistica da far rimpiangere la Fornero ed in una più costrittiva formula di Welfare to work, se come sembra venissero seguiti di desiderata di Bruxelles.
L’Unione Popolare, quindi, che ha unito una parte importante della sinistra radicale si pone un obiettivo ambizioso ed in prospettiva ineludibile: rappresentare gli esclusi di questa democrazia blindata.
Tempi stretti e pochi mezzi non devono spaventare, così come l’oggettiva difficoltà di realizzare un risultato elettorale che gratifichi lo sforzo militante a meno di due mesi dalle elezioni.
Per questo bisogna “forzare l’orizzonte” anche perché l’instabilità politica sarà una condizione permanente.
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